BREVE  STORIA DELL'ACQUEDOTTO PUGLIESE

La notevole fioritura industriale dell’Italia sotto il regime fascista può riassumersi nel gran numero di importanti opere pubbliche che sono state recentemente ultimate o sono tuttora in corso di costruzione in quel paese.

Di tali opere l’acquedotto pugliese può certo dirsi una delle principali. In realtà questa impresa progettata a favore di oltre due milioni di persone, venne iniziata molti anni prima della storica Marcia su Roma, ma i costi e le enormi difficoltà incontrate nel corso della sua costruzione avevano minacciato di far abbandonare completamente i lavori.

Oggi in Italia, grazie alla guida ispirata del Duce, la gran massa della popolazione prende in considerazione anche tutti gli altri aspetti secondari che contribuiscono al benessere pubblico, con il risultato che le difficoltà cui si è fatto cenno sono state superate ed è stato assicurato il futuro dell’acquedotto. La superficie servita dall’acquedotto, che costituisce il tallone dell’Italia come indica l’acclusa cartina di fig. 1, copre circa 20.000 kmq. ed è rinomata fin dal tempo dei Romani per il suo aspetto arido, bruciato dal sole, come appare inevitabile data la carenza di acqua.

Già da tempi remoti la regione è nota come "Puglia sitibonda": gli abitanti per impieghi domestici e per qualunque altra necessità sono infatti costretti a fare affidamento esclusivamente sull’acqua piovana che viene raccolta in cisterne.

E' facile comprendere quindi come la massima aspirazione dei pugliesi sia, da sempre, quella di poter disporre di rifornimenti idrici adeguati non solo per motivi igienici, ma anche per poter utilizzare le ricchezze naturali della terra incrementando le molte colture per cui il clima si rileva particolarmente adatto. Fino a pochissimi anni fa praticamente l’unico prodotto della regione era l’ulivo e i vasti uliveti appunto sono tuttora una delle caratteristiche salienti della zona.

Il terreno è costituito principalmente da calcare fratturato che si eleva in una successione di terrazze dal livello dei mare fino ad un’altezza di circa 300-350 m. al piedi degli Appennini lucani. Gli strati che vengono così a formarsi sono solcati trasversalmente da precipizi e profondi avvallamenti.

Come conseguenza di una simile conformazione, le piogge invernali scorrono liberamente al mare e quel poco d’acqua che resta penetra rapidamente nelle fratture dei sottosuolo.

La stagione delle piogge è limitata al periodo ottobre-aprile, con precipitazioni assai modeste tra 1 400 e 600 mm. Ad eccezione di alcune zone limitate delle province di Lecce e Foggia, le acque sotterranee si raccolgono in quantità sufficiente a rappresentare una sicura fonte di approvvigionamento solo a grandi profondità.

E’ stato detto che se il problema di rifornire d’acqua la Puglia dovesse essere affrontato ex novo oggi, una buona soluzione potrebbe essere rappresentata da moderne pompe rotative ad elevata velocità che portino in superficie queste acque profonde.

Per altro tali falde sotterranee non sono di entità rilevante nella provincia di Bari e se è vero che nelle province di Foggia e Lecce sono reperibili quantitativi di acqua più elevati , in genere quest’acqua non è di qualità tale da soddisfare il fabbisogno.

Il problema di provvedere a un adeguato rifornimento idrico da diversa origine si presentava di soluzione estremamente difficile. La regione è praticamente isolata dalle ricche province occidentali dalla massiccia catena appenninica e lungo le pendici adriatiche di queste montagne mancano totalmente idonee sorgenti di acqua.

E’ vero che durante certi periodi invernali nel letti dei fiumi l’acqua scorre abbondante, ma la natura del terreno mal si presta alla formazione di laghi artificiali nelle vallate.

Oltre a ciò, le elevate temperature estive, più che causare un eccesso di evaporazione, renderebbero l’acqua raccolta dei tutto inadatta agli usi domestici. Già nel 1868 un giovane funzionario dei Genio Civile, Rosalba, aveva avanzato l’audace progetto di utilizzare una delle abbondanti fonti di rifornimento idrico sulle pendici occidentali dell’Appennino scavando delle gallerie, esprimendo l’opinione che le sorgenti dei Sele a Caposele nella provincia di Avellino potessero essere particolarmente adatte allo scopo.

Ma l’attuazione di un progetto simile a quell’epoca, a parte gli enormi costi, sembrava presentare difficoltà insormontabili. Prima che l’acqua potesse essere trasportata là dove occorreva, sarebbe stato necessario scavare numerose gallerie, alcune delle quali di lunghezza superiore ai 15 km.

A quell’epoca non era ancora stato costruito il tunnel Simplor e le vicine gallerie meno ambiziose di Starza e Cristina lungo la linea Foggia-Benevento erano state portate a termine solo tra mille difficoltà.

Il progetto Rosalba venne accantonato per circa 20 anni e soltanto dopo che fu portato felicemente a compimento il progetto Simplon , venne riaperta con la necessaria ampiezza di vedute la questione dell’acquedotto pugliese.

Non è qui il caso di esaminare i vari progetti presentati tra Il 1887 e il 1896, di entità variabile, i quali tutti pero, con un’unica eccezione, riprendevano la proposta originale di Rosalba di perforare il massiccio dell’Appennino.

L’eccezione cui si è fatto cenno era costituita dalla proposta degli ingegneri Castelli e Filonardi di utilizzare le acque affioranti nella zona di Melfi e tale proposta riveste un interesse di carattere in certo senso storico, in quanto gli autori a loro insaputa proponevano di riprodurre un antico acquedotto romano, che venne poi alla luce nel corso dei lavori di scavo per la realizzazione dei progetto definitivo.

Nel 1896 venne nominata una commissione governativa con lo scopo di studiare le questioni attinenti alle acque potabili e di irrigazione ai rifornimenti idrici in Puglia, con particolare riferimento all’Acquedotto Pugliese. Con legge in data 10 Marzo 1901 venne autorizzata la spesa di un milione di lire per coprire le spese dei rilevamenti, tra cui i lavori necessari ad accertare l’effettiva capacità delle sorgenti di Caposele, affidati alla direzione dell’Ingegnere Capo del Genio Civile Ing. G.B. Bruno.

Primo risultato dei provvedimento fu la realizzazione di un progetto preliminare di tutti i lavori occorrenti, in base al quale si prevedeva di attingere dalle sorgenti di Caposele 5 metri cubi di acqua al secondo che, convogliati in un canale scavato attraverso le montagne, avrebbero rifornito gli abitanti di Foggia, Bari e Lecce.

Il canale avrebbe dovuto avere un a lunghezza di 236 Km. fino a Fasano; Il costo doveva aggirarsi intorno ai 136 milioni di lire.

Nel luglio 1902 il governo approvò la costituzione di un organismo di controllo nel quale da un lato era rappresentato lo Stato e dall’altro le province cui si è fatto riferimento, con il compito e la responsabilità della costruzione, manutenzione e funzionamento perpetuo dell’acquedotto e con i pieni poteri per la concessione di appalti a ditte private. Nel 1905 venne costituita la Società Anonima Concessionaria dell’Acquedotto Pugliese con cui si stipulò il contratto di appalto delle opere e verso la fine dei 1906 questa Società diede inizio al lavori di costruzione della galleria di valico dell’Appennino.

La sorveglianza sul lavori in corso venne conferita a uno speciale ufficio del Genio Civile appositamente costituito, con a capo l’Ing. M. Maglietta, mentre la direzione tecnica del lavori venne affidata al già citato Ing. Bruno.

Nel corso del lavori, su istanza dell’Ing. Maglietta, venne variato il tracciato dei canale principale, in modo che la sua lunghezza venne ridotta a 214 Km. fino a Fasano con un ulteriore prolungamento di 30 Km. fino a Villa Castelli.

Vennero inoltre introdotte altre importanti varianti cui faremo riferimento in seguito.

Il tracciato dell’acquedotto nella sua versione definitiva è riportato nella cartina che accompagnava una breve descrizione dell’acquedotto stesso, .

Abbiamo qui riprodotto tale cartina in fig. 1 - come già accennato - per comodità dei lettori.

Dobbiamo ricordare peraltro che la linea da Villa Castelli a San Pancrazio, nonchè il ramo del grande sifone che raggiunge Lecce, sono attualmente in esercizio, mentre sono stati ultimati anche alcuni lavori minori che sulla carta vengono indicati come in progetto o in corso di costruzione.

Dopo questi brevi cenni storici, passiamo ora ad esaminare le opere vere e proprie che costituiscono l’acquedotto, prime fra tutte quelle per la raccolta delle acque a Caposele.

Questo paese, situato a circa 80 Km. a est di Napoli si trova pressappoco a 400 in. sul livello del mare lungo le pendici del Monte Plafagone, uno dei bastioni del massiccio del Cervialto che costituisce un tratto degli Appennini lucani. Chi visiti questa località appartata non può non restare colpito dalla fantasia mostrata dal Rosalba, poichè guardando agli stupendi panorami che si affacciano sul Mar Tirreno, l’osservatore ha alle spalle montagne ripidissime alte più di 3.000 piedi , che fanno sembrare la Puglia davvero remota.

Le sorgenti del fiume Sele sono costituite da numerose fonti che, tutte insieme, in inverno hanno una portata di 4,5 metri cubi al secondo, ma d’estate raggiungono un tributo di 5,5 mc. al secondo, il che sta a indicare che l’acqua impiega circa sei mesi a passare dal bacini imbriferi alle sorgenti.

Nella zona esistono numerose altre fonti con le quali, ove in futuro si rendesse necessario, si potrebbe aumentare la portata dell’acquedotto a 6,3 me. al secondo.

Le dimensioni di tutte le opere relative all’acquedotto sono state calcolate per consentire il passaggio di quest’ultima portata.

Le sorgenti della Sanità utilizzate per rifornire il canale si trovano ad un’altezza di 420 m. sul livello del mare la località precisa viene indicata in fio. 2 .

Prima di esporsi all’ingente spesa per la costruzione dell’acquedotto, era ovviamente necessario raccogliere tutte le possibili notizie sulle variazioni di regime del flusso e sulla probabile durata delle sorgenti della Sanità.

Si è già detto che qualche tempo prima dell’inizio dei lavori era stata nominata apposita Commissione di esame su questo e altri punti.

Sicchè in precedenza era già fatte numerose valutazioni della quantità di acqua erogata, con l’impiego di sistemi di misurazione alquanto approssimativi, e tutte tendevano a confermare che da molti anni la quantità d’acqua sorgiva a superava i 4 metri cubi al secondo. Tra il 1901 e il 1907 le acque vennero convogliate verso uno sbarramento di misurazione, come indicato in fig. 3 ed i risultati di tali misurazioni indicarono un valore medio di 4,648 me. al secondo per l’intero periodo.

La cifra più bassa registrata fu di 3,665 mc. al secondo nel novembre 1903, la più alta 5,781 mc. al sec. nel maggio 1902.

Le cifre registrate erano per altro notevolmente al di sotto della portata reale a causa di infiltrazioni nel sottosuolo sotto allo sbarramento e nelle sue vicinanze.

Contemporaneamente a queste misurazioni venne intrapresa un’accurata indagine sulle precipitazioni atmosferiche nella zona comprendente il bacino delle sorgenti, indicata in fig. 1 da un triangolo approssimativo.

Lo spazio non ci consente di riferire sui risultati in dettaglio ma possiamo dire che si rilevò una variazione annuale relativamente limitata.

Furono impiantate cinque stazioni e se prendiamo come indicativi i risultati di una di queste - Bagnoli Irpino - il valore più basso registrato tra il 1904 e il 1909 fu di 1.577 mm.., quello più alto di 1.730 mm.

Tali cifre noti comprendono le sporadiche piogge estive e si riferiscono alla sola zona facente capo alla stazione.

Limiti di spazio ci impediscono dei pari di soffermarci stilla geologia della regione su cui pure sono state compiute accurate ricerche.

Si può notare che l’acqua sgorga dal terreno come se defluisse su uno sbarramento ricurvo e questo effetto è del tutto naturale, poichè l’acqua in effetti affiora sul bordo di un bacino costituito da uno strato impermeabile di dolomite ai piedi del Monte Plafagone.

L’acqua è notevolmente pura sia chimicamente che batteriologicamente, con una durezza di 14 gradi (francesi).

La sua temperatura è di 9° C e non varia sensibilmente nell’arco dell’anno.

Il problema di raccogliere l’acqua delle sorgenti della Sanità e convogliarla all’ingresso dell’acquedotto risultò assai facilitato dal fatto che il sottosuolo immediatamente al di sotto della bocca è costituito da argilla impermeabile, che al termine dei lavori formò una barriera naturale perfetta, impedendo all’acqua di infiltrarsi nel sottosuolo o disperdersi nella valle sottostante.

La planimetria di fig. 7 riporta l’impostazione generale, delle opere di convogliamento: come si noterà, le opere più importanti comprendono una diga, canali di raccolta e di avvicinamento, l’ingresso all’acquedotto e diversi canali di derivazione.

La diga è costruita in muratura ed ha uno spessore uniforme di 2 m.

La cima della diga si trova a 422,45 m. sul livello del mare, 2,15 m. al di sopra del pelo dell’acqua delle sorgenti. La diga è costruita pressappoco parallela alle sorgenti, a una distanza da esse di circa 50 m. e poggia sull’argilla impermeabile cui si è fatto riferimento

La fig. 6 riporta una veduta dei lavori di testa alle prime fasi di costruzione; in primo piano sulla sinistra dell’illustrazione è visibile parte della diga.

Il terreno impermeabile tra le sorgenti e la diga si presenta sotto forma di catino poco profondo e vicino al centro si trova un canale di raccolta, come si vede in fig. 7.

Furono costruiti anche diversi canali coperti che si dipartono dal canale di raccolta, come risulta dalla stessa figura, la maggior parte dei quali termina in un punto in cui l’acqua sgorga con maggiore abbondanza dal fianco della montagna.

I canali laterali sono di diversa lunghezza, ma hanno una sezione comune di 0,8 x 1,2 m. sono costituiti da un fondo naturale, mentre le pareti sono costruite in blocchi di calcestruzzo con un’apertura di 0,15 m. tra l’uno e l’altro attraverso cui l’acqua può fluire nel canali.

Ogni canale è coperto con lastroni di calcestruzzo non cementati.

Il canale di raccolta ha una lunghezza di 55 m. ed un’ampiezza di 3 m. all’estremità opposta all’ingresso nell’acquedotto e di 5 m. nel punto in cui si unisce al canale di avvicinamento.

Il fondo è formato da uno strato di calcestruzzo dello spessore di 0,5 m. ed ha una pendenza di 1 su 20 verso il canale di avvicinamento.

La fig. 8 dà una panoramica del canale di raccolta prima che venisse coperto; si noti che le pareti sono in muratura con una serie di aperture ad arco.

Le aperture sono riempite con blocchi disposti con una certa spaziatura tra l’uno e l’altro; negli archi che comunicano con i canali laterali è stato lasciato un passaggio libero.

Tutto lo spazio tra la diga, le pareti dei canale di raccolta e la superficie della roccia è stato riempito di ghiaia come si vede in fig. 8 e l’acqua passa negli interstizi in perfetta libertà.

Tutta l’area è stata coperta con uno strato di calcestruzzo dello spessore di 0,3 m. nel quale sono stati lasciati dei fori d’ispezione per consentire l’accesso al canale di raccolta.

Sopra al calcestruzzo è stato poi depositato uno strato di terra sul quale sono stati in seguito sistemati sentieri e aiuole.

Come si vede dalla fig. 7, il canale di raccolta verso l’estremità di uscita si incurva per unirsi al canale di avvicinamento all’ingresso dell’acquedotto.

Questo canale ha una lunghezza di 9,55 m. e da una larghezza di 5 metri si restringe a 4 m.

Come nel caso del canale di raccolta, la pendenza è di 1 su 20. Dal canale l’acqua passa in una camera di raccolta riportata nelle figg. 9 e 10.

Si può notare che tale camera è suddivisa in due parti da una soglia sulla quale è montata una paratia metallica o saracinesca, non riportata in questi disegni, ma nelle figg. 14 e 16 allegate.

Chiudendo questa saracinesca si può chiudere completamente l’ingresso nell'acquedotto e scaricare invece l'acqua atraverso il canale di scarico ausiliario indicao nelle figg. 11, 14 e 17, nel letto del fiume.

Come risulta chiaro dalla fig. 17, il canale ausiliario di scarico è dotao di un sifone del tipo in seguito dettagliatamente descritto.

Tornando alle figg. 9 e 10, si puo notare che la seconda parte della camera di raccolta forma il raccordo alla soglia d’ingresso principale dell’acquedotto, che ha inizio da un lato, ma è anche dotata di due canali di uscita all’estremità comunicanti con il canale di scarico principale e questo, a sua volta, comunicante con il letto del fiume.

Ognuno dei due canali in uscita è dotato di una saracinesca scorrevole per mezzo della quale si può regolare l’altezza dell’acqua al di sopra della soglia principale e quindi la quantità d’acqua che viene immessa nell’acquedotto.

La fig. 10 è una sezione da cui si vede la soglia.

Si può notare che l’acqua entra nell’acquedotto quando il livello nella camera di raccolta supera i m. 418,76 s.l.m. poichè a questo livello vi è una falsa soglia che precede la soglia reale. La falsa soglia è stata inserita per poter regolare l’acquedotto, ma la differenza in altezza di 0,98 m. tra le due soglie non ha più ragione di esistere, dato che la regolazione è stata in seguito modificata in relazione alla misurazione del flusso.

Nelle figg. 12 e 13 vengono riportate le sezioni appena oltre la soglia.

La fig. 18 riporta una veduta generale delle costruzioni che coprono il canale di avvicinamento, la camera di raccolta e le soglie; questa fotografia è stata presa nel corso dei lavori di copertura del canale di raccolta.

Uno di questi edifici costituisce la centrale di controllo e contiene le attrezzature per azionare le saracinesche, nonchè gli strumenti di misura.

Le attrezzature non richiedono praticamente alcun commento poichè sono del normale tipo a funzionamento manuale dato che le dimensioni delle saracinesche non sono tali da richiedere alcun particolare apparato di manovra.

L’idrometro e dotato di un doppio indice da cui si rilevano, su scale parallele, l’altezza dell’acqua al di sopra della soglia e il corrispondente volume d’acqua al secondo.

Facendo nuovamente riferimento alla fig. 7, si noterà che alla estremità del canale di raccolta, dalla parte opposta al canale di raccordo, viene prelevata l’acqua che serve a rifornire l’abitato di Caposele.

Le norme di rifornimento di quel Comune stabiliscono che, quando la quantità d’acqua erogata dalle sorgenti supera i 4 mc. al secondo, devono essere lasciati a disposizione dell’abitato 500 litri al secondo, e 200 litri al secondo quando la quantità d’acqua scende al di sotto di questa cifra.

I lavori comprendono un canale di alimentazione, riportato in fig. 6, ed un bacino di calma (vedi stessa figura).

Quest’ultimo termina in uno sbarramento di misurazione, che ha una soglia della larghezza di 2 m. al di sopra della quale l’acqua si riserva in un bacino di raccolta, da cui viene prelevata per alimentare il paese.

Un piccolo edificio serve a riparare le saracinesche e gli strumenti di misura. A questo punto si può ricordare che l’acqua normalmente in eccesso, unitamente a quella provenienteda varie fonti che non sono state imbrigliate, garantisce una abbondante alimentazione d'acqua nel vecchio letto del fiume.

Quest'acqua viene utilizzata per fornire energia a numerosi piccoli mulini, alcuni notevolmente antichi, situati a valle delle fonti dell Sanità.

Nella località in cui vennero eseguiti i lavori sorgeva una chiesetta che venne demolita e ricostruita pietra su pietra esattamente nello stesso punto.

Non fu necessario abbattere il campanile e questo si erge nella posizione originale a dominare il poggio.