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Andare
ad un concerto è sicuramente il miglior modo per avvicinarsi alla
musica. Non è possibile una condizione di ascolto migliore. Non c'è
impianto Hi Fi (a valvole o transistors, giradischi o lettore CD) in
grado di competere. La performance dal vivo a livello emozionale, come
capacità di coinvolgimento dell'ascoltatore, è esperienza unica ed
irripetibile. Solo così si può sentire e vedere la musica
apprezzando appieno il feeling di un artista e cioè la capacità di
provare emozioni e poi di comunicarle attraverso la sua composizione
all'ascoltatore. Se per un musicista suonare dal vivo è una ragione
di vita, è una reale esigenza del pubblico ascoltare la performance
live, avere una verifica sulla scena delle capacità dei propri
beniamini. Richie Havens, uno degli eroi del Festival di Woodstock, ha
scritto sulla copertina del suo disco dal vivo: "Il palcoscenico
è un luogo che fa paura. All'artista è concesso sostarvi solo con
l'approvazione del suo pubblico". Ma il palco è anche un
catalizzatore di eventi unici, straordinari per valenza artistica, e
spesso questi avvengono proprio grazie all'atmosfera che si crea, alla
"corrispondenza d'amorosi sensi" che si stabilisce tra chi
suona e chi ascolta. Il concerto resta quindi l'incontro più
coinvolgente con la musica. E' un momento magico, un bagno di
emozioni: vero e proprio catalizzatore dell'energia sonora che arriva
poderosa alle sacrosante orecchie di chi vi accorre per ascoltare. Il
concerto è un momento di catarsi: consacra e mitizza, eleva
sommamente agli occhi dei presenti i musicisti.
Così si eleggono le figure dell'ultimo Olimpo che il nostro secolo ha
saputo creare. Storicamente l'anno dei concerti è il 1969: il mito si
celebra a Woodstock, protagonisti gli oltre trecentomila giovani
accorsi; tre giorni di pace, amore e musica, come recitava lo slogan
sul manifesto, ma il sogno verrà disintegrato di lì a poco ad
Altamont, in California: un giovane viene ucciso dal servizio d'ordine
proprio sotto il palco dove si esibivano i Rolling Stones. Meno
drammatici i concerti jazz che generalmente prediligono ambienti più
raccolti e fumosi: fuori dai club proliferano i festival, momenti di
scorpacciate sonore straordinarie. Provate a respirarne l'aria una
volta: non riuscirete più a farne a meno.
Ma rispetto alla musica classica nei concerti di rock e di jazz si
"deve" soffrire: snervanti attese davanti ai cancelli prima
dell'apertura per sudarsi un posto in transenna secca sotto il palco;
seduti, quasi mai: i pochi sedili o si conquistano ore prima o sono
collocati dove nulla si vede e poco si sente. Occorre anche armarsi di
santa pazienza rassegnandosi agli innumerevoli passaggi di venditori
di bibite e gelati che strillano preferibilmente durante gli
assolo...naturalmente per farsi sentire meglio. E per concludere in
gloria, raramente si può assistere ad un concerto in un luogo
deputato alla musica (naturalmente tutto a discapito del suono).
Consoliamoci sapendo che all'estero è diverso: fondamentalmente c'è
una cultura che rispetta tutta la musica, anche quella non classica,
ed ha capito che il pubblico che la segue non è fatto solo di zotici
e perditempo. |
Esiste
un'uniforme da concerto: a seconda del genere musicale ci si può
agghindare ed acconciare adeguatamente. Segno tangibile che, per i
ragazzi qualunque, il look di cantanti e suonatori conta ben di più
della griffe del più prestigioso degli stilisti. La gente accorre
chiusa nei giubbotti di pelle nera, stretta nei jeans piuttosto che
con abiti coloratissimi dalle fogge più strane; come accessori c'è
molta paccottiglia spesso riciclata, crocefissi, cinture di cuoio,
borchie a volontà. Così guardandosi intorno ci si illude di stare in
mezzo a gente che la pensa nello stesso modo. Pura utopia targata anni
'60. L'atmosfera che circonda il concerto è assolutamente
particolare: una sorta di febbre accompagna l'attesa del pubblico fino
al momento in cui si spegneranno le luci; si guarda curiosamente la
gente o si indaga attentamente su tutta la tecnologia (spesso
esasperata) che si trova sul palco: dagli amplificatori alla
strumentazione, alle piramidi di luci, ai giganteschi mixer dotati di
decine di piste, ai computer che governano i suoni .
Tra
gli anni '60 e 80' poi c'è anche stata l'esigenza collettiva
del grande raduno.Il più noto è certamente il festival di
Woodstock (New York, 1969). Sul palco sfilarono protagonisti
del folk-revival e della canzone di protesta come Joan Baez;
Crosby, Stills, Nash and Young; Country Joe; alcuni musicisti
"esotici" come l'indiano Ravi Shankar; depositari
del "rock jazz" come i Blood Sweat & Tears;
interpreti delle sonorità nere come Janis Joplin; Sly &
The Family Stone, Canned Heat, Johnny Winter; portabandiera
del "rock acido" come Jefferson Airplane ed i
Grateful Dead; "enfants terribles" del rock inglese,
gli Who. Furono presenti inoltre musicisti che proprio grazie
alla loro partecipazione al festival si
"inventarono" una carriera, come Joe Cocker, Santana,
Sha-Na-Na, Richie Havens e Ten Years After, che, tutti
insieme, pare non fossero costati più di 15.000 dollari. Su
tutti, il nome che più di ogni altro resta indissolubilmente
legato a Woodstock, è quello di Jimi Hendrix, chitarrista
americano ormai consegnato alla leggenda.
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