DISCORSO
DEL
9 DICEMBRE 1928 |
Parole pronunciate in Roma il 4 novembre 1928. Io
sono perfettamente sicuro che voi non vi attendete da me un discorso
elegiaco. Questa è una corda che manca alla mia lira. Ho letto il
Pindemonte, ma non è il mio poeta. Del
resto io noto il vostro stato d'animo e mi accorgo che voi seguite
il monito di un autore che mi fu caro nella mia giovinezza e che dice:
«Vai incontro alla tempesta con passo leggero». Pur
tuttavia bisogna riconoscere che c'è in questo momento, in questa
nostra assemblea, un'atmosfera di solennità, quella di tutte le cose
che cominciano, si trasmutano, finiscono. Voglio
anzitutto farvi un elogio. Voi sapete che io sono parco in materia.
Ora vi dichiaro con fraterno spirito di simpatia, con una cordialità
sincera, alla quale dovete credere, che voi avete compiuto il vostro
dovere di fronte alla rivoluzione, di fronte alla Nazione. Questa
XXVII Legislatura è destinata a rimanere nella storia del nostro Paese
sotto il titolo che già le è stato assegnato di Costituente della
rivoluzione fascista, poiché ormai nessuno dei nostri avversari o
ottusi, o vociferatori, o criminali, osa negare che noi abbiamo compiuto,
stiamo compiendo e compiremo una rivoluzione, se rivoluzione significa
cambiamento rapido e totale di un determinato ordine di cose e creazione
di un altro ordine di cose. C'è
in questa nostra Assemblea una pattuglia: è la pattuglia preesistente
a questa legislatura, i trentacinque deputati che erano presenti in
quest'aula il 16 novembre, quando con un discorso, che molto probabilmente
non potrà essere dimenticato, io inchiodavo la maggioranza del vecchio
regime alla sua impotenza e alla sua vergogna. Vorrei
che questi trentacinque si alzassero in piedi, perché mi piacerebbe
di riconoscerli. Questa
è la Camera che ha degnamente operato, che è stata disciplinata e
ferma anche nei momenti più difficili. Nel torbido secondo semestre
del 1924, quando l'Aventino pretendeva di sommergere il regime in
una questione morale inesistente, la maggioranza fascista fu fedele
e ferma nei ranghi; perdemmo soltanto qua e là ai margini degli uomini,
ma di questo non ci dobbiamo dolere; sono scorie che è meglio perdere
lungo il cammino. Questa è la Camera del 3 gennaio 1925, è la Camera del 9 novembre 1926, è la Camera dello Stato Corporativo, di tutte le leggi di difesa della Rivoluzione, di tutte le leggi che hanno creato il nuovo Stato. E in quest'ultima settimana voi avete compiuto l'opera, votando delle leggi fondamentali. Io
non dichiarerò ciclopica la legge per la bonifica integrale, perché
io non amo i superlativi; è una legge però importante, notevole, che
noi potremo compiere e realizzare durante i 14 anni calcolati, perché
noi siamo matematicamente sicuri di durare. Avete
votato la Carta del lavoro, documento fondamentale, la cui importanza
cresce ogni giorno di più. Avete
finalmente votato la legge sul Gran Consiglio. Sono sicuro che votando
questa legge avrete notato le differenze tra il testo primitivo e
il testo che è stato sottoposto ai vostri suffragi; differenze che
non mutano la legge, ma la perfezionano, in quanto che hanno tolto
a taluni membri del Gran Consiglio il carattere dell'eternità e della
inamovibilità, tutte cose che riguardano il mandarinato cinese, assolutamente
inconcepibili nella teoria e nella pratica del Fascismo. Mi
pare di leggere nei vostri volti che non siete particolarmente ansiosi
della vostra sorte. Questo vi fa onore, perché questo dimostra che
siete veramente soldati della Rivoluzione fascista, e che vi sentite
comandati qui o altrove, e che qui, o altrove, obbedirete collo stesso
spirito di disciplina e con la stessa fede. Intanto
sarà bene di dire che le elezioni dell'anno VII, 1929, non avranno
nulla in comune con le elezioni degli altri tempi e degli altri paesi.
La cosiddetta campagna elettorale, che si svolgeva con fracassoso
ritmo, fra comizi e osterie, con policromia di manifesti rurali, che
il cittadino evoluto e cosciente si guardava bene dal leggere: queste
caratteristiche del vecchio tempo non le rivedremo. Così
pure tutte le manovre e contromanovre a scopo di preparazione delle
candidature. È:
quindi intuitivo che molte speranze naufragheranno, che molte ambizioni
resteranno deluse. Non
ci saranno manifesti, e il primo discorso elettorale nella prima decade
di marzo sarà pronunziato dai Regi Prefetti del Regno, i quali riunendo
il Consiglio Provinciale dell'Economia e tutte le gerarchie politiche
amministrative e sindacali del Partito, ricorderanno ai più o meno
obliosi cittadini delle 92 Provincie quello che il Regime ha fatto
per ciascuna di esse e per la Patria comune. Camerati,
la enorme maggioranza di voi ritornerà in quest'aula. Taluni di voi
troveranno più acconcio veleggiare verso Palazzo Madama. E anche essi
serviranno degnamente il Regime e la Patria. Non
sarà inopportuno ricordare che uno dei meriti del Regime fascista
è stato questo: di ridare il prestigio al vecchio Senato. Non si dice
nulla di irrispettoso se si constata che tale prestigio era fortemente
diminuito nei tempi che precedettero la Marcia su Roma. Mille
sono i designati, quattrocento gli eletti. Bisognerà convincersi che
non entreranno alla Camera alcune categorie di persone verso le quali
ho sempre avuto una irresistibile antipatia. Anzitutto i vociferatori,
i creatori, i portatori e distributori di voci, spesso con l'aggiunta
della calunnia anonima. Non
entreranno coloro che avessero tendenze di profittiamo e finalmente
l'elenco di queste categorie potrebbe continuare coloro i quali hanno
un coraggio leonino fino alle ore 11 e tre quarti, e lo perdono nel
breve periodo che va dalle undici e tre quarti a mezzogiorno. Se
la Camera, che sta per chiudere oggi i suoi lavori, è stata, dal punto
di vista numerico, dell'85 per cento fascista, la Camera che si riunirà
qui per la prima volta il 20 aprile, sabato, dell'anno settimo, sarà
una Camera fascista al cento per cento. E saranno quattrocento fascisti
regolarmente iscritti al Partito. Scommetto,
non tra di noi certo, ma tra altri, che è possibile una specie di
sorpresa. Una camera così totalitaria è un assurdo. No, non è un assurdo.
È prima di tutto una necessità, come vi dirò tra poco, è un riconoscimento
della totalitarietà del Regime, e soprattutto avvia ai nuovi compiti
che io intendo attribuire alla Camera. La Camera di domani potrà liberamente
discutere l'opera del Governo; beninteso non a scopo di rovesciamento,
ma a scopo di critica e di collaborazione. La
Camera di domani sarà l'organo attraverso il quale si attua la collaborazione
su terreno legislativo tra i rappresentanti della Nazione e il Governo. Come
voi potete constatare, noi siamo molto innanzi nella nostra fatica,
abbiamo oramai definite le linee maestre dell'edificio. È molto solido.
Anche coloro che sono portati allo scetticismo, sono costretti ad
ammetterlo. Nell'ordine economico, non già da oggi, come dicono gli
eterni smemorati, nell'ordine economico noi abbiámo già fissate le
nostre direttive da tempo. Non
è soltanto ieri che ci siamo risvegliati con un amore profondo per
l'agricoltura italiana, ma dal 1921. Oggi il problema è più urgente,
per i motivi che ho esposto qui ed altrove. Comunque, bisogna dire
per taluni dubbiosi ed esitanti che solo una grande agricoltura italiana
permette lo sviluppo di molte industrie italiane. Continueremo,
quindi, con quella inflessibilità che ormai mi riconoscete, nella
nostra politica rurale. Dal
punto di vista finanziario siamo usciti dalla perigliosa navigazione:
siamo nel periodo della piena convalescenza. La moneta è solidissima,
garantita da montagne di oro in lingotti o in verghe ben celate in
quelle che con frase mistica si chiamano sacrestie della Banca d'Italia.
Tanto è vero che abbiamo potuto rinunciare alla apertura di credito
di centoventicinque milioni di dollari che avevamo concluso un anno
fa all'epoca della stabilizzazione. Dal
punto di vista sociale, il funzionamento dello Stato corporativo è
in atto. Non è certamente sfuggito alla vostra vigile attenzione quanto
è accaduto in questi ultimi giorni negli organismi operai. Si è realizzata
la simmetria che è necessaria alla politica come all'architettura,
ma soprattutto si è voluto dimostrare che la così detta e giammai
in nessun paese del mondo realizzata unità della massa operaia si
realizza invece nel regime fascista. Questa
frase era un reliquato delle vecchie ideologie. Questa unità ha un
senso in regime di lotta di classe, non ne ha più alcuno in regime
di collaborazione di classi. Noi
abbiamo fatto giustizia di questa vecchia letteratura, che non è più
del nostro tempo, ed abbiamo dichiarato che nel regime fascista l'unità
di tutte le classi, l'unità politica, sociale e morale del popolo
italiano si realizza nello Stato e soltanto nello Stato Fascista. Del
resto gli operai italiani ai quali non chiediamo nessun attestato
di particolare riconoscenza, poiché non siamo cortigiani né verso
l'alto né verso il basso, gli operai italiani hanno avuto innumerevoli
prove della mia operante simpatia, innumerevoli prove delle realizzazioni
pratiche effettuate dal Regime Fascista. Noi
non teniamo nemmeno alla loro memoria. Questo è il fatto che la storia
deve registrare. Per
ciò che concerne la politica estera anche qui le direttive sono ormai
stabilite. Siamo
tutti per la pace. Abbiamo firmato il Patto Kellogg. L'ho definito
sublime; lo è in realtà; tanto sublime che potrebbe anche essere chiamato
trascendentale. E se domani altri patti fossero in vista, noi ci affretteremmo
a firmarli. Non
vogliamo assolutamente che si dica che il mondo nuoterebbe in un mare
di latte e miele, che gli uomini diventerebbero tutti fratelli, che
questo mediocre e divino pianeta che noi abitiamo sarebbe un paradiso,
ma che tutto ciò, questa bellissima festa, è guastata dall'imperialismo
fascista. Ma
al disopra, al disotto, o di fianco a questi patti, è una realtà che
non dobbiamo ignorare, se non vogliamo commettere un delitto di lesa
Nazione. E la realtà è questa, o signori: che tutto il mondo arma! Le
cronache dei giornali registrano ogni giorno i vari dei sottomarini,
degli incrociatori e di altri arnesi pacifici di guerra. Avrete
certamente seguito le discussioni svoltesi in altri Parlamenti, dalle
quali discussioni risulta che il numero dei cannoni e delle baionette
è in aumento. Non
bisogna farsi delle illusioni sullo stato politico generale dell'Europa.
Quando si avvicinano le tempeste, è allora che si parla di quiete
e di pace, quasi per un bisogno profondo dello spirito. Noi non vogliamo
turbare l'equilibrio europeo, ma dobbiamo esser pronti. Nessuno quindi
di voi si stupirà, e nessuno nella Nazione dovrà stupirsi, se io,
a convalescenza inoltrata o ultimata, chiederò un altro sforzo alla
Nazione per mettere al punto giusto le forze della terra, del mare
e del cielo. L'Italia
fascista realizza una politica estera che gli stessi avversari riconoscono
logica e pacifica. Ma il carattere differenziale della politica estera
fascista sta in ciò, che il periodo mal augurato e mal ricordabile
dei giri di valzer è finito. Noi
siamo molto prudenti prima di dare la nostra amicizia a qualcuno,
ma quando un patto di tal senso esista, si sappia che per l'amicizia
o per il suo contrario noi andiamo fino in fondo. Questo
non è che un piccolo anticipo del discorso che pronunzierò ai primi
di marzo, nella prima grande quinquennale assemblea del regime. Andiamo
incontro al plebiscito. Più io penso alla nostra legge elettorale
e più io la trovo ottima, tanto dal punto di vista della logica, come
della opportunità. Noi abbiamo realizzato un sistema, per cui tutte
le forze organizzate del Paese, in tutti i campi, anche i più disparati,
possono avere una rappresentanza sicura nella assemblea legislativa
della Nazione. Questo
plebiscito si svolgerà in assoluta tranquillità, non eserciteremo
seduzioni o pressioni. Il popolo voterà perfettamente libero. Ho appena
bisogno di ricordare tuttavia che una Rivoluzione può farsi consacrare
da un plebiscito, giammai rovesciare. Ciò
nondimeno il plebiscito avrà la sua importanza e noi desideriamo che
riesca solenne. Avrà la sua importanza grande, perché avviene non
solo dopo sei anni di regime fascista, ma dopo dieci anni di fascismo,
il popolo italiano dovrà giudicare e siccome io credo nelle forze
del popolo italiano, nella sua innata e profonda probità, che era
soltanto guastata dai politicanti di professione, credo che ora il
plebiscito non deluderà la nostra più che legittima aspettativa. Intanto,
o camerati, nell'attesa, bisogna perfezionare incessantemente il regime,
in tutte le sue espressioni e in tutte le sue formazioni. Bisogna
prima di tutto avere maggior disinvoltura quando c'è rotazione o sostituzione
di uomini e non tramutare questo passaggio di consegna o di sentinelle
in una specie di tragedia politico-personale. Vi
assicuro che niente succede. D'altra
parte se non ci fosse questa rotazione di uomini, in un certo momento
la società fascista risulterebbe cristallizzata. Bisogna
poi, o camerati, porre la massima cura assidua e quotidiana nel distinguere
nettissimamente quello che è il sacro e quello che è il profano, non
mascherare gli affari personali con la politica del regime e dell'Italia. Ancora
bisognerà guarire dalla mania tra ingenua e incorreggibile delle nostalgie
e dei rimpianti. Noi non vogliamo avere l'aria né rassomigliare agli
aderenti di vecchi partiti che erano sempre fissi al calendario solare
perché in ogni giorno c'era materia di commemorazione e finivano per
adottare una posa che poteva anche accusare inguaribili nostalgie
temporali o dentarie. Non siamo noi di questa scuola e di questo stile;
noi siamo sempre «domani» e ci ricordiamo di «ieri» dal punto di vista
della semplice documentazione cronologica. La storia ci penserà la
Storia a farla. Altro
elemento sul quale richiamo la vostra attenzione e che considero fondamentale,
è la realizzazione assoluta della giustizia amministrativa. Il popolo
italiano è giustamente geloso in siffatta materia e io gli riconosco
il diritto di esserlo. La giustizia senza la forza sarebbe una parola
priva di significato, ma la forza senza la giustizia non può e non
deve essere la nostra formula di governo. Reagire
anche contro le denigrazioni generiche e insufficienti con le quali
il più perfetto dei Santi potrebbe essere condannato all'inferno e
uccidere finalmente in noi ogni residuo di superstite faziosità. Queste
sono le linee attraverso le quali deve svolgersi quello che io chiamo
l'incessante perfezionamento di tutte le forze e di tutti gli organi
del Regime. Signori,
ciò è doveroso ma ciò è necessario; debbo dirvi con tranquilla coscienza
e con perfetta cognizione di causa che noi non andiamo verso tempi
facili, andiamo verso tempi difficili. Non è ancora venuto, e forse
non verrà mai per noi, il momento in cui si può star seduti: è ancora
l'ora e il comandamento di camminare. Avete
avuto il privilegio e la ventura di approvare leggi memorabili e di
partecipare ad eventi che rimarranno scritti nelle pagine della storia
italiana. Ma ora debbo preannunziarvi che forse nei prossimi cinque
anni, nella 28° Legislatura, voi sarete spettatori di eventi non meno
memorabili. È
dunque un grande privilegio per voi e per noi tutti di vivere in un'epoca
così forte, in un'epoca così piena di destino! Per questo, o camerati,
bisogna affinare tutte le nostre facoltà; essere dei combattenti che
non si danno riposo, vedere la vita ed affrontarla così come si presenta,
col suo bene, col suo male, con le sue forze e con le sue debolezze,
con tutti i suoi mutevoli e pur tuttavia seducenti aspetti. Abbiamo
ricevuto una eredità pesante, ma possiamo dire orgogliosamente che
non siamo stati impari a questa che qualche volta è stata veramente
una tremenda fatica, che imponeva delle responsabilità tali da far
tremare le vene e i polsi. Talvolta, o camerati, quando mi accade, invero raramente, di riflettere sulla vicenda abbastanza singolare della mia vita, io levo una preghiera all'Onnipotente, che Egli non voglia chiudere la mia giornata prima che i miei occhi non abbiano visto la nuova, più luminosa grandezza, sulla terra e sui mari, dell'Italia fascista. |