Il Retablo della Vergine

 Lei è la Vergine in attesa del Bambino ed è tornata nella sua cappella, in quel convento di frati, che l’ospitò per la prima       volta cinque secoli prima.

Quel prezioso retablo, dipinto nella seconda metà del ‘500 dal maestro Antioco Mainas, fu sottratto alla città nel 1855 con la legge sulla soppressione degli Enti inutili (tra cui i conventi), voluta dal Parlamento di Torino e la complicità di Papa Pio IX. Tutta la storia mi fu raccontata nei dettagli dal guardiano del Convento di San Francesco che rintracciai a Oristano.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il 25 dicembre 1866 il retablo venne quindi acquisito al demanio dello Stato.  Ma non lasciò la città: venne infatti custodito, prima presso l’asilo infantile fino al 1932 e poi nei locali del Liceo Scientifico Asproni.  Nel 1937 avvenne il trasferimento al museo di Cagliari per le operazioni di restauro che però, in realtà, si fecero a Pisa. I frati comunque si premurarono subito di raccomandare alle autorità competenti il sollecito rientro del capolavoro alla sede naturale.   Ma dopo sessant’anni nulla era cambiato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Madonna contesa

 

 

 

La mia battaglia iniziò con un articolo che uscì sulla Nuova il primo aprile del 1997 dal titolo deciso: “Il retablo deve tornare in città”.

La sera prima ero stato a casa  di Vera Vedda, presidentessa dell’associazione Lyons Club, che mi parlò di quelle preziose tavole dipinte dicendo che l’associazione era pronta a contribuire per realizzare un impianto di deumidificazione.  Dal canto suo l’amministrazione comunale pareva disposta a installare nella cappella un impianto antifurto.  Mi diede anche una fotografia del retablo da pubblicare, ma con la raccomandazione di restituirgliela.

Scendendo le scale del palazzo mi fermai a guardare quel dipinto pieno di colori e di personaggi religosi: ne rimasi folgorato e sentii in quel momento di dover compiere una missione: dovevo impegnarmi perché quel capolavoro del ‘500 tornasse a Iglesias, nella sua dimora d’origine e cioè nella cappella della chiesa di San Francesco perché era stato dipinto per stare là e non altrove. 

Il 16 aprile tornai alla carica con un servizio di un’intera pagina: tre articoli e un intervento del guardiano del convento Costantino Piras.

La Soprintendente ai Beni Artistici Francesca Segni Pulvirenti si mostrò subito un ostacolo insormontabile: “Il retablo è di proprietà demaniale, ma non solo: l’opera, facendo parte della collezione di quadri della Pinacoteca nazionale, è sottoposta  alle disposizioni della legge 1089 del ’39 secondo cui lo smembramento di collezioni aventi eccezionale interesse artistico e storico deve essere autorizzato dal ministero per i Beni Culturali e Ambientali”.  Insomma, la Pulvirenti non cedeva di un millimetro e gli interventi sul giornale proseguirono coinvolgendo associazioni come Italia Nostra e Lyons Club, oltre l’amministrazione comunale. 

Ma la Pulvirenti non sentiva ragioni e, anzi, rilanciava: “Un’eventuale ricollocazione del retablo nella chiesa di San Francesco dovrebbe essere preceduta da  un’intesa tra il Ministero dell’Interno e il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e da una specifica richiesta dell’autorità ecclesiastica.” E ribadì che non si poteva trasferire il retablo perché non c’erano le condizioni climatiche ambientali, cioè grado di umidità e microclima ideali per non danneggiare il dipinto. 

 

 

 

 

 

Nell’aprile del 1997 si arrivò a scrivere anche al ministro dei Beni Culturali Walter Veltroni, ma la risposta non fu certo risolutiva: “[…] l’opera in questione di proprietà demaniale [...] non può essere rimossa dall’attuale sede in considerazione delle esigenze di tutela della collezione di dipinti […] tenendo peraltro conto dei sentimenti della popolazione iglesiente, è disponibile a valutare la possibilità di una momentanea collocazione nel luogo d’origine in occasione di ricorrenze particolari […]” 

Nei mesi successivi, continuarono i contatti con i rappresentanti delle associazioni e con i politici auspicando anche una raccolta di firme.

Intanto i problemi si fecero incalzanti e ben presto tutti si sentirono coinvolti: il Vescovo, gli intellettuali, l’assessore comunale alla Cultura Maria Dolores Dessì e lo stesso sindaco Mauro Pili. 

In passato non erano state sufficienti le istanze presso il Ministero della Pubblica Istruzione che nel 1966 dichiarò: “L’opera, passata in proprietà dello Stato, può essere retrocessa solo per via diplomatica, con opportuni trattati fra lo Stato italiano e la Santa Sede".  Quindi, dopo il Ministero dell’Interno, si doveva avere anche l’approvazione del Vaticano.

E non bastò neppure un’interpellanza in Consiglio regionale presentata l’11 ottobre del 1977 dal consigliere Antonio Guaita e dal famoso archeologo Giovanni Lilliu che reclamò con forza il ritorno della Vergine.  Fu tutto inutile: anche se la Regione fu d’accordo, la spuntò Cagliari che si ergeva a capitale della cultura isolana e quindi non poteva privarsi del capolavoro del cinquecento.

Poi, per alcuni mesi, ci fu una pericolosa stasi, ma agli inizi del ’98 la mobilitazione riprese con maggior vigore tanto che il 26 maggio Francesca Segni Pulvirenti fece una visita a Iglesias annunciando: “Nel mese di ottobre il retablo potrà tornare in città, seppure temporaneamente”. 

Il 19 agosto scrissi un altro articolo intitolato ‘Il retablo di nuovo in città’.  Non c’erano novità, ma non volevo che si abbassasse l’attenzione e che da parte della Soprintendenza ci fossero ripensamenti. 

Finalmente...il ritorno. 

Il pomeriggio del 24 settembre 1998 la piazza San Francesco era gremita di folla. Con un ritardo di mezz’ora (ma cos’era in confronto ai sessant’anni di attesa), giungeva da Cagliari, scortato dalla polizia, l’ultimo e più prezioso pannello del retablo, quello della Vergine in attesa del Bambino. 

La notizia occupò un’intera pagina con tre articoli fra cui, quello principale della cronaca dal titolo ‘Commossi per il retablo’. 

La battaglia sembrava finalmente vinta.

Ci fu però un ultimo colpo di scena. Il 30 novembre giunsero i tecnici della Soprintendenza per il trasferimento del dipinto, ma trovarono la porta della cappella chiusa. Concessero altri dieci giorni.  Ma era l’ultimo colpo di coda.

Una volta tornato nella cappella, sarebbe stato molto difficile riportare via il prezioso polittico. In realtà ci provarono ancora, ma decine di fax e di lettere all’allora ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri, al sottosegretario Willer Bordon, al critico d’arte Maurizio Calvesi e al Vaticano, scoraggiarono le intenzioni. 

 “Il retablo non si tocca” intitolava un servizio grande mezza pagina.  Fu un avvertimento, o una minaccia di rivolta dei fedeli e dei laici.  Fu comunque l’ultimo che scrissi.  La battaglia era veramente vinta.

Finalmente, la Madonna che il Mainas aveva voluto raffigurare in attesa del Bambino Gesù (mi pare che nella Storia dell’Arte ci sia solo un altro esempio), poteva tornare al suo posto, arricchendo il patrimonio artistico della città e il cuore dei tanti cristiani.   (m.p.)

 

 

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