Nell’aprile del 1997
si arrivò a scrivere anche al ministro dei Beni Culturali Walter
Veltroni, ma la risposta non fu certo risolutiva: “[…] l’opera in
questione di proprietà demaniale [...] non può essere rimossa
dall’attuale sede in considerazione delle esigenze di tutela della
collezione di dipinti […] tenendo peraltro conto dei sentimenti della
popolazione iglesiente, è disponibile a valutare la possibilità di una
momentanea collocazione nel luogo d’origine in occasione di ricorrenze
particolari […]”
Nei mesi successivi,
continuarono i contatti con i rappresentanti delle associazioni e con i
politici auspicando anche una raccolta di firme.
Intanto i problemi
si fecero incalzanti e ben presto tutti si sentirono coinvolti: il
Vescovo, gli intellettuali, l’assessore comunale alla Cultura Maria
Dolores Dessì e lo stesso sindaco Mauro Pili.
In passato non erano
state sufficienti le istanze presso il Ministero della Pubblica
Istruzione che nel 1966 dichiarò: “L’opera, passata in proprietà dello
Stato, può essere retrocessa solo per via diplomatica, con opportuni
trattati fra lo Stato italiano e la Santa Sede". Quindi, dopo il
Ministero dell’Interno, si doveva avere anche l’approvazione del
Vaticano.
E non bastò neppure
un’interpellanza in Consiglio regionale presentata l’11 ottobre del 1977
dal consigliere Antonio Guaita e dal famoso archeologo Giovanni Lilliu
che reclamò con forza il ritorno della Vergine. Fu tutto inutile: anche
se la Regione fu d’accordo, la spuntò Cagliari che si ergeva a capitale
della cultura isolana e quindi non poteva privarsi del capolavoro del
cinquecento.
Poi, per alcuni
mesi, ci fu una pericolosa stasi, ma agli inizi del ’98 la mobilitazione
riprese con maggior vigore tanto che il 26 maggio Francesca Segni
Pulvirenti fece una visita a Iglesias annunciando: “Nel mese di ottobre il
retablo potrà tornare in città, seppure temporaneamente”.
Il 19 agosto scrissi
un altro articolo intitolato ‘Il retablo di nuovo in città’. Non
c’erano novità, ma non volevo che si abbassasse l’attenzione e che da
parte della Soprintendenza ci fossero ripensamenti.
Finalmente...il ritorno.
Il pomeriggio del 24 settembre 1998 la piazza San Francesco era gremita di folla. Con un ritardo di
mezz’ora (ma cos’era in confronto ai sessant’anni di attesa), giungeva
da Cagliari, scortato dalla polizia, l’ultimo e più prezioso pannello
del retablo, quello della Vergine in attesa del Bambino.
La notizia occupò
un’intera pagina con tre articoli fra cui, quello principale della
cronaca dal titolo ‘Commossi per il retablo’.
La battaglia
sembrava finalmente vinta.
Ci fu però un ultimo
colpo di scena. Il 30 novembre giunsero i tecnici della Soprintendenza per il trasferimento del dipinto, ma
trovarono la porta della cappella chiusa. Concessero altri dieci
giorni. Ma era l’ultimo colpo di coda.
Una volta tornato nella cappella, sarebbe stato molto difficile
riportare via il prezioso polittico. In realtà ci provarono ancora, ma
decine di fax e di lettere all’allora ministro dei Beni Culturali
Giovanna Melandri, al sottosegretario Willer Bordon, al critico d’arte
Maurizio Calvesi e al Vaticano, scoraggiarono le intenzioni.
“Il retablo non si
tocca” intitolava un servizio grande mezza pagina. Fu un avvertimento,
o una minaccia di rivolta dei fedeli e dei laici. Fu comunque l’ultimo
che scrissi. La battaglia era veramente vinta.
Finalmente, la
Madonna che il Mainas aveva voluto raffigurare in attesa del Bambino
Gesù (mi pare che nella Storia dell’Arte ci sia solo un altro esempio),
poteva tornare al suo posto, arricchendo il patrimonio artistico della
città e il cuore dei tanti cristiani. (m.p.)
|