IL CASTELLO SUPERIORE DI BUSCA

detto anche il Castellaccio o Castello di Santo Stefano

Una passeggiata tranquilla e rilassante, in un pomeriggio di sole di questi tiepidi inverni, così tiepidi da non sembrare neppure più inverni, porta da Busca alla collina di Santo Stefano. Qui sorge l’antica cappella di S. Stefano affrescata nel Quattrocento dai fratelli Biazaci. Pochi passi più in su e si entra nel Parco Francotto che permette l’accesso ai ruderi del Castellaccio, zona archeologica ove varrebbe la pena di approfondire le ricerche. Il luogo è stato ripulito dalla vegetazione che l’aveva invaso ed ora è ben visibile tutto il complesso della costruzione. L’analisi della struttura ha messo in evidenza varie fasi di interventi di costruzione; dall’età romana al medioevo.

Certo il luogo fu scelto per la sua posizione strategica che permette un panorama amplissimo sullo sbocco della Valle Maira, della Valle Varaita e della pianura. Da tre parti lo circonda la roccia; e sul quarto, il lato Nord, non dotato di difese naturali presenta un "vallum" profondo scavato nella roccia e un muro a masselli regolari in "opus incertum" (muratura di pietre squadrate e non allieneate).

La parte più antica consta del basamento di una torre di conci quadrati e pietre tagliate che indica una costruzione di età romana; attorno un muro di cinta che aveva la forma di un poligono a sette lati irregolari che si adattava perfettamente all’andamento del terreno. In tutto era racchiuso uno spazio di circa 1500 metri quadrati. All’interno della cinta si alzava la Torre col suo fossato di difesa e la Porta di accesso di metri 5,60 per lato con metri 1.70 di spessore. Questo blocco è prova della avvenuta romanizzazione del territorio (la Lex Pompeia nell’89 a.C. aveva riconosciuto i diritti di cittadinanza romana agli abitanti del Piemonte, Gallia Cispadana).

Proseguendo, sul lato Est della collina si trovano i resti delle mura che circondavano il pianoro in età alto medioevale, poiché vi si era formato il "castrum" e il primitivo castello era stato inglobato in esso. Era il rifugio della popolazione in caso di guerra; di questo periodo è la costruzione della cisterna d’acqua; si presenta con una muratura in ciottoli del Maira e volta a botte: un grosso aquarcio attesta l’opera di anonimi cercatori di tesori.

Verso il Mille, sorse la "comunitas" nel borgo sulle rive del Maira che venne fortificato con mura; in alto, sulla collina stavano i Signori feudali locali, ai quali ben presto subentrarono i Marchesi di Busca, parenti dei Signori di Verzuolo, che tennero il feudo per una sessantina di anni e si insediarono anche loro nel castello superiore. L’antico castrum si era intanto ristretto nel nucleo più difendibile. La cisterna e la torre romana furono circondate da nuove mura formando il "Dongione", ossia la residenza signorile fortificata. Prova del nuovo intervento è l’intercapedine che si nota tra il muro e la cisterna.

Nel 1168 per la prima volta in un documento compare il nuovo signore: Manfredo Lancia, dei Marchesi del vasto, che si dice Marchese di Busca. Il castello di Santo Stefano diventa il simbolo del suo potere feudale, anche se egli risiede con la corte nella "Villa" nel castello inferiore. Nuova ristrutturazione per il Castellaccio, ma solo a scopi difensivi, per ospitare un presidio militare.

Le lunghe lotte che opposero Asti, Cuneo, Angioini e Marchesato di Saluzzo, lasciarono al margine il territorio di Busca, i cui uomini nel 1281 firmarono la dedizione a Tommaso I di Saluzzo ottenendo da lui vari privilegi ed evitando lo smantellamento del Castello Superiore. Busca si diede poi nel 1361 al Conte Amedeo di Savoia che l’anno seguente la diede in feudo al ramo degli Acaia; il Marchese Federico II di Saluzzo consegnò quindi al principe Giacomo d’Acaia il castello. Durante la lotta scatenata da Tommaso III di Saluzzo che aveva tentato di riprendersi il territorio, il castello fu distrutto. Già prima però ne erano state asportate travature e tegole.

Ormai in stato di abbandono, venne infeudato nel 1418 ad Antonio della Morra e dichiarato nella patente di concessione "dirupto". Forse gli stessi Buschesi l’avevano reso inutilizzabile perché preso dai nemici, non venisse usato a loro danno.

Giovanna Frosini