DOSSIER TERREMOTO

         

Cronaca di un terremoto

 

Caposele, 23 novembre 1980

La Sera

Era stata una giornata particolarmente calda, tutt’altro che autunnale.

La piazza era ancora affollata dalla gente riversatasi a passeggiare.

All’improvviso tutto sembrò fermarsi ; l’aria diventò pesante ; si levò un vento caldo e polveroso e si avvertì un senso di leggerezza. Poi un boato, quello cupo e assordante di un treno in galleria.

Ore 19, 35

La terra si mise a tremare, a roteare, a sussultare, a ondeggiare.

Si sentivano, in lontananza, i rumori più disparati: grida, lamenti, scrosci.

Era il TERREMOTO !

Distruzione dovunque.

La gente si precipitò lontano da case squarciate e da muri pericolanti. La terra continuava a tremare e, ad ogni sussulto, pianti e clamori.

Dopo

Era decisamente un’impresa distinguere, al solo chiarore della luna, le figure frettolose che sbandate vagavano alla ricerca di questo o quel parente e che, nel momento in cui si ritrovavano, si avvinghiavano in segno di gioia e di soddisfazione, come se quello fosse un incontro festoso.

La notte

Si organizzarono i primi soccorsi, si componevano i morti alla meglio e si dava assistenza ai bambini e agli anziani, intirizziti da brividi di paura, più che dall’umidità che saliva dal fiume ingrossato, benché non fosse piovuto.

Un fiume fangoso e limaccioso che strideva con quell’aria calda e calma.

Prima assistenza

Don Amerigo1, coadiuvato da alcuni giovani improvvisatisi infermieri e, più in là, il dottore Melillo2 visitavano alla svelta i feriti a loro sottoposti, per assicurare una cura immediata e poi affidarli a qualche volenteroso che li trasportasse al più vicino ospedale.

L’alba

Passò la notte.

La radio già dava notizie del disastro in Irpinia e Lucania: elencava i Comuni, parlava di una chiesa lucana che aveva seppellito una comunità, di un palazzo popolare a Napoli e poi di Lioni, Sant’Angelo, Laviano, Conza, già elette a capitali-simbolo di un terremoto.

Parlava di migliaia di morti e di tantissimi feriti.

La mattina

Il sole non sorse quella mattina: dalla notte si passò ad un giorno plumbeo.Il cielo era giallastro come il fiume limaccioso. Una fastidiosa pioggerella impastava la polvere sul volto degli scampati.

Don Vincenzo3, tutt’altro che stanco di una notte trascorsa tra case in rovina alla ricerca di voci flebili o invocanti, era già all’opera a dare coraggio tra il suo popolo che stava piombando nella disperazione.

Le ispezioni ufficiali delle Autorità del luogo incominciarono a dare le prime direttive di organizzazione di una vita collettiva che sarebbe durata per qualche tempo.

Le divisioni e i rancori di un tempo sembravano spariti; in tutti o quasi si rafforzava l’idea che solo uniti si sarebbe superata ogni difficoltà.

 

Alfonso Merola

1) Don Amerigo: Del Tufo Amerigo, medico condotto.

2) Dottore Melillo: Melillo Giuseppe, ufficiale sanitario.

3)Don Vincenzo: Don Vincenzo Malgieri, parroco di Caposele.