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IL DIRETTORE DI GITA

Funzioni, limiti e responsabilità di questo prezioso collaboratore

Il Club Alpino Italiano, grazie alla figura dei direttore di gita, esplica da anni una delle sue attività principali: le gite sociali. Direttore di gita in genere viene riconosciuto colui che in veste di alpinista, assume senza particolari formalità, senza scopi di lucro, la direzione di una comitiva al fine di compiere un itinerario di montagna precedentemente programmato. Da quanto esposto si comprende che il capo gita o direttore di gita, come lo si vuol chiamare, non esercita la professione di guida, ma riceve tale incarico e lo accetta, sapendo di essere idoneo ad esplicare la sua azione, la sua autorità nei confronti di soci meno esperti e meno capaci di lui. Nei confronti dei direttore di gita si ravvisa quel principio generale che regola la responsabilità di colui che per legge o per sua libera volontà accetta ed esplica il dovere di vigilanza su persone a lui affidate. L'accertamento di idoneità a dirigere l'attività sezionale delle gite sociali, oltre che ad essere stabilito dal singolo, non. sempre a mio giudizio viene valutato con i dovuti crismi dagli organi preposti alla direzione stessa dei sodalizio. Alcune volte non si tiene conto che profani ed inesperti si affidano a persone che pur non avendo le dovute capacità, pretendono di essere "maestri" o "guida". L'eventuale istituzione di brevi corsi non basta alla formazione della cosiddetta figura di "direttore di gita" poiché ben altri presupposti debbono contribuire a configurarne la personalità anche attraverso approfonditi esami. E' certo, a parte ogni polemica, che se il direttore di gita rispetta le norme di comune ed elementare prudenza che ogni alpinista deve osservare, non va incontro a quelle responsabilità che possono sorgere in caso di incidente, soprattutto quando si verificano danni alle persone a lui affidate. Quello che viene da considerare fino ad ora, che mentre a livello centrale, il CAI ha formalizzato la figura di Accompagnatore Giovanile varando attraverso la Commissione Centrale Alpinismo Giovanile il conseguente regolamento, procedendo alla nomina dei relativi candidati attraverso una selezione severa che "privilegia la capacità tecnica e lo spessore culturale"; per quanto riguarda i cosiddetti "direttori di gita" poco si é fatto o quasi nulla. Viene da domandarsi perché non si attua quello che avviene in altri paesi, in altri Club Alpini esteri? In diversi sodalizi d'oltre alpe, l'accompagnatore é abilitato a dirigere gite sociali a seconda dei tipo di esame che ha sostenuto e superato; in Italia ciò da adito a pensare che la creazione di tali infrastrutture darebbe luogo a contrasti con l'Associazione delle Guide Alpine (AGAI) e pertanto se ne vuole evitare la loro istituzione. E' certo che il CAI seguitando ad ignorare il problema della creazione di corsi ed esami a livello nazionale per direttori di gita, potrebbe incorrere presto o tardi, in caso di incidente, in quella responsabilità che colpisce una società organizzatrice quando questa si renda colpevole di affidare una propria gita a persona inesperta od incapace. Comunque la responsabilità é anche del singolo quando costui ben sapendo di essere inidoneo, accetta ed esegue l'incarico di direttore di gita; egli deve ben considerare che le persone che gli si sono affidate, dipendano dalla sua capacità e dalla sua coscienza. Durante lo svolgimento di attività sociali, quando un'escursionista é insofferente alla disciplina dei gruppo, si comporta imprudentemente non rispettando le disposizioni dei direttore di gita, deve essere ammonito. In zone pericolose, quali l'attraversamento di un, ghiacciaio, qualora uno dei partecipanti detiene un atteggiamento sconsiderato, deve essere ridotto alla ragione dal capo gita anche con provvedimenti coercitivi, poiché in caso di decesso o lesioni potrebbero essergli imputate le accuse di omicidio (art. 589 C.P.) o lesioni colpose (art. 590 C.P.).Colui che é ricorso alla forza per ridurre alla ragione uno dei partecipanti in momenti di particolare pericolo, qualora gli venga ravvisato il reato di violenza privata, può far valere l'articolo 54 del Codice Penale che stabilisce: "Non é punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, ne altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo". E' ovvio che l'uso della forza può essere giustificato solo in presenza di uno stato di effettivo pericolo e quando si ravvisi in uno dei partecipanti all'escursione un comportamento sconsiderato. La misura coercitiva nei confronti dei ribelle può essere intrapresa quando vi siano i presupposti sopra enunciati ed essere proporzionata alla situazione di pericolo che si presenta per non incorrere in un eccesso colposo (art. 55 C.P.): "Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54 si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge e dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi se il fatto é preveduto dalla legge come delitto colposo (43)". In base all'articolo 43 dei Codice Penale "... il delitto..é colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non é voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline ... ". La responsabilità del capo gita in caso di incidente emerge per i seguenti motivi: per negligenza, imprudenza o imperizia quando la sua azione o la sua omissione determinano l'evento e quindi esiste un nesso diretto con il suo comportamento. Nel caso sia il danneggiato o la vittima a determinare l'evento stesso, scindendosi il fatto da un eventuale comportamento anomalo e quindi di colpa del capo gita, non ricorre nei confronti di quest'ultimo alcuna imputazione. Subentra invece il concorso di colpa del capo gita con la vittima e pertanto la responsabilità penale dei capo gita, quando quest'ultimo in presenza di due itinerari: uno facile e sicuro, l'altro impegnativo e rischioso, opta per il secondo. Benché il comportamento di uno o più partecipanti sia il diretto responsabile dell'incidente, in questo caso il direttore di gita deve rispondere del suo modo di agire. In merito al significato di negligenza del capo gita, si individua il concetto di chi omette e trascura i propri doveri. Cioé é il direttore di gita che con la sua esperienza, il suo comportamento sollecito ed accorto interviene al fine di evitare uno stato di pericolo ed un eventuale incidente. Per imprudenza si intende un'azione compiuta in mancanza di assennatezza. Si intende leggera quando l'azione del capo gita evidenziando un carattere irriflessivo, facilmente perturbabile e quindi inconsiderato determina un danno od uno stato di pericolo alla sicurezza altrui. Si intende grave quando l'imprudenza sia determinata da un comportamento troppo ardito ed arrischiato, soprattutto se si tiene conto che il direttore di gita esplica la sua attività in montagna, saltuariamente e non in maniera continuativa e professionale. L'imperizia equivale al concetto di inesperienza, di mancanza di pratica o abilità, consiste nel disconoscere quanto andava conosciuto, nell'omettere quelle dovute cautele, nel disconoscere quelle regole che fanno parte di chi pratica la montagna e si assume per di più la responsabilità di condurre un gruppo. L'esercitare un'attività pericolosa e quindi accettare il rischio come avviene per l'alpinista, non da luogo a responsabilità da parte del capo gita quando non vengono lesi, come già accennato, i principi generali di imperizia imprudenza, negligenza e quando vengono rispettate quelle norme anche non scritte che derivano dalla consuetudine. In sport pericolosi come il pugilato, il rispetto del regolamento, in caso di decesso non da luogo a responsabilità penali. Esiste l'articolo 2043 del C.C. che tratta in maniera generale della responsabilità per fatto illecito: "Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno" in base al quale rapporto nei confronti del socio partecipante ad attività sociale, il capo-gita, ci si rende conto, deve usare la massima attenzione al fine di evitare danni a terze persone, pena il risarcimento nei confronti della parte lesa. Più preciso é l'articolo 2050 dei C.C.; in base a questo articolo che tratta della responsabilità per l'esercizio di attività pericolose: "Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno",  l'alpinista che dirige una cordata e dimostra di aver adottato ogni mezzo atto a prevenire il danno, non é chiamato a rispondere civilmente. Altra cosa da tenere in considerazione nell'ambito dell'esercizio dell'attività alpinistica, riguarda chi, anche tacitamente, con il suo equivoco comportamento o in base alla sua maggiore esperienza rispetto ai componenti il gruppo o la cordata, viene considerato quale capo o guida del gruppo stesso (P.P. Severi, Osservazioni e riflessioni su aspetti della speleologia) e pertanto è ritenuto responsabile nei confronti degli altri componenti la cordata e di tutti quegli obblighi fino ad ora citati. In base all'articolo 50 del C.P.: "non é punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne (579; 5 cc)", é da ritenere inutile la pretesa da parte del capo-gita di  una dichiarazione di esonero di responsabilità, poiché non sempre la persona lesa o posta in stato di pericolo é in grado di valutare il pericolo al quale in maniera volontaria si va a  sottoporre e la portata delle eventuali lesioni che potrebbero colpire la sua integrità fisica.

 Gianfranco Lelmi

 

 

 

Carpineto Romano - Monte Sempresisa

 

Castel di Tora e le pendici del monte Navegna