LA MUSICA EXTRACOLTA

Andate ad un concerto

Marco Basso

  
Andare ad un concerto è sicuramente il miglior modo per avvicinarsi alla musica. Non è possibile una condizione di ascolto migliore. Non c'è impianto Hi Fi (a valvole o transistors, giradischi o lettore CD) in grado di competere. La performance dal vivo a livello emozionale, come capacità di coinvolgimento dell'ascoltatore, è esperienza unica ed irripetibile. Solo così si può sentire e vedere la musica apprezzando appieno il feeling di un artista e cioè la capacità di provare emozioni e poi di comunicarle attraverso la sua composizione all'ascoltatore. Se per un musicista suonare dal vivo è una ragione di vita, è una reale esigenza del pubblico ascoltare la performance live, avere una verifica sulla scena delle capacità dei propri beniamini. Richie Havens, uno degli eroi del Festival di Woodstock, ha scritto sulla copertina del suo disco dal vivo: "Il palcoscenico è un luogo che fa paura. All'artista è concesso sostarvi solo con l'approvazione del suo pubblico". Ma il palco è anche un catalizzatore di eventi unici, straordinari per valenza artistica, e spesso questi avvengono proprio grazie all'atmosfera che si crea, alla "corrispondenza d'amorosi sensi" che si stabilisce tra chi suona e chi ascolta. Il concerto resta quindi l'incontro più coinvolgente con la musica. E' un momento magico, un bagno di emozioni: vero e proprio catalizzatore dell'energia sonora che arriva poderosa alle sacrosante orecchie di chi vi accorre per ascoltare. Il concerto è un momento di catarsi: consacra e mitizza, eleva sommamente agli occhi dei presenti i musicisti.
Così si eleggono le figure dell'ultimo Olimpo che il nostro secolo ha saputo creare. Storicamente l'anno dei concerti è il 1969: il mito si celebra a Woodstock, protagonisti gli oltre trecentomila giovani accorsi; tre giorni di pace, amore e musica, come recitava lo slogan sul manifesto, ma il sogno verrà disintegrato di lì a poco ad Altamont, in California: un giovane viene ucciso dal servizio d'ordine proprio sotto il palco dove si esibivano i Rolling Stones. Meno drammatici i concerti jazz che generalmente prediligono ambienti più raccolti e fumosi: fuori dai club proliferano i festival, momenti di scorpacciate sonore straordinarie. Provate a respirarne l'aria una volta: non riuscirete più a farne a meno.
Ma rispetto alla musica classica nei concerti di rock e di jazz si "deve" soffrire: snervanti attese davanti ai cancelli prima dell'apertura per sudarsi un posto in transenna secca sotto il palco; seduti, quasi mai: i pochi sedili o si conquistano ore prima o sono collocati dove nulla si vede e poco si sente. Occorre anche armarsi di santa pazienza rassegnandosi agli innumerevoli passaggi di venditori di bibite e gelati che strillano preferibilmente durante gli assolo...naturalmente per farsi sentire meglio. E per concludere in gloria, raramente si può assistere ad un concerto in un luogo deputato alla musica (naturalmente tutto a discapito del suono). Consoliamoci sapendo che all'estero è diverso: fondamentalmente c'è una cultura che rispetta tutta la musica, anche quella non classica, ed ha capito che il pubblico che la segue non è fatto solo di zotici e perditempo.

Esiste un'uniforme da concerto: a seconda del genere musicale ci si può agghindare ed acconciare adeguatamente. Segno tangibile che, per i ragazzi qualunque, il look di cantanti e suonatori conta ben di più della griffe del più prestigioso degli stilisti. La gente accorre chiusa nei giubbotti di pelle nera, stretta nei jeans piuttosto che con abiti coloratissimi dalle fogge più strane; come accessori c'è molta paccottiglia spesso riciclata, crocefissi, cinture di cuoio, borchie a volontà. Così guardandosi intorno ci si illude di stare in mezzo a gente che la pensa nello stesso modo. Pura utopia targata anni '60. L'atmosfera che circonda il concerto è assolutamente particolare: una sorta di febbre accompagna l'attesa del pubblico fino al momento in cui si spegneranno le luci; si guarda curiosamente la gente o si indaga attentamente su tutta la tecnologia (spesso esasperata) che si trova sul palco: dagli amplificatori alla strumentazione, alle piramidi di luci, ai giganteschi mixer dotati di decine di piste, ai computer che governano i suoni .

Tra gli anni '60 e 80' poi c'è anche stata l'esigenza collettiva del grande raduno.Il più noto è certamente il festival di Woodstock (New York, 1969). Sul palco sfilarono protagonisti del folk-revival e della canzone di protesta come Joan Baez; Crosby, Stills, Nash and Young; Country Joe; alcuni musicisti "esotici" come l'indiano Ravi Shankar; depositari del "rock jazz" come i Blood Sweat & Tears; interpreti delle sonorità nere come Janis Joplin; Sly & The Family Stone, Canned Heat, Johnny Winter; portabandiera del "rock acido" come Jefferson Airplane ed i Grateful Dead; "enfants terribles" del rock inglese, gli Who. Furono presenti inoltre musicisti che proprio grazie alla loro partecipazione al festival si "inventarono" una carriera, come Joe Cocker, Santana, Sha-Na-Na, Richie Havens e Ten Years After, che, tutti insieme, pare non fossero costati più di 15.000 dollari. Su tutti, il nome che più di ogni altro resta indissolubilmente legato a Woodstock, è quello di Jimi Hendrix, chitarrista americano ormai consegnato alla leggenda.

 

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Aggiornato il: 28 marzo 2001