PRO KURDISTAN

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Zoom sul Kurdistan

Intervista ad Ahmet C., rifugiato politico

L'ONU e la Regione Autonoma del Kurdistan iracheno

Iole Pinto dal Kurdistan iracheno

News: tre curdi uccisi a Nurettin dai 'Protettori di Villaggio'

News: Risoluzione Europea contro la Turchia

Noam Chomsky rinviato a giudizio in Turchia

Cinema - Il tempo dei cavalli ubriachi (rassegna stampa)

Lo sterminio di Halabja, 17 Marzo 1988

Collegamenti utili in italiano






Zoom sul Kurdistan

Intervista ad Ahmet C., rifugiato politico

Ahmet C., politico in contumacia, nato in Midyat (Turchia), scappa dalla
sua terra. Il troppo amore per la sua gente infastidisce i turchi, i quali
continuano imperterriti a cercarlo. Da sei mesi è in Italia e per la prima
volta racconta quella storia, ricca di scene di orrore e di paura,
che continua a tormentarlo. Nei suoi occhi: tristezza, malinconia, ma nella
sua voce decisione: "Tutti devono sapere. Il popolo curdo c'è: ecco come ci trattano".
Perché sei scappato?
"Per problemi politici. Io presi parte nel 1981 all'HDP, un partito
democratico popolare. Vissi per sette anni sulle montagne della
Turchia (il nome non ci è stato rivelato) dove io ed altri miei amici
aiutavamo i rifugiati curdi. Davamo loro tutto: vestiario, cibo, soldi…ma non armi."
Quali erano le vostre fonti di finanziamento?
"Il nostro lavoro, le nostre ricchezze, ognuno dava ciò che aveva. Noi
lasciavamo la nostra gente libera di utilizzare ciò che gli veniva dato.
Non imponevamo alcun vincolo. Sì, è vero, compravamo anche
armamenti, ma tengo a precisare che la nostra missione era solo
quella di aiuto: noi non facevamo la guerra. Il mio nome finì tra le
liste della polizia turca e fu da quel momento che non mi lasciarono più in pace."
Hai idea di chi possa essere stato a dare il tuo nome?
"Sì, chi non voleva bene alla mia gente."
Cosa fece a quel punto la polizia turca?
"Incominciò a cercarmi senza tregua e nel 1995 mi arrestò per la
prima volta. In carcere rimasi per un mese. Mi trattarono male, fui picchiato
però riuscii a ritornare in libertà."
Come?
"Finsi di non essere Ahmet C., loro ci credettero e mi rilasciarono."
Quante altre volte ancora sei finito in carcere?
"Altre due. Delle due però vorrei soffermarmi sulla seconda.
Ero ad una festa quando la polizia mi arrestò. Questa volta rimasi in carcere
per un mese e mezzo. Qui riuscii a far amicizia con un detenuto.
Gli parlai della mia "missione" e di quanto fosse importante per me essere
di nuovo libero. Egli fu disposto ad aiutarmi, così insieme mettemmo
in atto un piano che mi potesse permettere di scappare. A fargli visita
veniva regolarmente sua moglie, alla quale incaricò di dare mie
notizie alla mia famiglia e le raccontò quello che era il nostro piano.
Avrebbe dovuto portare con sé la volta successiva un abito simile al suo:
nero, lungo, con un cappuccio, tipico delle donne turche. Io avrei dovuto
indossarlo e andare via con lei. Il nostro piano riuscì alla perfezione
anche se non mancarono i momenti di panico e di incertezza."
Non pensasti però che la polizia una volta libero avrebbe preso
misure più restrittive nei tuoi confronti, ritorcendosi sulla tua famiglia?
"Sì, mi avrebbe sicuramente ucciso. Ma io dovevo ritornare sulle
montagne. Fui ricercato ovunque. A casa di mio fratello, non
trovandomi, lo picchiarono ma ciò che causò la sua morte fu
una foto di Ocalan e tre giornali curdi che egli nascondeva in casa. Il 14
Dicembre del 2000 fu ucciso. A quel punto capii che per me non
c'era altra via di scampo: dovevo scappare. Ad Istanbul mi imbarcai
e raggiunsi l'Italia."
Prima della morte di tuo fratello altri della tua famiglia furono già
vittime di violenze causate dalla polizia turca?
"Sì, nel '97 altri miei due fratelli, mio zio e i suoi due figli furono uccisi.
Sedevano ad un caffè con altre ventitré persone quando ad un certo
punto la polizia turca arriva ed arresta tutti. Il giorno dopo furono
ritrovati morti per le strade. "
Della tua famiglia in Turchia, chi hai lasciato?
"Mia sorella ed i miei quattro figli che vivevano con lei."
Hai contatti con loro?
"Da quando sono in Italia ho telefonato due volte a mia sorella che
mi ha proibito di farlo ancora. La polizia turca è stata da lei, la sua casa
è sotto controllo. Le hanno anche rilasciato un documento che
segretamente mi ha inviato. Qui sono riportate le pene che ho
scontato e la mia condanna a morte una volta che mi ritroveranno."
Giunto in Italia hai raccontato ad altri la tua storia?
"No, voi siete i primi a cui mi apro. Appena giunsi in Italia mi
interrogarono ma la paura che mi potessero rispedire in Turchia
era tanta, così mi finsi malato."
Qual è il tuo più grande desiderio?
"Che la guerra finisca per poter ritornare a casa e riabbracciare
le mie figlie. Ma, vorrei anche chi si avverasse un altro sogno: ritornare
ad essere cristiano. La mia famiglia, prima che giungessero i turchi
ed imponessero la loro religione musulmana, lo era."
Questa è la storia di uno dei tanti curdi sfuggiti dalla morsa del
nemico. Per loro essere in Italia, Germania, Francia, non ha importanza;
ciò che chiedono è un po' di pace e tranquillità in attesa di quella terra,
ora inesistente, dove potersi stabilire e vivere senza l'imperio di nessuno.

Maria Divittorio - Mariella Amodio

L'ONU e la Regione Autonoma del Kurdistan iracheno

I curdi del Kurdistan iracheno hanno bisogno di una soluzione politica

Dal "The Kurdistan Observer"

Nella regione curda dell'Iraq settentrionale, i curdi hanno
ottenuto l'autonomia dal 1992. Ora la popolazione teme che Saddam
Hussein ripristini il controllo politico e militare e commetta
nuove atrocità contro la popolazione civile.

Di Trude Falch e Ketil Volden

Trude Falch lavora come coordinatrice per i diritti umani nel Norwegian People's Aid
Ketil Volden lavora come coordinatrice per il Medio Oriente nella stessa organizzazione.


Le sanzioni che sono state introdotte contro l'Iraq

subito dopo l'invasione del Kuwait il 2 Agosto 1990,
hanno avuto conseguenze disastrose per la popolazione
civile irachena. C'è una pressione nazionale e internazionale
>
crescente per alleggerire le sanzioni economiche contro l'Iraq, ma in pochi discutono su cosa accadrà nella regione autonoma curda dell'Iraq quando le sanzioni saranno alleggerite. à nella regione autonoma Lconseguenza di una serie di eventi dopo il termine della 'autonomia curda in Iraq fu concessa in Guerra del Golfo nel 1991, gran parte della popolazione irachena insorse 1991. Nella primavera del contro il regime di Saddam Husseinrivolta fu sedata in Iran e Turchia, tra un milione e . Quando la mezzo e due milioni di persone fuggirono Il 1991, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU adottò la 6 Aprile Risoluzione chiedeva che fosse concesso alle 688, che condannava le atrocità irachene e organizzazioni umanitarie internazionali di operare in IraqNazioni Unite chiedevano in . Inoltre le particolare la protezione delle minoranze nazionali e in generale la protezione di tutta la popolazione civile irachenaComfort" ed entrarono all'interno . Le forze alleate lanciarono l'operazione "Provide dellmodo che i profughi potessero 'Iraq settentrionale per assicurare la protezione necessaria in tornare presso le loro caseregione a nord del 36esimo . Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU dichiarò la parallelo una zona di sicurezza per i curdizona di divieto di volo sopra la . Gli Stati Uniti stabilirono una stessa areairachene sull'assistenza , e le Nazioni Unite conclusero un accordo con le autorità umanitariaregione curda a nord del . Il 31 Ottobre 1991 le forze armate irachene si ritirarono dalla 36settentrionale del esimo parallelo, ma anche dalle aree più a sud di Suleimaniya e dalla zona distretto di Kirkuksulla regione curda . Le autorità irachene declinarono ogni responsabilità economica e iniziarono a loro volta un boicottaggio economico dellcommercio e il 'area. Ciò danneggiò tutto il pagamento di salari e pensioniscuola e sulla , ed ebbe severe ripercussioni sul sistema giuridico, sulla sanitKurdistan à. Nel 1992 furono indette delle elezioni per eleggere un'assemblea popolare nel irachenoricevette né , e fu stabilita una amministrazione regionale curda. L'autonomia curda però non aiuti nStati é un successivo riconoscimento dalla comunità internazionale. Le Nazioni Unite, gli Occidentali e i Paesi Arabi che fecero parte dellvollero 'alleanza contro l'Iraq durante la Guerra del Golfo, evitare una divisione dellavrebbe 'Iraq. Scelsero quindi di non operare per una soluzione politica, che imposto il riconoscimento internazionale dellil volere 'autonomia curda della regione in conformità con del popolo curdodella . Nel 1994, scoppiò una lotta interna tra i due maggiori partiti politici curdi regionestato , il KDP e il PUK. Da allora, il controllo sulla regione autonoma del Kurdistan iracheno è diviso tra i due partitidi . L'appoggio dell'ONU al Kurdistan iracheno incide sui negoziati con il regime Baghdad che durante tutto il periodo dalla Guerra del Golfo si organizzazioni è opposto alla presenza di non governative nella regione settentrionale del paeseorganizzazioni . Inoltre la massiccia presenza di durante i primi anni dopo il perché la Turchia 1991, quando molti villaggi furono ricostruiti, fu possibile permise loro di entrare nelle regioni curde attraverso il suo confine con lsettentrionale. Ma nel 'Iraq 1996 rappresentanze politiche e con la Turchia ha chiuso il confine per tutti, organizzazioni, giornalisti e ciche non servivano ò ha chiuso la via d'accesso principale alla regione per tutti i visitatori esplicitamente agli interessi turchi o che non avevano il permesso delle autoritirachene. Oltre il à Norwegian PeopleMinistero Norvegese 's Aid, che opera nel Kurdistan iracheno dal 1995 con l'aiuto del per gli Affari Esteriumanitaria internazionale , ci sono solo altre sette organizzazioni di assistenza presenti nella regionedall'isolamento della regione . Le condizioni di lavoro sono difficili e caratterizzate dal resto del mondopossibilità di giungervi. Il , specialmente in riferimento alle comunicazioni e alle senso delllocali e la società civile. 'isolamento è certamente molto maggiore tra le organizzazioni Attraverso lSicurezza dell'ONU nel 'accordo "Petrolio in cambio di cibo", approvato dal Consiglio di 1996distretti curdi dell'Iraq , il 13% dei proventi iracheni dalla produzione di petrolio vanno ai tre settentrionaledell'ONU evitano uno solido . Ciò ha migliorato la situazione umanitaria, ma le sanzioni sviluppo economico della regioneinterrotto con il sistema di . Il commercio con gli stati confinanti si è sanzioni delldell'accordo "Petrolio in cambio di 'ONU, e l'alto potenziale agricolo non è espresso a causa cibonelle regioni curde. Invece il cibo " che non permette acquisto di grano e di altri articoli alimentari proveniente da altri stati come Stati Uniti e Australia viene distribuitoLa società curda dipende negli . aiuti umanitari dalle Nazioni Unite nello stesso modo in cui prima dipendeva nei beni e nei servizi controllati centralmente dal regime irachenointernazionale del Kurdistan iracheno è . La protezione fortemente limitataquando Turchia e Iran bombardano le aree . La società internazionale non risponde incluse nella No Fly Zoneripetutamente operazioni militari nella regione . Inoltre, la Turchia compie senza alcuna reazione o sanzione internazionaleAgosto del 2000, 32 curdi, soprattutto donne e . Il 15 bambinipesante operazione militare irachena all'interno , furono uccisi in un attacco aereo turco. Una della regione autonoma curda nel Settembre ricevuto solo risposte simboliche. L'NPA ha 1996 ha seguito la situazione nel Kurdistan iracheno da vicinosolo concludere che dieci anni di zona di , e può sicurezza e di assistenza umanitaria non hanno dato ai curdi la sicurezza per la quale si erano battuti. La mancanza da parte della comunitconsiderare il problema non solo come à internazionale di umanitariofatto che non è stata trovata alcuna , ma anche come problema politico, ha contribuito al soluzione duraturaSaddam Hussein e l'assenza di . Le continue minacce da parte del regime di interesse politico dalla comunitfrustrazione, alla paura e alla à internazionale hanno condotto alla perdita di speranza il popolo curdoculturali nella regione stanno . Le strutture sociali, economiche e crollandoper cercare sicurezza in . Ogni anno 35.000 curdi rischiano la loro vita partendo dall'Iraq Europarappresenterà un serio . Se l'attuale regime iracheno ritorna nelle aree controllate dai curdi, ciò rischio per la popolazione e molto probabilmente condurrviolazioni dei diritti umani e à a gravi ulteriori allimplicano che le Nazioni 'oppressione. La serietà della situazione e la condizione dei curdi in Iraq Unite dovrebbero immediatamente prendere lsoluzione politica in modo da 'iniziativa di trovare una rendere lautonomia permanente e 'autonomia temporanea e di fatto dell'Iraq settentrionale in una riconosciutanel Consiglio di Sicurezza . La Norvegia, che guida la Commissione delle Sanzioni per l'Iraq dellpolitica deve essere basata sul 'ONU, può avere un ruolo importante in questo senso. Una soluzione principio del diritto dei popoli alldeve assicurare i diritti delle 'autodeterminazione e la soluzione minoranze e i diritti umani per i curdi in Iraqcontenere forme diverse di . Le varie alternative devono autonomia insieme ad un Iraq democraticonell'inviare un'esperta . Un primo passo può consistere commissione indipendente nominata dalldifferenti soluzioni e le 'ONU nella regione per valutare le proposte della genteun'eventuale riunificazione . La comunità internazionale dovrebbe garantire che tra regione autonoma curda e il resto del territorio iracheno non abbia luogo prima che essa non sia stata prima approvata da un parlamento democraticamente eletto nel Kurdistan iracheno. In ogni futuro negoziato tra regime iracheno e rappresentanti curdi per raggiungere un accordo insieme alldella loro debole 'Iraq, è necessario che i curdi abbiano un forte aiuto internazionale. A causa posizione negozialecredibile con il , infatti, sarebbe impossibile giungere ad un accordo duraturo e regime iracheno senza questo supportoduratura . Se le sanzioni sono alleggerite prima che una soluzione politica sia stata trovata per i curdi in Iraqcostante , è importante che essi ricevano una protezione internazionaleproventi . I curdi devono, inoltre, veder garantita la loro parte legittima sui della vendita del petrolio irachenoavrà una . Se viene ignorata la dimensione curda in Iraq, il mondo ne piDopo aver ù chiara testimonianza con una nuova tragedia di profughi curdi simile a quella del 1991. assistito a pesanti atrocituna à durante gli ultimi decenni, è maturo il tempo per l'elaborazione di soluzione politica per i curdi iracheni che prenda in seria considerazione i legittimi bisogni degli stessi curdi.

* Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in norvegese nel quotidiano "Aftenposten" il 25 Maggio 2001 sotto il titolo "L'ONU e i curdi iracheni".

Trad. di Stefano Savella

Iole Pinto dal Kurdistan iracheno (Dicembre 2001)

Quest'anno in Kurdistan ci sono tornata da sola, in novembre. Saremmo dovuti partire in tre, in dicembre. Avevamo programmato lavoro ed impegni per mantenerci liberi in quel periodo. Ma un mattino mi sveglia una telefonata dal Kurdistan, intuisco la voce della mia amica Bakshan, distorta dall'eco del satellite, interrotta da pause ed interferenze da telefono di embargo. "E' meglio che venite ora, perché poi dopo il Ramadan... chissà". E' caduta la linea, d'altronde ogni altra parola sarebbe stata spreco, inutile aggiunta a quel "dopo chissà". Il confine sul Tigri è l'unica via d'accesso al Kurdistan iracheno possibile per stranieri come noi che vanno in Kurdistan senza essere dell'ONU, senza cioè poter passare per Baghdad. Varco precario, chiuso a singhiozzo dai siriani ad ogni minaccia di guerra e bombardamenti in Iraq. Dovevo partire in fretta, c'era il rischio "dopo-chissà" di trovare chiuso. Aspettare solo il tempo necessario a cambiare in dollari gli aiuti raccolti durante l'anno per i bambini e per le donne di laggiù, orfani e vedove di un genocidio dimenticato. C'era il sole al mio arrivo sul Tigri, l'acqua era chiara, l'aria dolce dell'autunno del sud. Crudele la bellezza di questo Eden ferito, terra di fuga, luogo di non ritorno per migliaia di profughi, ora più che mai, dopo dieci anni di "protezione" dell'ONU. Dieci anni di "no flying zone" che hanno cancellato dal cuore dei Kurdi ogni speranza di ricostruzione, ogni sogno di un avvenire di pace nella loro terra, dopo anni di deportazioni, persecuzioni, bombardamenti chimici. Dieci anni che non sono valsi a sradicare dal terreno nemmeno la millesima parte dei dieci milioni di mine antiuomo, lasciate lì in ricordo delle passate persecuzioni, tragico souvenir del made in Italy. Dieci anni di confini chiusi alle rare organizzazioni umanitarie che entrano in Kurdistan clandestinamente, con mille difficoltà, su una barchetta che fa la spola tra le sponde del Tigri. Si contano sulle punta delle dita di una mano: Emergency, Norwegian People Aid, Diakonia, France Liberté e poche altre. Solo l'ONU è legittimata ad operare ufficialmente nell'area kurda "protetta". Ma tutti i progetti di cooperazione devono ricevere l'approvazione di Baghdad. Come conseguenza di questa sorta di "doppio embargo" quest'anno due miliardi di dollari destinati all'area kurda sono rimasti congelati nelle casse dell'ONU, che non muove un dito senza il consenso di Baghdad. D'altra parte "sarebbe davvero strano trovare un funzionario delle Nazioni Unite talmente motivato allo sviluppo del Kurdistan, da rischiare di perdere un posto da diecimila dollari al mese". E' un commento ricorrente qui in Kurdistan, dove la gente si è dolorosamente rassegnata alla scandalosa inefficienza dell'ONU, a sprechi e corruzioni della burocrazia del doppio embargo. Una terra di antica tradizione agricolo pastorale, la mezza luna fertile, dove diecimila anni fa ebbe inizio l'agricoltura, dipende oggi, a dieci anni dalla fine della Guerra del Golfo, dagli aiuti alimentari della FAO, da l grano e dai prodotti dell'agricoltura occidentale provenienti da Stati Uniti, Europa o Australia. L'accordo "Oil for Food" "Petrolio in cambio di Cibo", proibisce espressamente l'acquisto di cereali e beni prodotti in Kurdistan. Oggi i Kurdi dipendono d agli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, che li protegge, allo stesso modo in cui, fino a dieci anni fa, dipendevano dal controllo centralizzato di beni e servizi del regime iracheno, che li perseguitava. Ed a causa dell'embargo non è nemmeno possibile l'esportazione dei prodotti agricoli fuori dal Kurdistan. Unica possibilità di sviluppo per i Kurdi resta il contrabbando, o la fuga da clandestini, con il rischio di saltare sulle mine Valmara o di morire nelle barche della disperazione in rotta per l'Europa. Solo in questi casi i confini si aprono. Così come si aprono, da sempre, ad armi ed eserciti, nella zona kurda "protetta" dall'ONU. Da sempre si respira aria di guerra qui in Kurdistan. Ma ora la situazione sembra diventata più grave, più dura per chi assiste da spettatore impotente. Carri armati turchi ed iracheni si fronteggiano in prossimità dei monti verso Amedye, ai confini con la Turchia. La sensazione è quella di una guerra incombente. I proclami minacciosi di Saddam trasmessi di continuo alla televisione irachena si fanno incalzanti: "riprenderemo il Kurdistan quando e come vogliamo". Gli effetti collaterali di possibili nuovi "bombardamenti umanitari" i Kurdi se li sentono già addosso. I giorni della fuga sotto le bombe chimiche si riaffacciano come un incubo nella memoria collettiva, a dieci anni dall'ultimo esodo, quello di un milione e mezzo di kurdi, verso Turchia ed Iran. In ogni casa, in ogni villaggio, si raccolgono uvetta e frutta secca, da portare in tasca per sostenersi in caso di fuga. Ora che sono qui capisco fino in fondo le parole della mia amica in quella confusa conversazione telefonica, quel "dopo chissà" pesa addosso alla gente, ora più che mai. Sensazione di insicurezza, di insopportabile isolamento, che da sempre accompagna chi vive nella "no flying zone" e che ora sembra dilatarsi all'infinito. Negli ultimi mesi si sono aggiunti gli "Jund al Islam" (Soldati dell'Islam) a sconvolgere i già precari equilibri in questa terra dimenticata. Si tratta di un esercito di mercenari arabi guidati da Abdullah Al Shafi, un arabo afgano, che pare abbia stretti legami con Bin Laden ed Al Qaida. I terroristi islamici, addestrati a Kandahar, hanno stabilito basi consistenti in due villaggi del Kurdistan iracheno nei pressi di Halabja, e hanno dichiarato guerra ai due principali partiti kurdi del Nord Iraq, PDK e PUK, ed a tutte le altre correnti islamiche. Hanno poi intrapreso una serie di atti terroristici in tutto il Kurdistan, con l'assassinio di esponenti politici kurdi e persino di un famoso cantante, Arjuman Howrami, colpevole di bestemmia contro l'Islam. Ma il fatto più grave è avvenuto ad Halabja, alla fine di Settembre. A tredici anni dagli atroci bombardamenti chimici di Saddam Hussein, i Kurdi di Halabja sono stati ancora una volta vittima di un orrendo crimine, questa volta per mano dei Soldati dell'Islam. Quaranta "peshmerga" (partigiani) del PUK (Unione Patriottica del Kurdistan) sono stati ammazzati mentre erano raccolti in preghiera in una moschea. Li hanno ritrovati con i corpi dilaniati ed orrendamente mutilati. Per qualche settimana Halabja è stata teatro di forti scontri. I terroristi islamici hanno occupato militarmente Halabja, hanno chiuso le scuole femminili, hanno imposto le loro consuete leggi, vietato musiche, danze, fotografie, vietato alle donne di mostrare il volto. Il PUK ha poi ripreso il controllo di Halabja, ma i Soldati dell'Islam continuano ancora ad avere basi in alcuni villaggi del Kurdistan iracheno ai confini con l'Iran, continuano ancora ad intimidire le donne, a minacciare la popolazione inerme. Ho incontrato alcune vedove di Halabja. Mi sono vergognata di saperne così poco di queste recenti vicende. Sulla pelle hanno ancora le cicatrici dei bombardamenti chimici. Cicatrici che non si rimarginano. Le loro tragiche storie continuano a consumarsi al buio, ora come allora. Sono fiere dei corsi di cucito e di computer iniziati da un anno con gli aiuti che abbiamo portato. Per fortuna le loro scuole non sono state distrutte dai terroristi. Potranno riprendere anche per quest'anno. Con gli aiuti di Siena riprenderà anche lo scuola bus che porta a scuola le ragazze dai campi profughi e dai villaggi nei pressi di Duhok. Fanno parte anche loro della schiera degli ottocentocinquantamila kurdi etichettati come "IDP" "Internally Displaced People" "rifugiati interni". Scacciati da città e villaggi controllati dal regime iracheno, che continua la politica di "arabizzazione" del territorio, si sono accampati in Kurdistan in tendopoli, in alloggi di fortuna, in vecchi campi di concentramento e carceri, usate un tempo da Saddam nelle campagne di sterminio dei Kurdi. Ora come allora non c'è ONU nè UNICEF ad assisterli. Le loro tragiche storie continuano a consumarsi nel buio. Un buio pieno di nomi di mogli, di madri, di figli che nessuno potrà più pronunciare. Nomi dei tanti esodi che nessuno ricorda. L'anno scorso lo scuola bus era solo per trenta bambine. Quest'anno saranno in cento a prenderlo. Le maestre non credono ai loro occhi. Difficile descrivere la gioia impressa sul loro volto. Il loro incredibile sorriso ci dà l'entusiasmo per continuare a portare fin qui questi pochi granelli di sabbia. Qui se ne comprende fino in fondo il valore. "Ser ciaua " mi dicono le donne per salutarmi, prima della partenza. E' un antico saluto kurdo. Più che un saluto è una benedizione, un augurio, una promessa di ricordarti per sempre. Significa "ti porto sugli occhi". " Ser ciaua " donne e bambini del Kurdistan, portarvi negli occhi e non dimenticarvi è tutto quello che mi rimane per voi.
Iole Pinto

Ultime Notizie: Risoluzione europea contro la Turchia

(www.kurdmedia.com)

IL CONSIGLIO D’EUROPA APPROVA UNA NUOVA RISOLUZIONE SULLE FORZE DI SICUREZZA TURCHE RIGUARDO I CONTINUATI ABUSI SUI DIRITTI UMANI.
(11-07-2002)

Il 10 Luglio 2002, La Commissione dei Ministri del Consiglio d’Europa
ha approvato una nuova risoluzione che condanna i notevoli e scorretti
abusi sui diritti umani commessi dalla forze di sicurezza turche e ha spinto la
Turchia ad “accelerare senza indugio” le riforme al suo sistema nel processare
i membri delle forze di sicurezza.

Riferendosi ad oltre quaranta sentenze contro la Turchia pronunciate
dalla Corte Europea per i Diritti Umani tra il 1996 e il 2002, la maggioranza
delle quali è stata proposta dal Programma Curdo per i Diritti Umani
(KHRP), la Commissione ha notato con profonda preoccupazione che le forze
di sicurezza turche sono state continuamente responsabili di omicidi, torture,
rapimenti e distruzione di proprietà in diretta violazione della Convenzione
Europea per i Diritti Umani. La Commissione ha inoltre sottolineato che queste
violazioni sono state commesse in assenza di  effettivi provvedimenti interni
verso i responsabili rappresentanti dello Stato.

In questa nuova risoluzione, che segue quella promulgata
nel 1999, la Commissione dei Ministri ha gradito i recenti sforzi della Turchia
di adottare le riforme necessarie. Tuttavia, i Ministri si sono particolarmente
preoccupati della serie continua di nuove dichiarazioni di tortura e di trattamento
dei malati portate contro la Turchia davanti alla Corte Europea. La Commissione
ha sottolineato che l’effettiva prevenzione di nuovi abusi richiede,
oltre al riordino delle forze di sicurezza, un autentico cambiamento nei
comportamenti dei membri delle forze di sicurezza, tanto quanto un ricorso a decisi
provvedimenti interni, come adeguato risarcimento per le vittime e un
effettivo procedimento penale nei confronti di quegli ufficiali che violano la Convenzione.

Di conseguenza la Commissione ha richiamato la Turchia
a concentrare i suoi sforzi sulla totale riorganizzazione delle forze di polizia
e di gendarmeria, ad effettuare urgentemente le necessarie riforme penali,
e continuare a migliorare la protezione di persone private della loro
libertà, con lo scopo di dissuadere membri delle forze di sicurezza nel compiere
nuove violazioni dei Diritti Umani.

Commentando questa risoluzione, il Direttore Esecutivo del KHRP,
Kerim Yilidiz, ha affermato, “Il KHRP accoglie questa risoluzione sulle gravi
violazioni dei Diritti Umani commesse dalla forze di sicurezza in Turchia.
Noi speriamo che la Turchia si adeguerà prontamente e esaurientemente alle
raccomandazioni della Commissione così da rassicurarci che tutte le violazioni
possano giungere presto ad una fine”.

Il testo della temporanea Risoluzione è consultabile sul sito www.coe.int

Ultime Notizie: Ansar Al-Islam attacca il PSK

(www.kurdmedia.com)

ANSAR AL-ISLAM ATTACCA IL PARTITO SOCIALISTA DEL KURDISTAN.
(11-07-2002)

Londra, 11-07-2002  -  Le forze di Ansar Al-Islam hanno attaccato le basi del Partito Socialista del Kurdistan attraverso i Monti Suren. Lo riferisce Halabja Site Today. 

I combattimenti sono ancora in corso e i Socialisti hanno riportato la perdita di due dei loro attivisti. 

Ansar Al-Islam è un gruppo fondamentalista islamico, aiutato da numerosi paesi, inclusi Iran, Afghanistan e i Paesi Arabi del Golfo Persico. 

Uno dei suoi leader, conosciuto come Mala Krekar, di nazionalità norvegese, è attualmente in visita in uno dei Paesi Europei.

trad. di Stefano Savella

 

Noam Chomsky rinviato a giudizio in Turchia

di Orsola Casagrande, Il Manifesto del Febbraio 2002

La Turchia "processa" Chomsky
"Istigazione al separatismo", Noam Chomsky a Istanbul a fianco
del suo editore Fatih Tas sotto processo

Noam Chomsky sarà in Turchia, a fianco del suo editore Fatih Tas da
oggi sotto processo. Tas rischia anni di carcere per aver pubblicato una
raccolta di saggi di Chomsky definita, si legge nell'atto di accusa,
"propaganda contro l'indivisibile unità del paese, della nazione
e dello stato della Repubblica di Turchia". Quello all'editore di Chomsky
è soltanto l'ultimo di una serie infinita di processi, denunce,
sequestri di libri, riviste, dischi, cassette di materiale definito
"separatista". Il processo che si apre oggi godrà di qualche copertura
internazionale 'grazie' al fatto che coinvolge uno scrittore conosciuto
e famoso. Ma il 2001 è stato un altro anno di lotta alla cultura. E il 2002
si è aperto all'insegna di processi contro editori e scrittori. Oltre a
Chomsky e Tas, infatti, a finire sotto accusa (per l'ennesima volta) è
uno dei più importanti scrittori kurdi, Memhed Uzun. Questa volta
Uzun è accusato dal tribunale per la sicurezza dello stato di
Diyarbakir di istigazione al separatismo: rischia tra i cinque e gli otto
anni di galera. Il processo è fissato per l'otto marzo e il tribunale ha anche
emesso un mandato di cattura per Uzun, che vive da anni in Svezia.
L'accusa si riferisce ad una conferenza sul suo lavoro letterario che
lo scrittore ha tenuto a Diyarbakir il 15 gennaio 2000 di fronte a seimila
persone. L'editore di Uzun in Turchia, Hasan Oztoprak è stato più volte
chiamato in tribunale. L'ultima volta, il 29 gennaio, gli è stato
contestato il contenuto del volume "Creare una lingua" (Bir
dil yaratmak) nel quale Mehmed Uzun parla di una cultura e di una letteratura
kurde distinte e della necessità di riscoprire e riappropriarsi della
propria lingua. Sotto la scure della censura è finita anche l'ex
presidente della commissione parlamentare sui diritti umani,
Sema Piskinsut. Subito rimossa dall'incarico dopo aver dichiarato
che la tortura in Turchia è pratica sistematica, Piskinsut ha scritto un
libro sulla tortura. La polemica è esplosa e i tribunali si stanno già
muovendo per incriminare la scomoda deputata (che ha
creato un suo partito) e ordinare il sequestro del libro. La band di
sinistra più famosa, Grup Yorum, ha una storia lunga quanto la sua
esistenza con tribunali, galera, tortura, sequestro di dischi e censura.
L'ultimo lavoro del gruppo "Feda" (si potrebbe tradurre con
sacrificio) dedicato ai detenuti politici in sciopero della fame da oltre
un anno, è stato ritirato dai negozi di dischi per ordine
dei magistrati. Le autorità non hanno risparmiato neanche
una agenda in kurdo distribuita in un'assemblea del partito Hadep
a Bursa. Lo stesso Hadep è nuovamente sotto processo da qualche
settimana: il pubblico ministero ha chiesto la chiusura
del partito per attività di sostegno al Pkk, il partito dei lavoratori del
Kurdistan. E' in questo contesto di repressione che si svolgono in tutto
il paese manifestazioni di studenti universitari
e delle superiori che chiedono di poter studiare il kurdo a scuola
e all'università. Con centinaia di arresti e decine di denunce:
basta firmare la petizione che chiede l'introduzione del kurdo nel curriculum
per essere arrestato e accusato di separatismo. L'Europa, che pure
aveva chiesto alla Turchia di mettere in moto riforme in direzione
di un maggior rispetto dei diritti umani e della libertà di pensiero e
opinione, dopo qualche timida protesta verso il governo di Bulent Ecevit
per gli studenti arrestati, ha scelto il silenzio. Anche di fronte
alle centinaia di detenuti politici ancora in sciopero della fame.
Anche di fronte alla importante decisione del Pkk di cambiare nome e
modificare la sua strategia e le sue strutture in Turchia e in Europa.
Puntuale invece il commento sulla scelta del partito di Ocalan è arrivato
dai maggiori quotidiani turchi che "subodorano l'inganno". In un
editoriale il moderato Cumhuryet scrive infatti che il Pkk ha cambiato
nome d'accordo con l'Unione europea che proprio per questo
non l'avrebbe inserito tra le organizzazioni terroristiche.

Ultime notizie: tre curdi uccisi a Nurettin (Tur)

(www.kurdmedia.com)

IL SISTEMA DEI “PROTETTORI DI VILLAGGIO”  DEL GOVERNO TURCO ALLA BASE DELL’OMICIDIO DI TRE CITTADINI CURDI (12-07-2002)

Il 9 Luglio 2002, Yusuf Unal, Abdulsamet Unal e Abdurrahim Unal, in passato residenti nel villaggio di Nurettin, nella provincia di Mub, nella Turchia orientale, sono stati presumibilmente assassinati dai locali protettori del villaggio che operano per conto del governo turco. Poco prima della loro morte, i tre uomini, insieme con altri 13 uomini dello stesso villaggio, si erano rivolti per una consulenza legale al Programma Curdo per i Diritti Umani (KHRP).  

Dalla metà degli anni ’80, alcuni abitanti dei villaggi curdi sono stati costretti ad unirsi al Sistema dei Protettori di Villaggio (koruculuk), un reparto militare territoriale sviluppato e armato dal Governo Turco per controllare la popolazione curda. Questo gruppo, che è stato implicato in molteplici gravi violazioni dei diritti umani nella Turchia sud-orientale, è stato anche scoperto essere coinvolto nelle sistematiche evacuazioni dei villaggi curdi eseguite per ordine delle forze di sicurezza turche. Si contano attualmente circa 65.000 protettori di villaggi. 

Il 27 Novembre 1993, il villaggio di Nurettin fu assalito da centinaia di soldati turchi e di protettori di villaggio, che distrussero gran parte del villaggio e deportarono i residenti locali dalle loro case. Gli abitanti denunciarono che, con l’assenza di questi ultimi, le case e i campi del villaggio furono ingiustamente occupati da questi protettori di villaggio. Nonostante numerose petizioni firmate dagli abitanti del villaggio, le autorità turche rifiutarono costantemente alla popolazione di Nurettin deportata all’interno il diritto di ritornare alle loro case. Alla fine dell’anno scorso, tuttavia, gli abitanti hanno ricevuto un permesso a breve termine per poter lavorare nei campi che avevano precedentemente posseduto. I parenti delle tre vittime dichiarano che, dopo il loro ottavo giorno di lavoro, i tre erano in procinto di lasciare il villaggio quando sono stati mortalmente attaccati dai protettori di villaggio armati con pistole e coltelli. 

Prima della loro morte, i 3 uomini con altri 13 precedentemente abitanti di Nurettin, si erano rivolti al Programma Curdo per i Diritti Umani per chiedere di portare i loro casi davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani. Il KHRP stava preparando le loro richieste.

trad. di Stefano Savella

Cinema - Il tempo dei cavalli ubriachi
titolo originale: "Zamani baraye masti asbha"
Rassegna stampa (www.luckyred.it)

CIAK - Marzo 2001
La durissima vita di cinque fratelli in un villaggio al confine
tra Kurdistan iraniano e Iraq. Per salvare il più giovane dei cinque,
affetto da una gravissima malattia che necessita una costosa e urgente
operazione, in famiglia tutti si ingegnano per recuperare il denaro.
La sorella più grande accetta di sposarsi e il primogenito, dopo mille
lavori, si mette a fare il contrabbandiere.
Opera prima del regista curdo Bahman Ghobadl (già assistente di Kiarostami
in "Il vento ci porterà via" e attore in "Lavagne" di Samira Makhmalbaf),
il film, tratto da una storia vera e interpretato dagli abitanti delle città
di Sardab e Bane, ha vinto la Caméra d’Or (destinata agli esordienti)
all'ultimo festival di Cannes.
Spiegazione del titolo: i contrabbandieri del luogo, per far si che i cavalli
resistano alla fatica e al freddo, sono soliti aggiungere robuste quantità di alcool
nel cibo e sbagliando le dosi, le bestie si ubriacano.

Le Studio ha scritto:
"Colpo d’essai, colpo da maestro! Con il suo primo lungometraggio, l’iraniano
Bahman Ghobadi firma un’opera intensa e delirante, ricompensata giustamente con la Camera d’Or."


LA REPUBBLICA - 1 APRILE 2001 - DI ANTONIO GNOLI
Il cinema a volte può salvare la vita, oltre che raccontarla. Ne "Il tempo dei
cavalli ubriachi" c'è Madi che ha quindici anni, ma ne dimostra sei. Madi è un bambino
curdo. Dov'è la speranza, direte, per un popolo che ha una nazione, ma non ha uno Stato?
Dov'è la speranza per un bambino che ha ancora una famiglia ma non i mezzi per potersi curare?
Madi infatti soffre di malformazioni alle ossa ed è affetto da nanismo. La sua speranza di vita
non va oltre i due anni.
Il tempo dei cavalli ubriachi dell'iraniano Bahaman Ghobadi ha già avuto diversi riconoscimenti,
fra cui un premio importante all'ultimo festival di Cannes. Uscirà nelle nostre sale a giorni.
E forse il premio più ambizioso e più bello, sarà vedere l’intervento di un gruppo di medici
che proverà a salvare Madi. Non solo lui naturalmente, ma tutti quei bambini affetti da patologie,
malformazioni, che nel Kurdistan versano oggi in condizioni gravi o critiche.
È un film dolente e misurato. Ma soprattutto è girato a partire da una storia vera, con personaggi veri:
il tempo reale e il tempo della finzione hanno la stessa drammatica scansione in questo inverno
che ha coperto di neve il Kurdistan iraniano, misero e aspro teatro della storia. La vicenda narrata
con i movimenti di una macchina da presa tenuta a mano, si svolge prevalentemente nei pressi del confine
con l'Iraq. Nei villaggi poveri e martoriatl dalla guerra. In uno di essi vive la famiglia del piccolo Madi.
Tutto gravita attorno alla figura del bambino handicappato: le cure della madre, l'affetto della sorella,
gli sforzi del fratello per alleviarne le pene sono il segno di un amore sincero. Ma un tale sentimento
non basta. Se vuole ancora sperare di vivere, Madi dovrà essere operato. Occorrono soldi che la famiglia
non ha. Forse si potranno ottenere se la sorella più grande sposerà un iracheno che in cambio si dice
disposto ad aiutare il bambino. Ma non se ne ricava molto. La famiglia di lui donerà un mulo con cui
alla fine lo straordinario Ayoub, fratello di Madi, attraverserà il confine fra i due Kurdistan.
Ayoub è il vero tessitore di questo misero e straordinario tappeto: lavora duramente per risparmiare
i soldi per l'operazione. Ma deve mantenere anche il resto della famiglia. Accetta di mettersi al servizio
dei contrabbandieri pur di acquistare il cibo, i quaderni per la scuola della sorella, e pensare a Madi
che spesso porta con se sulle spalle. ll lavoro è precario, ad accrescerne le insidie ci sono le imboscate
dei militari. Improvvisamente questa terra ammantata di neve mostra la sua infinita desolazione: essere
storia senza storia, natura senza compiacimenti.
È singolare come Ghobadi che è stato assistente di Kiarostami si distanzi da quel cinema iraniano che ha
fatto del paesaggio uno dei protagonistii dell' impoliticità. Le rare volte in cui Ghobadi sembra aprire
lo sguardo alla natura è per dettame la sua visione estrema, per dirci che il massimo della visibilità -
l'orizzonte su cui si distende il nostro sguardo- corrisponde per così dire al massimo del dolore. Non c'è
compiacimento estetico: c'è solo uno spazio riempito da una storia. Qui tutto è povero e cencioso. Lo è
commisurandolo alla grandezza occidentale, allo splendore metropolitano, a quelle illusorie individualità
che si nutrono di tutto, perché tutto possiedono o aspirano a possedere. L'Occidente non spera, realizza.
L'Occidente non sogna, al più analizza ciò che immagina di sognare.
Vedendo Il tempo dei cavalli ubriachi ho pensato che lo scarto fra noi e loro sia commisurato sulla diversa
dislocazione che ha il dolore. Scorrevano le immagini del film iraniano e pensavo a: La stanza del. Figlio
di Moretti. Ci sono modi differenti per piangere, per esprimere quel sentimento di arcana sensibilità che
a volte chiamiamo emozione. Ma c'è un modo prevalente da noi per dirlo: le lacrime. Come l'innamoramento
così le lacrime sono qui una fatto individuale, esse svelano un individuo. Per questo si preferisce piangere
in segreto, quasi a coprire un gesto di evidente debolezza. Improvvisamente sentiamo di essere umani e
insignificanti. Come è diverso il dolore percepito in quel mondo in cui l'Occidente è solo una pallida ombra,
un riflesso fastidioso di una presenza che c'è ma è confinata in qualche notazione a margine. Un ridicolo
poster di un giovane Arnold Swarzenegger dentro una povera casupola ci suggerisce che un lembo di America
si è fatto strada nel sogno di qualche adolescente. Il resto è natura, dalla fisionomia arcaica. Non si
vedono oggetti da noi familiari: le case sono spoglie, manca la televisione, i computer, i mezzi di trasporto
sono per lo più rappresentati da muli i "cavalli ubriachi" cui vengono fornite razioni di alcol per fargli
sopportare la fatica e il freddo. Gli attrezzi da lavoro sono rudimentali. Il solo richiamo alla tecnologia
sono le mine disseminate lungo tutto il territorio. Ci ricordano di un popolo che ha una identità, ma non un
riconoscimento. Che conta trenta milioni circa di persone sparse prevalentemente in paesi, come la Turchia,
la Siria,l'Iraq e l'Iran, e trattate con evidente ostilità.
Il dolore si riassume dunque in una perdita storica: è un fatto collettivo, prima ancora che privato.
È memoria innanzitutto: un sentimento che ci mette in contatto con le cose mute. Con il silenzio del mondo.
Il dolore che l'Occidente ama sperimentare lacera, urla, divide. Il dolore che percepiamo nel film di Ghobadi
ricompatta le tensioni in un fiume lento di emozioni. Non sai dove cominciano e dove finiranno. È come se la
natura, con le sue leggi, provasse a prendere lentamente il sopravvento, ma alla fine cedesse al dubbio: che
farne di un popolo? C'è stato un tempo in cui il cinema desiderava essere politica. Immedesimarsi con essa.
Non importa se come testimonianza diretta, denuncia, trasgressìone o magari pura e semplice alternativa
all'universo che si rappresentava. Gli equivoci che hanno segnato una tale stagione sono inferiori solo al sogno
palingenetico con cui si è vissuta l'idea che ci fossero davvero mondi migliori, sorretti da una qualche
perfezione da esplorare e poi realizzare. È su questa forma di scacco che ci pare sia nato un cinema politico
che rinuncia a proclamarsi tale. In questo senso "Il tempo dei cavalli ubriachi" è politica non già perché
esibisca un soggetto forte che si identifichi con il bene e lotti contro il male. Si direbbe anzi che nel cinema
di Ghobadi sia una certa forma di dolore a suggerire che il solo efficace gesto politico è il diritto alla durezza
della realtà. Il gruppo di bambini che lavora a imballare bicchieri dl vetro, con cui il film si apre, e il
fIlo spinato che Ayoub, Madì e il mulo superano alla fine, indicano il solo punto in cui la politica oggi esprime
il suo conflitto pìù alto: e cioè il rapporto inclusione-esclusione. Nessuno sa esattamente cosa accadrà al terzetto
(Ayoub, Madì e il mulo) nel momento in cui sconfinano nel Kurdistan iracheno. Non c'è risposta; c'è solo il filo
spinato che è lì a includere e ad escludere appunto semplici vicende esistenziali. Per quante risposte si possano
immaginare, non ce ne è una che ci sollevi da questa nuda evidenza. Angeli custodi o medici permettendo.


VIVI IL CINEMA - 20 FEBBRAIO 2001 - DI DOMENICO BARONE.
[...] Come Anghelopoulos nel passo sospeso de "La cicogna" e "L'eternità e un giorno", Ghobadi racconta come
testimone oculare infanzie negate e perdute lungo il confine del Kurdistan, terra di nessuno in cui la stanchezza
e la paura sono compagne inevitabili di miserie ed indifferenze. E' un altro sguardo su coraggio e sacrificio,
compresso dentro tempi sospesi ma essenziali, ma se Kiarostami indugia nella personale ripetitività poetica e
Mohsen Mahkmalbaf eccede nell'uso di metafore, intrecciando spesso tradizione orale e saggezza popolare, Ghobadi
sceglie di non concedere nulla alla struttura melodrammatica del racconto, ne di abusare nell'uso ricattatorio
del dolore e del pietismo di maniera. "II tempo dei cavalli ubriachi", rivelazione dell'anno, emoziona con la
forza pittorica delle immagini ed annulla l'impercettibile distanza, marchio caratteristico del cinema iraniano,
tra finzione e realtà, cercando, per quanto sia possibile, un equilibrio nel filmare il pudore della sofferenza.
E' una favola di sopravvivenza, senza tempo, immersa dentro un paesaggio innevato, come per dilatare la dimensione
ostile della natura, eternamente matrigna, che resta insensibile alla tragedia, agli imbrogli dei contratti matrimoniali,
alle possibilità di salvezza; è una lotta silenziosa in cui gli adolescenti sono costretti dalla vita a diventare
grandi e subiscono, senza reagire, i violenti soprusi dei più forti, sfruttatori quotidiani senza identità.
Ghobadi, "maestro-sandwich" su e giù per le colline del Kurdistan in "Lavagne", dirige con essenzialità,
conservando autorevolezza e integrità morale e condensa in ogni inquadratura la possibilità della
salvezza ed il sogno irrealizzabile, per i contrabbandieri bambini, di essere restituiti ai divertimenti
di un'età mai vissuta. "II tempo dei cavalli ubriachi" è una storia di viaggi e traffici, alla ricerca
della speranza raccontata, fissando gli occhi dei piccoli uomini dimenticati in cui l'autore riproduce
la durezza delle semplici azioni quotidiane, azzera i dialoghi, e come un cronista di altri tempi cerca
emozioni dirette dentro le immagini di un cinema universale e sincero, che segue letteralmente le lezioni
del neorealismo e di Rossellini, dimenticate da molti cineasti europei.


LA NAZIONE
Ottanta minuti duri e puri, da non perdere. Piccola grande storia interpretata dai protagonisti,
cinema- verità sui bambini curdi orfani che resistono in un villaggio, tra le montagne innevate,
ai limiti della sopravvivenza. Vi resteranno nel cuore gli occhi neri del piccolo, deforme Madi,
trasbordato in una sacca sul fianco del mulo che il fratello deve vendere oltreconfine, per
raccogliere i soldi di un'operazione necessaria e disperata (allungherà la vita di Madi per pochi mesi).
Quando la sorella viene assegnata in sposa per alleggerire la famiglia, la separazione apre un finale
memorabile. C'è un montatore di ripresa diretta nel cast tecnico, per dire la povertà e la verità del set
guidato dall'iraniano esordiente Bahman Ghobadi, allievo di Kiarostami. Più concreto, meno formalista
delle "lavagne" di Samira Makhmalbaf. Per conoscere e assaggiare la vocazione rapace e umanitaria del cinema.
Un film nel vento della Storia. Premio Camera d'Or a Cannes.


KATAWEB CINEMA - DI FRANCO MONTINI.
Consapevole dell'estrema drammaticità della materia narrata, che tra l'altro è in buona parte
autentica, con i piccoli protagonisti chiamati ad interpretare se stessi nella loro esperienza
quotidiana, il regista Bahman Ghobadi ha giustamente privilegiato una narrazione semplice, lineare,
quasi documentaristica. L'occhio della cinepresa appare sempre distante dai fatti narrati e tuttavia
il film risulta estremamente emozionante e coinvolgente. Stile, atmosfere, contenuti sono quelli
tipici del cinema iraniano e del resto Ghodabi, all'esordio nel lungometraggio, premiato a Cannes 2000
con la Camera d'Or, ha lavorato con i Makhmalbaf padre e figlia.
Il tempo dei cavalli ubriachi è un film essenziale, rarefatto, severo, che ricorda come la vita ancora
oggi possa essere dura e difficile e, anche per la struttura del racconto, rimanda ad un'altro recente
film girato ai confini del mondo: Himalaya di Eric Valli. I piccoli eroi protagonisti della storia sono
costantemente costretti ad affrontare situazioni più grandi di loro ed anche l'ambiente che li circonda,
una natura ostile ed aspra, esaspera il senso di minaccia e di tragedia. Lo strano titolo del film merita
una spiegazione: per aiutare i muli a sopportare le fatiche, il freddo e il gelo, i contrabbandieri
mescolano nell'acqua offerta agli animali anche qualche bottiglia di alcool. Ma a volte capita che le
quantità siano esagerate ed, esattamente come gli uomini, anche i muli si ubriacano.