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Il giocattolo Furby

è fatto in Cina

da bambini schiavi

I bambini lavorano con i grandi in una fabbrica-prigione di Shenzhen affollatissima, assordante e irrespirabile, senza maschere né guanti protettivi.

di Simona Vanzati, 2aG

In Italia il Furby è arrivato solo nella metà del ’99 mentre era già in circolazione nel ’98 nei Paesi anglosassoni.

Il Furby, un pupazzo peloso che sembra una via di mezzo tra un gufo e un’anatra, è parente del Tamagochi, in quanto è munito di microchip che gli permette di parlare, cantare e interagire con il proprio padrone.

Questo giocattolo è stato molto gettonato dai bambini inglesi e americani per le feste di Natale, ed ora è venduto anche in tutti i nostri supermercati al costo di 89.000-99.000£.

Ma, lo sapete da chi viene costruito?

E’ fabbricato in Cina da bambini-schiavi che lavorano in condizioni pietose: sono soggetti a malattie perché c’è un’elevata quantità di polvere e di prodotti chimici che aggravano il sistema respiratorio e inoltre la lavorazione avviene in stabilimenti che hanno un altissimo rischio di incendio.

Tutte queste accuse vengono da Chan Ka-wai, direttore di un’associazione dipendenti di Hong Kong, che controlla le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi.

É stato il “New York Post” a lanciare l’accusa a una fabbrica dove costruivano i Furby, la Hasbro, vedendo lo squallore in cui dovevano lavorare.

Questa fabbrica già nel ’96 era finita sotto accusa per via dei salari miseri e delle pessime condizioni igieniche. Uno spettro che perseguita la Cina (produttrice del 90% dei giocattoli mondiali) dal ’93, quando un cortocircuito in una fabbrica di bambole uccise 87 donne.

Il responsabile della Hasbro è Marc Rosenberg, il quale smentisce il “Post” spiegando che le loro condizioni di lavoro sono “conformi al clima economico e all’ambito del lavoro in Asia”. Come

dire: “Dovete farvene una ragione, in Asia lavorano tutti così, in fabbriche-prigioni”.

Sarà vero? Speriamo di No. 

Indagheremo.

Intanto, tocca a voi decidere se volete a tutti i costi un Furby.

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Come sono i Furby?

Sono alti 13 cm, hanno grosse orecchie a punta, occhi tondi, ricoperti di pelo rosa shoking. Possono essere grigi, bianchi, neri. Alcuni hanno la coda e altri il ciuffo, muovono la bocca e strizzano gli occhi: si chiamano Furby. Ssono peluche interattivi, teneri innocui pupazzetti pelosi che stanno facendo impazzire i bambini americani. Messo da parte il Tamagochi, c’è il Furby il peluche hi-tech,

la risposta americana al Tamagochi giapponese.

Che cosa fanno?

I Furby hanno la caratteristica che se gli sussurra qualche parolina dolce attraverso le grandi orecchie captano il suono e lo ripetono grazie a un microchip contenuto nel loro pancino. Questi peluche cantano, strillano, russano e dopo aver mangiato fanno il ruttino. Ognuno di essi è diverso da ogni altro per l’aspetto, per il nome (che pronuncia la prima volta che viene acceso) e per il carattere.

Come funzionano?

Furby funziona grazie a sei sensori: due sensibili al tatto (su pancia e schiena), uno sensibile al suono, uno per il movimento e uno per la comunicazione a infrarossi, grazie a cui può dialogare con i suoi simili. I sensori sono collegati a due microchip che gestiscono le funzioni motorie e del linguaggio. Furby ha un vocabolario di duecento parole che può combinare in ottocento frasi; di questo repertorio, cento parole sono in “furbish”, un idioma inventato in cui ci sono parole come “gaa-gaa, mee-mee” ecc.

I Furby hanno bisogno di “may-may” (amore) e “may-lah (coccole), cantano, ballano e nel futuro giocheranno pure a nascondino. Diversamente dai Tamagochi, non muoiono.

A chi piacciono? Chi ne ha uno?

I Furby sono stati venduti soprattutto in America (10 milioni), poi in Inghilterra (1,5), in Francia (1,2) e in Spagna (0,9); in Italia, dove il pupazzo è arrivato solo da qualche mese, i primi 40 mila esemplari sono spariti in pochi giorni. Da poco tempo oltre alla versione che parla in “furbish” e inglese c’è anche quella in italiano, che è arrivata da poco.

Tutti pensavano che sarebbero piaciuti soprattutto ai ragazzi tra i sei e i sedici anni, invece fanno impazzire anche gli adulti: tra questi, anche persone della televisione come Emilio Fede, che l’ ha chiamato Otto e lo riempie di cure, Alessandro Cecchi Paone, che se lo contende con la n ipotina, e Giuseppe Brindisi di “Studio Aperto”, dato che sia lui che la sua fidanzata gli dedicano sempre un po’ di tempo prima di andare a lavorare; ce l’avevano persino molti impiegati della NASA, cui però è stato proibito di portarlo in ufficio per le interferenze con le altre apparecchiature elettroniche.

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