Musica, metafisica, medicina e politica nella cultura greca

Conferenza tenuta a Villa Casnati, Bussero

per il Laboratorio per la Ricerca sul Suono

di Dario Del Corno

 

1. PREMESSA

Il complesso di argomenti, di cui tratteremo, esprime una caratteristica propria del sapere antico. Esso dimostra la sua circolarità e la sua totalità ed il rifiuto della specializzazione; ciò colpisce soprattutto se confrontiamo la cultura greca con quella di un'epoca come la nostra che è gratificata, però anche oppressa, a mio parere, dalla specializzazione. Ritornare a una dimensione così totalizzante del sapere può essere un'esperienza significativa e istruttiva.

Oggi noi amiamo parlare di interdisciplinarietà. Questo concetto per gli antichi sarebbe stato assurdo, proprio perché il rapporto fra i diversi settori del sapere era spontaneo, totale e non ammetteva limitazioni, almeno fino ad Aristotele. E' questo che rende così interessante l'avventurarsi in una tematica poliedrica come quella appunto che mi è stata suggerita per questa conferenza.

E' necessario, però, cercare un filo conduttore tra questi concetti perché occorre selezionare i motivi che meglio consentano di identificare, nel breve spazio di un discorso, quel sistema d'interrelazioni che collega musica e politica, e a loro volta mette la musica e la politica in rapporto con la medicina e ulteriormente con la metafisica. Poiché siamo in una sede di concerti, incominciamo dalla musica, individuando in essa il filo conduttore che ci accompagnerà nel labirinto di questo sapere.

Ho già citato Aristotele, che segna il punto di arrivo della fase centrale e più pienamente creativa della cultura greca. All'epoca di questo filosofo si discuteva un'alternativa che per i Greci dei secoli precedenti non avrebbe avuto alcun senso, ossia se la musica fosse un fattore dell'educazione oppure se la ragione primaria della musica fosse il solo piacere dell'ascolto.

Aristotele nella Politica, che è un trattato intorno allo Stato, esprime questo concetto: "Se per gustare la musica si dovesse essere esperti di studi musicali, allora anche chiunque si compiace di cibi squisiti dovrebbe saperli preparare". Si tratta di un'affermazione paradossale, in quanto nella società greca esisteva la figura del cuoco a pagamento e a domicilio, e quindi chi voleva gustare cibi squisiti non necessariamente doveva anche saperli preparare. Con questa affermazione Aristotele intendeva dire che non è necessario conoscere la musica da un punto di vista tecnico per provare piacere, e voleva distinguere la partecipazione interiore alle esecuzioni musicali dalla capacità di fare musica; e questo era un concetto del tutto nuovo per i Greci.

Anche a questo proposito possiamo istituire un allarmante paragone con l'attualità. Ormai nel nostro tempo la pratica della musica per chi non se ne occupa professionalmente è decaduta. E questo è uno dei danni che la specializzazione del sapere e della cultura ha portato al nostro tempo: un danno che non è soltanto di natura estetica, ma anche di natura etica e conoscitiva.

Ritornando ad Aristotele, scartiamo la sua paradossale affermazione che non è necessario essere esperti di studi musicali per gustare la musica. Infatti se accettassimo questo discorso, la nostra indagine finirebbe subito. Con l'opinione di Aristotele, scartiamo anche la gastronomia che ero tentato di aggiungere come quinto argomento alla nostra tematica, argomento quanto mai allietante, ma forse un po' marginale. Non scarteremo, tuttavia, l'alimentazione e la dieta, perché esse rientreranno con la medicina nel nostro discorso; e ricorreremo di nuovo ad Aristotele per affrontare quella dimensione seria del discorso sulla musica che oppone al piacere, alla hedoné della musica, la paideia, ossia la sua funzione educativa.

2. PLATONE E LA MUSICA

Platone, nelle Leggi, la sua ultima opera che è anche la più complessa, la più ardua, la più ampia, quella in cui egli tenta di istituire in maniera più precisa un rapporto tra la dimensione metafisica e la dimensione sociale e politica dell'esistenza, dice: "Quelli che chiamiamo canti hanno lo scopo di insinuare nell'anima un costume che si mantenga nell'ordine della legge". La musica, per Platone, ha una funzione morale e politica. L'ordine della legge garantisce la struttura politica e la musica "insegna" la legge, secondo un concetto ampiamente condiviso dalla cultura greca precedente.

Secondo Platone, la musica costituisce il tramite per l'educazione civile, sociale e politica dei cittadini. Circa un secolo prima di Platone, era vissuto Damone che potremmo definire il primo musicologo della storia. Damone aveva formulato un pensiero molto radicale che anticipa l'affermazione di Platone: "Non si deve mutare il modo di far musica, a pena di sovvertire anche le leggi e le istituzioni". Questa sentenza non va naturalmente intesa nel senso di un cieca negazione di ogni sviluppo storico della musica come di ogni altro fatto culturale, ma essa dichiara che i principi di kosmos, ossia l'ordine e la legge dell'universo, devono ispirare sia la creazione musicale, sia la struttura politica dello stato. Il "modo di fare musica" corrisponde ai principi essenziali dell'armonia.

Evidentemente quando Platone, o addirittura Damone, affermava un principio di questo genere, si stava insinuando nella musica una tendenza eversiva. Platone denuncia questa tendenza eversiva, allorché dichiara che l'aristocrazia musicale si va corrompendo nella "teatrocrazia", ossia la pretesa del pubblico teatrale (incompetente) di formulare giudizi sui drammi teatrali. E' il pubblico che giudica e decreta il successo, istituito da una vera e propria classifica come accadeva nei concorsi teatrali greci. Il pubblico giudica e fa da arbitro in maniera incompetente. L'abitudine a stilare classifiche è per Platone la causa della degenerazione del prodotto artistico in quanto ciò determina nel teatro una situazione di tarachè, ossia di turbamento.

Prima di Platone e poco tempo dopo Damone, Aristofane aveva composto una fra le sue commedie più felici: le Nuvole. In un episodio di questa commedia il vecchio padre chiede al figlio di cantargli un canto di Simonide, grande poeta lirico, che aveva composto delle liriche che si eseguivano in forma musicale. Il figlio si rifiuta e dice che è roba vecchia; recita, invece, nei modi che oggi diremmo del teatro di prosa, un passo di Euripide. Il teatro soppianta la musica. Il geniale Aristofane si accorge in anticipo di ciò che sta accadendo, anche se naturalmente esagera i termini per la necessità della satira che è propria del poeta comico. Platone, dal canto suo, accentua i toni del suo conservatorismo.

Ma il filo del nostro discorso va al di là di questi aspetti contingenti, in quanto si propone di definire che cosa sia la musica per i Greci. Da questo punto di vista è molto istruttivo il confronto che Platone istituisce con il teatro. La musica è armonia (la parola greca corrisponde esattamente alla italiana), ossia è la connessione di tutte le parti in un tutto, in un insieme organico e ordinato. Il teatro è paranomia, ossia illegalità, è tarachè, un termine che noi potremmo rendere con "scompiglio", "disordine". In un altro passo di Platone, sempre delle Leggi, si trova il nesso di tarachè con una parola molto significativa, asymphonia, mancanza di accordo. Symphonia è la parola che si è poi tradotta nelle lingue romanze e in tutte le lingue europee nel nome di una forma musicale. In greco ha un valore più ampio: è l'accordo dei suoni. La tarachè è la mancanza di quest'accordo. Il termine tarachè e il verbo da cui deriva, tarasso, ossia mettere in disordine, costituiscono una parola chiave per allargare la prospettiva della nostra indagine. In una dimensione artistica questo termine viene appunto usato da Platone per esprimere la condizione opposta alla vera proprietà della musica che è l'ordine istituito dalle leggi armoniche, contro la libera innovazione delle forme teatrali, che non hanno leggi precise. Ma questi termini: turbamento, disordine, indicano nell'uso contemporaneo greco anche la instabilità che sorge dal malgoverno, l'anarchia.

Il nesso fra la musica e la politica si va sempre più stringendo, e i significati legati ai termini tarachè e tarasso aprono un'ulteriore prospettiva. Originariamente questi termini significavano lo sconvolgimento degli elementi della natura, l'eccesso nei fenomeni naturali. Ma già all'epoca, grosso modo, di Damone e di Aristofane, il campo semantico di tarachè-tarasso assume una valenza fisiologica ed entra nel campo della medicina, ad indicare il turbamento dell'equilibrio che deve reggere gli umori nel corpo e l'attività della mente. Nel Corpus Hippocraticum si presenta questo preciso significato patologico. L'anarchia musicale e l'anarchia politica non sono altro che manifestazioni della medesima tendenza che interrompe la salute dell'uomo.

Dalla medicina questo termine si estende al campo politico e a quello artistico. Nei trattati di Ippocrate troviamo altri due termini molto significativi, diaites ataxia, ossia il disordine, la irregolarità della dieta. Ancora una volta questo principio va considerato dal punto di vista della causa: la cattiva condizione fisica o addirittura la malattia è messa in rapporto con un disordine: il disordine della dieta. In greco il termine diaite ha un significato molto ampio in quanto significa il modo di vivere in generale. Il disordine della dieta comporta la patologia del corpo, ma la ataxia, che significa propriamente mancanza di ordine, è anche il contrario dell'ordine nello stato. La medicina, quindi, si collega anche nel campo semantico con la dimensione della politica.

Il corpo dell'uomo rappresenta metaforicamente la città, l'organismo statale, e viceversa l'organismo statale è l'espressione metaforica del corpo umano. Osserviamo per la prima volta, ma lo riscopriremo ancora in seguito, il meccanismo dei rapporti tra microcosmo e macrocosmo, ossia la grande dimensione che si riflette nella piccola forma individuale e viceversa. Tutti conosceranno il famoso apologo di Menenio Agrippa. Costui in una cultura, come quella romana dei suoi tempi, ancora arretrata e dipendente da influssi stranieri, ripete questo sistema fondamentale: tutte le membra sono necessarie alla vita del corpo. La similitudine fisica viene riferita al campo specificatamente politico.

Finora abbiamo istituito qualche sistema di connessione tra la musica e la politica, tra la politica e la medicina. Dobbiamo ora chiudere provvisoriamente il cerchio, indagando il rapporto fra musica e medicina. Infatti la musica non ha una funzione soltanto etica, come dicevo prima e secondo il concetto che riprenderemo, ma essa rivesta una funzione anche "igienica" nel senso greco del termine che include tutto quanto appartiene alla salute dell'uomo.

Il filosofo Teofrasto, allievo di Aristotele, attribuisce al flauto (l'aulos, che era però uno strumento più simile al clarinetto e all'oboe dell'orchestra moderna) e all'armonia frigia la facoltà di placare certi dolori del corpo (le armonie, in greco, prendevano dei nomi etnici). Ma più interessante, dal nostro punto di vista, è ancora un passo di Aristotele. La musica, sempre e soprattutto quella del flauto e particolarmente ancora nell'armonia frigia, durante i riti orgiastici, porta a un parossismo dell'eccitazione, produce il parossismo dell'eccitazione non soltanto mentale, ma anche fisica. Questo parossismo prelude, in un rapporto di causa-effetto, alla liberazione da questo stato innaturale.

L'estasi orgiastica è l'esaltazione di un'eccitazione che diventa patologica nella natura umana, secondo la considerazione etica dei Greci. Esasperando questa eccitazione (che noi potremmo dire psicosomatica), la musica porta a un punto di rottura che purifica il corpo da questi eccessi, operando la "catarsi", ossia la purificazione. In Grecia questo termine, che poi ha invaso altri campi, era primariamente un concetto medico. Proprio Platone, sempre nelle Leggi, che costituisce un trattato fondamentale per il nostro argomento grazie a tutte queste interrelazioni, parla di una iatrichè ("medicina") musicale. Egli dice che si curano con musiche e danze le persone invasate, come nel caso delle baccanti. Le baccanti erano l'esempio tipico di un estraniamento da se stesse, di uno sconvolgimento, di una ataxia, di una tarachè, ossia di un disordine della mente. Anche nei suoi effetti, non solo nella sua natura, la musica si oppone al disordine, in quanto essa non è solo educazione dell'anima e della mente, ma anche liberazione del corpo dall'eccesso e dalla sofferenza.

Chiuso il cerchio tra musica, politica e medicina, rimane ancora fuori dal nostro discorso la metafisica. Il discorso per catturarla deve retrocedere ancora un po' nel tempo, prima di Platone, di Aristotele e di Damone. Occorre risalire a un grande sapiente che non ha lasciato nulla di scritto, ma le cui dottrine noi conosciamo dalle testimonianze dei suoi discepoli: Pitagora.

E' proprio Pitagora che aiuta a risolvere questo problema. Come si spiega la interrelazione della musica con la condizione della psiche e del corpo? Come mai la musica interviene in modo salutare nelle patologie tanto fisiche quanto mentali? Il concetto di catarsi (purificazione) era fondamentale già per la dottrina pitagorica. Pitagora è forse l'esempio più tipico di quella integrazione delle diverse forme del sapere a cui accennavo nell'introduzione a questo discorso.

Pitagora fu un pensatore, un matematico illustre; egli è uno scienziato che innova profondamente la metodologia scientifica. Ma Pitagora fu anche l'uomo politico che istituì un sistema di regole morali che vincolavano e univano anche i suoi adepti in una particolare società.

Pitagora introduce nel suo sistema etico delle norme dietetiche (ecco che compare la forma nobile, o diciamo così, austera e 'dolorosa' della gastronomia), come strumento di purificazione del corpo e dell'anima. Siamo al concetto di una purificazione ottenuta attraverso quella che in termini anacronistici si potrebbe chiamare medicina preventiva. Ma alla regola dell'anima, più che queste norme dietetiche, serve soprattutto la musica che Pitagora pone perentoriamente a fondamento della formazione morale e culturale. Ma per i Greci, la distinzione fra morale e cultura non esisteva; e in tale prospettiva acquista una rilevanza più estesa il rapporto, a cui avevo già accennato, fra macrocosmo e microcosmo. Non si tratta più ora del rapporto fra l'uomo e lo stato, ma di quello ben più coinvolgente fra l'uomo e l'universo.

Pitagora che, come i sapienti della prima fase della cultura greca, operava le proprie ricerche applicando il metodo sperimentale, osserva che il suono delle corde di una lira si trova in un rapporto costante con la loro lunghezza e con la loro tensione. Egli osserva anche che, dai rapporti proporzionali semplici fra le corde (2:1, 3:2, 4:3), derivano armonie tali da riuscire gradevoli, ossia naturali per l'orecchio umano. Il concetto di suono naturale è fondamentale per Pitagora al fine di procedere ulteriormente nella costruzione del suo sistema. Se i suoni sono regolati da numeri semplici sono naturali, ciò significa che il numero è il principio di tutte le cose. Il numero è la realtà sottesa alla natura dell'universo. Ma i rapporti numerici stanno anche alla base dell'armonia musicale: la musica rappresenta allora la manifestazione delle forme nascoste o razionalmente irraggiungibili della natura dell'universo, ossia della realtà.

Uno tra i Pitagorici più acuti e importanti, che si chiamava Filolao, afferma: "Nessuna menzogna accolgono in sé la natura del numero né l'armonia". Ossia il numero e la musica non mentono: sono la realtà assoluta, la realtà vera. La musica diviene allora espressione della verità che è intrinseca alle forme e alle forze in cui si manifesta l'essere. La relazione misteriosa fra la musica e l'uomo trova un'esplicazione naturale in questo principio metafisico che individua la verità e il fondamento del reale nel numero. Ci eravamo chiesti che cosa significasse l'interrelazione della musica con la condizione della psiche e del corpo. Significa questo, che nella musica l'uomo percepisce la realtà universale: o forse sarebbe meglio dire la intuisce. Raggiunge, in forza di un'intuizione non razionale, la verità universale: non razionale, perché la ragione umana è limitata, ma l'evidenza simbolica della musica che va al di là della ragione umana, raggiunge la natura profonda dell'essere.

Il pitagorismo, ossia la dottrina di Pitagora e dei suoi seguaci, aveva molti punti di contatto con un'altra dottrina misterica dell'antichità greca: l'Orfismo, ossia la religione che si collegava all'archetipo mitico di Orfeo. Il mito di Orfeo, il semidio che con il suo canto richiama alla vita i morti, smuove le pietre, persuade le fiere e induce gli alberi a seguirlo, esprime l'intuizione che la vita dell'universo è permeata da un suono arcano e possente che coincide con la sua stessa struttura. Orfeo è capace di dare forma al mondo mediante l'incantesimo della musica in quanto la musica stessa è la forma profonda del mondo.

Il canto di Orfeo realizza le leggi della musica, e al tempo stesso possiede le leggi della realtà; così esso trasforma il principio astratto di queste leggi nei fenomeni del mondo fisico.

Platone, in un'altra opera di grande portata dedicata alla dimensione politica, la Repubblica, racconta un mito che a sua volta viene attribuito a un personaggio immaginario, un certo Er che era morto e che, ritornato dall'oltretomba, racconta che cosa egli ha visto nell'aldilà. In questo lungo racconto il punto centrale è costituito dalla struttura dell'universo. Er ha visto il il telaio della Necessità, su cui si innestano gli otto cerchi del cielo dove stanno gli astri, ossia i cinque pianeti conosciuti, il Sole, la Luna, le stelle fisse. Queste sfere ruotano intorno a un fuso (l'immagine del fuso è usata da Platone per indicare simbolicamente il movimento). Su ognuno degli otto cerchi sta una Sirena (creatura dal canto seducente e di una assoluta potenza) che emette una sola voce di un solo tono, cosicché dalle otto sirene si leva un'unica armonia che è quella delle sfere. Quest'armonia astratta, che coincide con il movimento dell'universo, si riflette nella musica.

"La musica", dice Platone (anticipando l'obiezione di Aristotele), "non è un piacere irrazionale, ma guida ad accordare con se stessi l'anima che corrisponde al moto dell'universo". Quando le sfere dei cieli si muovono e con il loro movimento istituiscono la vita universale, esse generano una musica arcana, inudibile dagli uomini. Ma a questa musica, alla sua armonia corrisponde la musica che gli uomini conoscono e producono. Nello studio e nella competenza di questa musica, nel dominio delle leggi musicali, essi raggiungono la conoscenza perfetta della propria anima e ne accordano i moti con il movimento universale.

Ecco come la musica diventa un concetto essenziale non soltanto della psicologia ma anche della metafisica, ossia di ciò che sta al di là del mondo fenomenico. Gli uomini, per Platone, possono vedere soltanto i fenomeni, le parvenze della realtà; non possono raggiungere la realtà che, anche per Platone, è fatta di rapporti numerici. L'unica forma che esprime in maniera assoluta e veritiera (ricordiamo quello che diceva Filolao) questi rapporti numerici è la musica.

Se dunque la musica permette di conoscere i moti dell'anima, allora essa sarà anche una terapia non solo del corpo o delle sue patologie o della mente, ma anche delle passioni. Essa opera la terapia delle passioni o per opposto, ossia attraverso la loro esasperazione, producendo qualcosa di simile alla catarsi tragica, oppure per imitazione. Secondo Aristotele, la catarsi tragica opera per mezzo della pietà e del terrore, che si provano assistendo a una tragedia, in quanto queste reazioni liberano dall'eccesso delle passioni. La tragedia, nella propria realtà alternativa, provocando l'eccesso di pietà e di terrore, porta in un certo senso al parossismo queste tendenze innate della psiche umana e al tempo stesso libera dalla realtà quotidiana la psiche, operando una catarsi di queste passioni.

L'armonia frigia (orgiastica) e quella misolidia (emozionale) permettono di operare una catarsi per negativo, ossia portando alla esasperazione l'eccitazione orgiastica, in modo che poi l'individuo si scaricasse, attraverso la musica, delle passioni medesime. L'armonia dorica, invece, era eroica e seria; in questo caso la catarsi non operava più per negativo ma per positivo, ossia per imitazione. Attraverso la musica composta nell'armonia dorica, si instauravano nell'uomo sentimenti eroici e gravi, e una tendenza a considerare seriamente l'esistenza.

La musica opera questa interferenza essenziale sul comportamento dell'uomo. Finalmente qui troviamo la possibilità di accostare, sempre attraverso un confronto semantico, i nostri quattro concetti. La parola chiave, in questo caso, è schema, che in greco non corrisponde alla parola che noi abbiamo derivato ma significa piuttosto: essenza, figura, ossia la forma dell'essere. Ma il termine schema indica al tempo stesso la forma dello stato, il comportamento dell'uomo, la struttura dell'universo e dell'essere e l'armonia della musica. Attraverso questo vocabolo polivalente, i Greci riescono a compenetrare tutte le dimensioni del sapere dandone una definizione di tipo fenomenico, ossia secondo quanto si presenta obiettivamente alla considerazione dell'uomo. Lo schema è ciò che si osserva nello stato, nel comportamento dell'uomo, nella musica, nella struttura dell'universo.

Tuttavia quando si vuol dare una definizione qualitativa, i Greci usano la parola cosmos, che significa "ordine". Ma anche in questo caso il termine significa molte cose: il comportamento dell'uomo, la forma dello stato, la struttura dell'universo (che si chiama addirittura esso stesso cosmos), ma anche la bellezza della musica, vengono espressi con questo termine che si contrappone alla tarachè, al disordine corporeo e patologico, al disordine politico statale, alla eversione in campo musicale e anche al caos primigenio, a ciò da cui si è formato l'universo, ma che non era ancora tale, perché mancava il concetto ordinatore.

Dunque la musica ha per i Greci due aspetti fondamentali:

In primo luogo, essa è la legge dei movimenti universali a cui corrispondono quelli dell'anima. Questo principio fonda la realtà sul movimento, sul ritmo che per i Greci è la struttura della realtà. Rytmos è la parola greca che corrisponde al nostro termine "ritmo" nell'ambito musicale, ma che esprime anche il succedersi degli accadimenti, le scadenze della vita naturale e l'alternanza degli accidenti nella vita degli uomini. Archiloco, un grande poeta vissuto in un'epoca ancora precedente a quella di Pitagora, si rivolge a un amico afflitto da un dolore e, per consolarlo, gli dice: "Oggi tu sei afflitto, ma forse domani avrai un motivo per essere lieto. Conosci quale ritmo regga la vita degli uomini". La vita stessa degli uomini è inquadrata dall'energia dinamica del ritmo che regola anche la musica e il moto delle stelle.

Il secondo aspetto della musica si rivela nella sua pratica, che è sostanzialmente connotata dalla dimensione etica. E' guida a un comportamento morale il conoscere la musica, in quanto conoscere il vero è necessario per operare il giusto. E' un concetto che si differenzia notevolmente dalla dimensione della morale corrente dei nostri tempi: il greco ha un'idea fondamentalmente conoscitiva della morale. Ma altrettanto tipico della concezione greca della realtà è la dimensione estetica. La musica permette di conoscere il vero per operare il giusto, che rappresenta anche il bello. Il terzo termine della positività del reale, oltre al vero e al giusto, è il bello. Dunque la conoscenza della musica comporta l'intuizione della totalità organica dell'essere, ossia di tutta la vita universale che abbraccia e include l'armonia dell'anima.

Una sentenza di Platone dice: "L'anima è armonia" e i biografi di Pitagora aggiungono: "Pitagora udiva l'armonia del tutto, percepiva il suono universale delle sfere celesti e degli astri che si muovono con esse, ascoltava e comprendeva le voci che provengono dalla fonte stessa e dalla radice della natura". Ma la musica, appunto perché l'anima è armonia, risuona anche all'interno dell'uomo, è il ritmo della sua anima. La sua anima è ciò che dà vita al corpo, così come la musica dà suono allo strumento che senza la musica è soltanto materia inerte. La cultura greca, però, si astiene dagli eccessi di idealizzazione, e formula anche il rapporto inverso, ossia la musica è anche una forma che attende il suono, così come l'anima ha bisogno del corpo: ossia la musica ha bisogno del suono come l'anima ha bisogno del corpo. Quindi è necessaria un'arte medica che si prenda cura del corpo: in altri termini che sia dietetica e non soltanto terapeutica, perché non è sufficiente curare il corpo in uno stato di patologia. La musica, che è fondamento anche degli esercizi fisici, predispone il corpo alla sua naturale salute. In parallelo, sono necessarie per il corpo sociale le leggi che organizzano la vita della comunità. In questa maniera si completa quella visione unitaria dell'essere, a cui prima facevo riferimento.

Nella storia dell'umanità si presentano continuamente delle divaricazioni, dove si aprono due vie per sviluppare l'eredità del passato. Ora Pitagora sta a una di queste divaricazioni quasi come un demone a due fronti, come il dio Giano dei Latini. Egli pone le premesse del futuro della scienza nella dottrina scientifica fondata sul numero che è quantità. Al tempo stesso Pitagora condivide ancora la concezione primordiale in cui l'uomo sente nel suo corpo e con il suo corpo il moto delle stelle e la crescita degli alberi. Quello che Pitagora avverte è in un certo senso la voce del paradiso perduto: l'armonia della natura.

Un dio che amava Pitagora gli diede in premio, per la sua pietà e per la sua sapienza, di capire che la voce in cui si esprime l'armonia della natura è la musica. Questo dio era Apollo che, nella mitologia greca, è l'antitesi del dio del teatro, che è anche dio dell'anarchia individuale, il dio della mutevolezza dei fenomeni: Dioniso. Queste due divinità si opponevano, ma anche si equilibravano in modo da essere complementari l'uno all'altro. Apollo è il dio della musica e della medicina, il garante dello stato, il profeta che non conosce soltanto il futuro, ma sa ciò che è, ciò che fu e ciò che sarà, ossia conosce tutti i nessi della realtà. Il profeta non ha tempo, la sua sapienza è al di fuori del tempo e di ogni trasformazione; la sua conoscenza coincide con la realtà assoluta e col moto circolare delle stelle. Non a caso le stelle si muovono in cerchio; infatti, il tempo rettilineo ha un inizio ma porta anche a una fine. E' il tempo tragico della storia; ma il moto circolare è il tempo ciclico della natura che si rinnova perennemente.

Tutte le direzioni del nostro discorso, che in fondo si riassumono in Apollo, riportano a questi concetti: la medicina, la metafisica, la politica, la musica. E insieme guidano concentricamente alla riflessione sulla verità del mondo delle idee, ossia del mondo dell'intelletto.

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