LA MUSICA CLASSICA

Il mestiere di musicista

Nicola Campogrande

  
La magia del palazzo la intuite già da fuori, quando passando sotto le finestre sentite incrociarsi musica per pianoforte ed esercizi per marimba, l'orchestra che prova Mozart ed un trombonista che si arrampica lungo il tema della Pantera rosa. Se poi per caso vi capita di entrare, scoprite che ogni corridoio è una miniera di meraviglie, con suoni che arrivano da tutte le parti, ragazzi che cantano nelle aule e violinisti che si esercitano nei bagni prima delle lezioni (fare musica in bagno, tra l'altro, è piuttosto godurioso: di solito si canta sotto la doccia perché le piastrelle riflettono molto bene i suoni e qualunque voce si trasforma in quella di Whitney Houston). Questo luogo un po' magico, in cui centinaia di studenti trascorrono molti anni, è un Conservatorio: alla fine del corso di studio (5 anni per un cantante, 7 per un flautista, 10 per un pianista o un violinista…) ci si ritrova diplomati e pronti ad iniziare una carriera musicale che porterà a lavorare in orchestra, in formazioni da camera, come solisti, come compositori, direttori d'orchestra o direttori di coro oppure come insegnanti di musica.
Come quella di altri studenti, la vita degli aspiranti musicisti è fatta di lezioni a scuola e compiti a casa. A volte le lezioni sono individuali, altre volte, però, si fanno tutti insieme, come in una pluriclasse, seduti vicino a compagni più giovani ai quali regalare qualche suggerimento ma anche vicino ad altri che sono più avanti nel corso di studio e dai quali si imparano un sacco di cose.
Alcune di queste cose riguardano la tecnica di uno strumento, il modo in cui un pianista deve appoggiare le dita sui tasti o quello in cui un violoncellista deve far scorrere l'archetto. Altre cose però - e sono le più affascinanti - hanno a che fare con il modo in cui si suona, cioè con le scelte che ad ogni istante un musicista deve compiere perché la musica che gli sta di fronte prenda vita e soprattutto acquisti la vita che lui le vuole dare. Voglio dire, uno magari non ci pensa, ma i musicisti non sono juke-box nei quali, al posto della moneta, si infila un foglio pentagrammato. Cioè, sì, sono anche quello, ma lo sono ognuno in un modo diverso, così che tu infili il foglio ma non sai mai esattamente che musica ne verrà fuori perché - questo è il bello - ciascuno suonerà un po' come gli piace. E il gusto musicale, l'insieme di conoscenze storiche, geografiche, acustiche, letterarie, filosofiche oltre che musicali, è la ricchezza di ogni musicista, una ricchezza che si comincia ad accumulare negli anni del Conservatorio per poi conservarla ed accrescerla man mano che si va avanti nel mestiere. L'interpretazione è il modo in cui ogni musicista mette in pratica il proprio gusto, e la bellezza delle migliori esecuzioni sta proprio nella sapienza con la quale un flautista, un timpanista o un'intera orchestra sanno fondere la perfezione della propria tecnica (che vuol poi dire non sbagliare le note, andare a tempo e così via) con la raffinatezza, la piacevolezza delle proprie scelte musicali (che in parte hanno un nome - e si chiamano suonare piano o forte, fare un respiro qui invece che là, scegliere una certa velocità - e in parte sono difficilissime da raccontare e così ci si arrampica sui vetri con espressioni tipo "lettura particolarmente romantica" oppure "esecuzione gelidamente geometrica").
Tra i modi di suonare che si incontrano sui dischi o in sala da concerto ce n'è uno oggi molto in voga che riguarda soprattutto la musica rinascimentale e barocca: è l'esecuzione filologica, che prevede l'utilizzo di strumenti originali anziché moderni (e se non si trovano più abbastanza violini del Seicento se ne costruiscono di identici a quelli conservato nei musei) e suggerisce la riscoperta di pratiche esecutive sprofondate nei secoli. Così che spesso ormai capita di poter ascoltare un certo brano nella versione cui ci si era abituati, diciamo da un secolo a questa parte, oppure in versione filologica, che significa in un modo abbastanza diverso. I sostenitori della pratica filologica ti dicono (con qualche ragione) di essere gli unici a farti ascoltare quella certa musica così come il compositore l'aveva pensata. Gli altri, che preferiscono esecuzioni moderne, ti spiegano invece che le musica vive nell'epoca in cui la si suona, che le nostre sale sono state costruite per esaltare il suono di strumenti moderni (e si parla sempre, se va bene, di Ottocento) e che le nostre orecchie fanno fatica ad ascoltare musica cui non si è più abituati
 

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Aggiornato il: 28 marzo 2001