Fuga per la vita

La "Fuga per la vita".

Emanuel and Avram Rosenthal, killed at Majdanek

Rammentare in ogni tempo ed in ogni luogo la tragedia immane vissuta dal popolo Ebreo nel corso degli anni che videro la nascita ed il definitivo crollo della follia nazista, è dovere di ogni uomo che abbia amore per la giustizia e la libertà, per la pace e la possibile coesistenza dei popoli.

Gli Ebrei, per l’immenso ed inumano sacrificio di sangue pagato, per essere da sempre la comunità religiosa più diffamata e perseguitata, rappresentano un monito perenne per tutti noi.

Ogni volta che la ragione cede all’irrazionalità, al pregiudizio, alla feroce tracotanza del più forte verso il più debole,lì c’è posto per il nazionalismo sfrenato, per l’odio razziale, per tutte le più bieche atrocità e bassezze umane. Per scacciare questi demoni è bene leggere e riflettere sulla nostra storia recente, tentando una valutazione di quanto avvenne anche al di fuori dei luoghi della tragedia, in quelle nazioni che per molti versi assunsero la prospettiva di "terra promessa" per tanti involontari esuli. In questa fuga per la vita, vennero coinvolte non solo figure eminenti della scienza e della cultura, basti ricordare tra tutti Albert Einstein, ma uomini e donne comuni, piccoli e medi borghesi strappati alle proprie abitudini, alla propria terra, al tessuto sociale a cui appartenevano, privati del diritto di chiamarsi "Tedeschi", "Austriaci", "Italiani"

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Anna e Jon Klein, entrambi morirono ad Auschwitz

Estranei ai forti gruppi intellettuali internazionali che potessero in qualche modo aiutarli o proteggerli nel loro inserimento, dovettero, al di là delle pur prevedibili difficoltà legate alla loro condizione di emigranti, lottare per assicurarsi un posto nelle nazioni e nella società che molte volte li accolsero con mal celata ostilità e ritrosia.

Dal 30 Gennaio 1933, data in cui Hitler prese il potere, fino al 1 Settembre 1939, che segnò lo scoppio della II Guerra Mondiale, la Francia rappresentò la nazione Europea che accolse il maggior numero di rifugiati dalla Germania (si registrò un notevole flusso migratorio anche verso l’Italia che all’inizio degli anni trenta manteneva una linea politica priva di accenti razziali). Questa situazione trovava la sua ragion d’essere sia per la tradizione di accoglienza che la Francia aveva sempre offerto agli esuli politici, sia per la presenza di un confine esteso con la Germania e soprattutto perché la vicinanza geografica lasciava aperta la speranza di un rapido ritorno in patria.

L’ingresso in Francia per coloro che possedevano un passaporto tedesco era consentito solo se in possesso di uno speciale visto assegnato dai consolati francesi in Germania. Tale procedura, sebbene il più delle volte fosse una semplice formalità, costituì un severo ostacolo per tutti coloro che furono costretti a causa della polizia tedesca a fughe precipitose ed illegali attraverso la frontiera. Infatti, una volta in Francia, i rifugiati per poter risiedere per un periodo superiore ai due mesi dovevano richiedere un carta di identificazione riconosciuta solamente a chi potesse provare la "legalità" del proprio ingresso. Questa condizione priva di vie di uscita, costrinse così molti rifugiati alla clandestinità, con il costante incubo dell’espulsione ed un rimpatrio forzato.

Essendo assai numerosi i profughi che giungevano attraverso canali clandestini furono realizzati campi di raccolta per tutti coloro che venivano arrestati. Molti di questi campi, trasformati in campi di concentramento e di prigionia rimasero funzionanti nel corso dell’occupazione nazista fino alla liberazione avvenuta nel 1944. L’occupazione militare della Francia, completata nei territori del sud nel 1942, terminò tragicamente la fuga di tanti Ebrei Tedeschi e dell’Europa centro-orientale dando inizio all’epilogo di molti Ebrei Francesi. L’unica nazione Europea che rimase al riparo della macchina bellica tedesca per tutta la durata del conflitto, fu la Svizzera, che però mantenne un atteggiamento inflessibile nei confronti di tutti gli immigrati clandestini consegnandoli,se scoperti, nelle mani dei carnefici da cui cercavano riparo.

Al di fuori dell’Europa le cose non andarono sempre meglio. Va ricordata la linea di deciso anti semitismo assunta dal Canada che chiuse ogni possibilità di accesso. Analogamente, sulla spinta di un sentimento di isterica xenofobia, fu preclusa a molti la via della Gran Bretagna.

La possibilità di trovare riparo nell’America del Sud coincise il più delle volte con l’accetazione di pagamenti di pesanti balzelli pretesi da funzionari corrotti.

Per quanto riguarda l’America Centrale solo la Repubblica Domenicana accettò un gruppo di Ebrei rifugiati, mentre Colombia e Venezuela richiesero per consentire l’accesso dei profughi la presentazione di un certificato di battesimo!

Per la maggioranza, la principale via di salvezza fu rappresentata dagli Stati Uniti che accolsero così una comunità composta di intellettuali, artisti, scienziati, ma anche, in grande maggioranza, di professionisti della media borghesia.

 

Un ringraziamento alla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea; C.D.E.C. di Milano per la cortese disponibilità a fornire materiale di ricerca.

Il testo di riferimento è "Trapped in France: A Case Study of Five German Jewish Intellectuals" di Helmut F. Pfanner, in "Simon Wiesenthal Center Annual", vol.6, anno 1989

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