La musica nella civiltà greca

Conferenza tenuta a Villa Casnati, Bussero

per il Laboratorio per la Ricerca sul Suono

di Dario Del Corno

 

Domanda: Nella Sua relazione, Lei aveva parlato dei culti dedicati a Dionisio antitetici a quelli di Apollo. Dionisio, dio della sregolatezza, presiedeva i riti orgiastici mentre Apollo prediligeva forme più pacate e controllate. So che all'uno e all'altro sono legate due forme: a Dionisio il ditirambo e ad Apollo il peana. Vorrei che si chiarissero queste due forme di espressione da un punto di vista letterario, cioè se erano cantate, suonate e accompagnate da strumenti.

 

Risposta: Erano degli inni. Nella Grecia antica questi si definivano in genere "Canti in onore di una divinità". Possiamo affermare che il peana e il ditirambo erano cantati in coro su un accompagnamento musicale molto semplice. Oggi conosciamo molto poco della musica greca e comunque risulta difficile decifrare esattamente anche quel poco che è a nostra disposizione. L'accompagnamento musicale degli inni poteva essere affidato ad uno strumento a plettro o a pizzico, oppure ad uno strumento a fiato (in genere, l'aulos). Questi strumenti avevano solo la funzione di supporto al canto.

Noi possediamo soltanto le parole di questi canti, non più il testo musicale. Il testo letterario si basa su strutture metriche. Naturalmente i metri usati nel ditirambo sono più turbinosi di quelli del peana in quanto lo stile del primo è più esaltato e immaginoso rispetto al secondo. Possiamo supporre che anche la musica presentasse una simile differenziazione. Il ditirambo, però, risultò ben presto incorporato nella tipologia ufficiale della musica sacra.

Le manifestazioni più propriamente orgiastiche rimangono affidate ad altri tipi di musica (verosimilmente soltanto strumentale) realizzata sia con strumenti a fiato che con strumenti a percussione (timpani, tamburelli, una specie di nacchere). Dunque, permaneva una specie di antitesi fra le due sfere religiose testimoniata da questo episodio. Le donne di Locri, una cittadina della Calabria, erano state prese da una follia collettiva e perciò espulse dalla polis. Nella tragedia di Euripide Le baccanti, ossia le seguaci del dio Dionisio, escono dalla città. L'invasato, ossia chi è preso da questa follia dionisiaca, non si riconosce più come parte della struttura cittadina, e dunque viene cacciato dalla città oppure ne esce volontariamente. Per le donne di Locri si trovò un singolare rimedio, ossia venne interrogato l'oracolo del dio Apollo che diede il responso ufficiale: le donne dovevano essere istruite a cantare dei peani e così potevano rientrare nell'ordine della musica tradizionale, apollinea e cittadina. Le donne rinsavirono dalla loro follia.

Questo è uno dei tanti casi in cui si manifestano le proprietà terapeutiche della musica. In un altro episodio in cui l'alienato viene fatto cantare insieme ai coribanti. Questi erano un gruppo sacrale cretese che, con il frastuono del proprio rituale, aveva occultato le grida di Zeus. La venerazione per questi sacerdoti era diventata un fatto comune per la Grecia. L'alienato veniva inserito nel gruppo dei coribanti e partecipava ai riti orgiastici. Questo lo aiutava a recuperare la propria ragione, in quanto l'alienato, inserito nel gruppo, recuperava la propria individualità di membro di un gruppo e non si opponeva più al mondo.

La musica, nel mondo antico, è sempre collegata ad una realtà che lega il gruppo all'individuo. Probabilmente, alle radici di tutto ciò, sta la verità intuita da Pitagora, che la musica è un ritmo universale comune a tutti gli uomini.

 

Domanda: Dal punto di vista scientifico, esistono connessioni tra culture geograficamente distanti come ad esempio quella indiana e quella greca?

 

Risposta: Esistono senz'altro. Infatti, sin dalla notte dei tempi, si è verificata una migrazione. Il nucleo comune è stato localizzato, grosso modo, nelle steppe eurasiatiche; da qui un primo gruppo si stacca e scende verso la Grecia e Roma, un altro si dirige verso l'India e la Persia, un terzo procede orizzontalmente verso la Germania e un quarto rimane nel luogo d'origine.

Questi popoli presentano delle caratteristiche linguistiche comuni. E' indubbio che il sanscrito appartiene alla stessa matrice linguistica del greco, del latino, delle lingue germaniche, delle lingue celtiche e slave. C'è un grande bacino su cui i linguisti discutono ancora molto; però è indubbio il rapporto originario tra la lingua sanscrita e quella greca. Quindi la possibilità di un'origine comune di certe idee linguistiche sussiste.

C'è da dire che l'idea della creazione come fatto musicale, come fatto sonoro è un aspetto propriamente indiano ma d'altra parte anche ebraico. Infatti, Dio dice: ""Fiat lux" et lux fuit" e crea il mondo con la sua voce. I greci sembrano percepire o recepire l'idea della musica come elemento strutturale dell'universo, come dimostra la figura di Apollo. A questa divinità il pensiero greco associa sempre la presenza della lira, ossia dello strumento come elemento costitutivo della sua personalità. Nei simboli associati ad Apollo, l'arco e la cetra, i greci riconoscono una possibilità di conciliare gli opposti. Infatti le due estremità opposte dell'arco vengono portate quasi a congiungersi. E' lungo questa via che si può rintracciare una parvenza della concezione originaria della musica intesa come elemento creatore del mondo e comunque collegato ad Apollo e al mito d'Orfeo, certamente il più famoso dell'antico mondo greco.

 

Domanda: Ma che cosa vuol dire mito musicale?

Vuol dire che alla musica veniva conferita la possibilità di creare. La musica dà ad Orfeo la possibilità di entrare nei nessi della realtà per modificarli secondo la propria volontà. La musica, dunque, è lo strumento che permette di impadronirsi delle connessioni nascoste del reale. Chi possiede i segreti di quest'arte, può addirittura far risorgere i morti, perché entra nel mondo della verità, uscendo da quello delle parvenze.

Un altro mito più recente si trova nell'Antiope di Euripide. E' una tragedia che ha come protagonisti due gemelli: Anfione e Zeto. Anfione rappresenta la vita contemplativa, Zeto quella pratica. I due fratelli collaborano in una serie di imprese. Ma questo fa sorgere un contrasto. Zeto sostiene l'inutilità del fratello ma viene smentito, perché le mura della città di Tebe verranno erette da Anfione al suono della sua lira. Infatti, al suono dello strumento, le pietre si connetteranno automaticamente fino a formarne le mura.

Ciò significa che il musicista possiede il segreto profondo della realtà.

 

Domanda: Oggi la scienza discute sul "Big Bang" avvenuto al momento della creazione. Quale attinenza c'è tra questo evento e il mito?

 

Risposta: Il mito rappresenta una memoria simbolica della creazione del mondo. In questo senso, si può parlare di "memoria mitica". Non voglio entrare in polemiche di tipo religioso, ma, anche all'interno del racconto biblico, il grande urlo "Fiat lux" costituisce la memoria mitica della creazione della luce. Questo, secondo me, è un territorio su cui può progredire molto l'investigazione del mito inteso come "memoria simbolica" perché può spiegare la funzione del mito nella tragedia.

In origine, la tragedia si occupava di fatti storici. Infatti, la tragedia più antica a noi pervenuta, I Persiani di Eschilo, narra la guerra tra greci e persiani. Dopo I Persiani, la storia viene completamente esclusa dalla tragedia dedicandosi esclusivamente al mito.

La tragedia aveva un impianto religioso (in quanto rientrava fra i riti religiosi) ed era gestita dallo stato. In essa si manifesta l'estrinsecazione perfetta del significato del mito poiché la realtà trattata è simbolica al pari di quella del mito. Con il termine simbolico, intendo riferirmi ad una verità che non si apprende attraverso un processo razionale.

Esistono due tipi di verità, a volte tra loro coincidenti: la verità razionale e quella simbolica. La verità simbolica è quella che esprime la realtà attraverso un'improvvisa rivelazione.

Concludendo, ritengo che il mondo mitico faccia riferimento alla verità simbolica. Ma nulla impedisce che proprio la grande esplosione (che, d'altra parte, appare già nelle tradizioni antiche) sia stata quella che ha dato origine alla vita dell'intero universo.

 

Domanda: Questa distinzione che ha operato tra verità razionale e verità simbolica mi tocca particolarmente perché, essendo musicista, vengo sovente interpellato da persone "non addette ai lavori" a proposito di un processo che può sembrare molto misterioso: quello della composizione musicale. Mi si domanda se il compositore, quando crea, è consapevole al cento per cento di ciò che sta facendo. Questa Sua distinzione mi permette di appurare che il processo compositivo consente di estrinsecare verità di tipo simbolico.

 

Risposta: Se analizziamo il termine "compositore" sotto il profilo etimologico, scopriamo che il compositore è colui che mette insieme. Nella nostra lingua non chiameremmo mai "compositore" uno scrittore, perché questi procede sempre in termini razionali anche quando utilizza mezzi simbolici. Invece, quando si compone, è necessario seguire delle regole ben diverse rispetto a quelle della scrittura.

Il poeta, una volta, andava a capo in ossequio alla struttura del verso. Nella poesia moderna non si usano strutture ritmiche fisse quali l'esametro o l'endecasillabo. Allora, in base a quale criterio, il poeta oggi va a capo? Probabilmente per dare alla poesia una forma permeata di una funzione simbolica. Alcuni autori greci componevano versi di differente misura per far risaltare dei disegni: una scure oppure un uovo o una clessidra. Il disegno della poesia, inteso come rapporto tra la parola e lo spazio bianco, oppure tra la parola e il da capo, costituisce un valore simbolico, perché la percezione del rapporto tra lo scritto e lo spazio bianco è immediata.

Nel discorso prosastico questa percezione immediata della forma manca perché si segue il percorso della mano che è lineare ossia senza interruzioni.

 

Domanda: In questa sede, abbiamo trattato un periodo che va, grosso modo, dagli albori fino della cultura greca fino al II sec. a. C. Intercorrono circa quattrocento anni tra il periodo in questione e l'attività di S. Ambrogio. Cosa succede in questo periodo e quale è il rapporto che si instaura tra il mondo greco e quello romano?

 

Risposta: Per rispondere a questa domanda, è meglio procedere per opposizioni piuttosto che per linee continue. Fra la cultura greca e quella romana (intendo la cultura in senso lato facendo rientrare la filosofia, la storiografia ed eventualmente anche le scienze e la loro trattatistica) c'è una differenza fondamentale che può essere, naturalmente, solo indicativa.

Il greco, anche quando scrive, concepisce la sua composizione in modo orale. I poemi omerici venivano tramandati oralmente, le tragedie venivano eseguite oralmente, i poemi lirici venivano cantati. La scrittura serviva come fissazione mnemonica, come strumento, supporto, ma la trasmissione era orale. Platone si trova in un momento di crisi nel quale si passa da una tradizione prevalentemente orale ad una cultura scritta. Egli avverte: "State attenti, perché la cultura scritta è una decadenza. Le mie verità le riserverò soltanto al mio insegnamento orale". Paradossalmente (ma il paradosso piaceva ai greci), i Dialoghi di Platone, che rappresentano un capolavoro assoluto, sono scritti tant'è vero che l'autore li considerava un'opera secondaria rispetto al conseguimento della verità. Infatti diceva: "Il pensiero si muove come la parola parlata; nell'atto in cui la sentiamo, il pensiero non si muove più, rimane falsificato". Il fatto singolare, dunque, è che anche gli scrittori concepivano le opere oralmente in quanto, anche se scritto, il loro messaggio era destinato alla lettura orale.

Il latino, invece, pensa subito alla propria opera in forma scritta. Orazio dice: "Exegi monumentum aere perennius": ho eretto un monumento più duraturo del bronzo. La parola del latino rimane iscritta nel tempo, fissa; non ha la mobilità del discorso greco bensì presenta una splendida e sublime monumentalità; può risultare più bella rispetto a quella greca, ma non ne possiede la mobilità.

Greci e Romani convivono nell'Impero, e i Romani impongono le loro regole, ma la vita procede ancora secondo le strutture di pensiero greche. Ad esempio, in un mondo rigorosamente latino, il pullulare del primo cristianesimo non sarebbe mai riuscito ad inserirsi, anzi il nuovo credo religioso gioca proprio sulla presenza dell'elemento greco. Non a caso, uno dei più grandi imperatori, Marco Aurelio, scrive in greco, sente in greco e, fatto ancor più singolare, pensa in greco. Marco Aurelio, d'altra parte, è forse tra gli scrittori di quest'epoca, colui che riesce più d'ogni altro a rappresentare il carattere cangiante del pensiero, il continuo trasformarsi del pensiero, il monologo interiore al pari di un greco.

Ritornando a riflettere su questioni più propriamente musicali, si può affermare che la cosmicità della musica viene capita a Roma soltanto da quegli intellettuali che si rifanno alla cultura greca antica. Tuttavia, il maggiore fra gli scrittori greci dell'età imperiale, Plutarco, crede ancora che, al di sotto della realtà fenomenica, esista un'altra realtà rappresentata dalla musica, dal suono oppure da una circolarità di suoni e di forme.

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