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La
magia del palazzo la intuite già da fuori, quando passando sotto le
finestre sentite incrociarsi musica per pianoforte ed esercizi per
marimba, l'orchestra che prova Mozart ed un trombonista che si
arrampica lungo il tema della Pantera rosa. Se poi per caso vi capita
di entrare, scoprite che ogni corridoio è una miniera di meraviglie,
con suoni che arrivano da tutte le parti, ragazzi che cantano nelle
aule e violinisti che si esercitano nei bagni prima delle lezioni
(fare musica in bagno, tra l'altro, è piuttosto godurioso: di solito
si canta sotto la doccia perché le piastrelle riflettono molto bene i
suoni e qualunque voce si trasforma in quella di Whitney Houston).
Questo luogo un po' magico, in cui centinaia di studenti trascorrono
molti anni, è un Conservatorio: alla fine del corso di studio (5 anni
per un cantante, 7 per un flautista, 10 per un pianista o un
violinista…) ci si ritrova diplomati e pronti ad iniziare una
carriera musicale che porterà a lavorare in orchestra, in formazioni
da camera, come solisti, come compositori, direttori d'orchestra o
direttori di coro oppure come insegnanti di musica.
Come quella di altri studenti, la vita degli aspiranti musicisti è
fatta di lezioni a scuola e compiti a casa. A volte le lezioni sono
individuali, altre volte, però, si fanno tutti insieme, come in una
pluriclasse, seduti vicino a compagni più giovani ai quali regalare
qualche suggerimento ma anche vicino ad altri che sono più avanti nel
corso di studio e dai quali si imparano un sacco di cose.
Alcune di queste cose riguardano la tecnica di uno strumento, il modo
in cui un pianista deve appoggiare le dita sui tasti o quello in cui
un violoncellista deve far scorrere l'archetto. Altre cose però - e
sono le più affascinanti - hanno a che fare con il modo in cui si
suona, cioè con le scelte che ad ogni istante un musicista deve
compiere perché la musica che gli sta di fronte prenda vita e
soprattutto acquisti la vita che lui le vuole dare. Voglio dire, uno
magari non ci pensa, ma i musicisti non sono juke-box nei quali, al
posto della moneta, si infila un foglio pentagrammato. Cioè, sì,
sono anche quello, ma lo sono ognuno in un modo diverso, così che tu
infili il foglio ma non sai mai esattamente che musica ne verrà fuori
perché - questo è il bello - ciascuno suonerà un po' come gli
piace. E il gusto musicale, l'insieme di conoscenze storiche,
geografiche, acustiche, letterarie, filosofiche oltre che musicali, è
la ricchezza di ogni musicista, una ricchezza che si comincia ad
accumulare negli anni del Conservatorio per poi conservarla ed
accrescerla man mano che si va avanti nel mestiere. L'interpretazione
è il modo in cui ogni musicista mette in pratica il proprio gusto, e
la bellezza delle migliori esecuzioni sta proprio nella sapienza con
la quale un flautista, un timpanista o un'intera orchestra sanno
fondere la perfezione della propria tecnica (che vuol poi dire non
sbagliare le note, andare a tempo e così via) con la raffinatezza, la
piacevolezza delle proprie scelte musicali (che in parte hanno un nome
- e si chiamano suonare piano o forte, fare un respiro qui invece che
là, scegliere una certa velocità - e in parte sono difficilissime da
raccontare e così ci si arrampica sui vetri con espressioni tipo
"lettura particolarmente romantica" oppure "esecuzione
gelidamente geometrica"). |
Tra
i modi di suonare che si incontrano sui dischi o in sala da concerto
ce n'è uno oggi molto in voga che riguarda soprattutto la musica
rinascimentale e barocca: è l'esecuzione
filologica,
che prevede l'utilizzo di strumenti originali anziché moderni (e se
non si trovano più abbastanza violini del Seicento se ne costruiscono
di identici a quelli conservato nei musei) e suggerisce la riscoperta
di pratiche esecutive sprofondate nei secoli. Così che spesso ormai
capita di poter ascoltare un certo brano nella versione cui ci si era
abituati, diciamo da un secolo a questa parte, oppure in versione
filologica, che significa in un modo abbastanza diverso. I sostenitori
della pratica filologica ti dicono (con qualche ragione) di essere gli
unici a farti ascoltare quella certa musica così come il compositore
l'aveva pensata. Gli altri, che preferiscono esecuzioni moderne, ti
spiegano invece che le musica vive nell'epoca in cui la si suona, che
le nostre sale sono state costruite per esaltare il suono di strumenti
moderni (e si parla sempre, se va bene, di Ottocento) e che le nostre
orecchie fanno fatica ad ascoltare musica cui non si è più abituati |