LA MUSICA CLASSICA

Perchè l'opera fa venire il latte alle ginocchia???

Nicola Campogrande

  
La cosa più bella di una storia è che te la possono raccontare in molti modi. Te la mettono lì nuda e cruda, a voce, e a te resta solo da ascoltare. Oppure la infilano in un libro, e allora te la puoi godere per pagine e pagine. Oppure ci costruiscono attorno un film, e paghi il tuo biglietto perché ti facciano entrare nella trama. Oppure ancora te la raccontano in teatro e allora - se lo spettacolo è ben riuscito - per me è il massimo.
L'opera sta in quest'ultimo mucchio, è un modo di raccontare una storia a teatro, con la differenza che la gente invece di parlare canta e intorno, al posto del silenzio, c'è un'orchestra che suona.
In sé, a pensarci, quello dovrebbe essere un modo bellissimo di raccontare una storia. Poi però, spesso, uno muore di noia. Perché?
Intanto è una questione di tempi. Le opere che di solito ci fanno ascoltare, quelle di Donizetti, Verdi, Puccini, sono state scritte in epoche in cui per andare da Torino a Milano ci mettevi un giorno, a fare pranzo impiegavi un'ora e mezza, la volta che facevi il bucato eri impegnato per un intero pomeriggio e tutte le mattine potevi permetterti il lusso di andare dal barbiere a farti radere. E allora startene lì due ore a farti raccontare una storia era diverso, perché oggi quella stessa storia ti può arrivare con l'e-mail mentre addenti un cheeseburger dopo esser sceso da un aereo proveniente da Chicago sul quale ti sei fatto la barba col tuo bilama e con la lavatrice nella stanza accanto che si preoccupa di fare i conti col contenuto del tuo zaino. Dunque uno a questa cosa deve pensarci, perché poi, se ci ha ragionato un momento, un'opera se la può godere e scopre che è uno spettacolo bellissimo.
La seconda questione è che l'opera, a dir la verità, non racconta la storia che dice di raccontare, quella stampata sul libretto (che i più appassionati si portano in tasca e - roba da matti - leggono con una piletta durante lo spettacolo). L'opera racconta tutto ciò che non si può dire in un altro modo, l'amore trepidante e la rabbia feroce, l'invidia, la tensione e la felicità, la paura, la potenza. Tutte cose che la musica di un'orchestra che suona e la voce dei cantanti ti vanno a mettere direttamente nel cuore e nello stomaco, senza nemmeno sfiorare il cervello, e allora quando entrate ad ascoltare La Traviata o Tosca dovete sapere che le parole che faticate a capire hanno la loro importanza ma che il bello dello spettacolo - quello che dà punti al cinema e ai romanzi più travolgenti - sta in ciò che vi si infila dentro senza che sappiate dire da dove è entrato.
E se state a guardare i movimenti scelti dal regista, le scene, i costumi, le luci, se guardate i vestiti esagerati delle madame alla prima e ascoltate la meraviglia che vi soffiano nelle orecchie dal palcoscenico le voci più fascinose, capite che l'opera è uno spettacolo complesso, molto più complesso di un film o di un libro, e che per innamorarsene le prime volte bisogna fare un po' di fatica ma poi, capite le regole del gioco, la si va a mettere tra le cose belle della vita.

Non solo l'opera è lenta ma, in più, le storie che racconta di solito non assomigliano a Pulp Fiction né a Star Trek. Anche lì, bisogna abituarsi un momento. Certe storie che si ascoltano all'opera, però, hanno addosso una bellezza incredibile e sono storie che fa piacere imparare. Più di tutte a me piace quella di Don Giovanni, che sta dentro un'opera di Mozart. Don Giovanni, come dice la parola stessa, è un donnaiolo impenitente, un playboy di quelli tosti che non si fermano di fronte a nulla. Le sue squinzie si chiamano Donna Anna, Donna Elvira, Zerlina, e lui le fa girare come vuole, aiutato dal maggiordomo Leporello (che gli sciorina certe paternali senza senso ma poi, in quanto a donne, va al traino dal padrone). Fidanzati e mariti delle squinzie vorrebbero fare il tombino a Don Giovanni, ma lui è un furbacchione e riesce sempre a cavarsela. Finché da un cimitero viene fuori nientemeno che la statua del padre di una delle bambole e, dopo aver invano suggerito a Don Giovanni di farsi furbo, lo fa sprofondare all'inferno con soddisfazione di tutti i presenti che si mettono a cantare - ricordatevi che siamo in un'opera - "Questo è il fin di chi fa mal…".

 Ma perché, uno si chiede, quelli cantano a quel modo, che sembra si strozzino e stiano sempre per schiattare? La questione è che una volta - quando è nata l'opera, quando si è sviluppato il belcanto - non c'erano microfoni, mixer e casse, e i teatri erano grandi, e la gente tanta, e insomma per farsi sentire si è inventato quel modo di cantare lì (che in realtà permette ai cantanti di non sgolarsi e far arrivare la voce lontano). Poi, a esser sinceri, una bella voce impostata (si dice così) è una cosa piacevole e certe volte la melodia di un soprano ti sconquassa lo stomaco manco fosse Mina. Oggi che esiste l'elettronica, però, molti compositori scelgono di interrompere la tradizione e scrivono opere per voci non impostate, come quelle della musica leggera o quelle che si usano per cantare musica antica (che non aveva ancora esigenze di "amplificazione naturale" perché le sale erano piccoline); e insomma certe opere di oggi sembrano più un concerto dei Neri per caso che una replica di Aida.

 

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Aggiornato il: 28 marzo 2001