I
pochi carbonai rimasti si possono contare sulle dita di una mano. Qualcuno
forse, a Buddusò, Ghjuanni Tarracana a Luogosanto e
poi Ciccu Spanu a Bortigiadas. Già
all'età di 13 anni si andava con i grandi in campagna a lavorare, lontani
da casa, in un'intricatissima e superba foresta di lecci, corbezzolo,
erica, frassino. E non c'era neanche il tempo di pensare
alla
salvaguardia del bosco. Tutto andava tagliato e bruciato. Ciccu
ricorda il taglio selvaggio dei toscani, un certo Marini che dal 1935 al
1936 era stato qui e molti pur di non fare il militare
preferivano servire la patria facendo il carbone. Lo si faceva un po'
dappertutto da Cuiliana a Scala Ruía. A Nodu Culvínu
resiste ancora una traccia del vecchio sentiero solcato dai carri a
buoi,
soffocato ormai dal fitto sottobosco. II nostro
carbone - mi dice
Ciccu
Spanu - è il migliore sul
mercato perché fatto da legni nobili, molto
più buono di quello importato dalla Spagna fatto di legna più tenera.
Oggi lo facciamo ancora soprattutto
per le pizzerie della Costa. L'unico
nostro, rimpianto è che di queste foreste la Sardegna non ne ha ormai più,
eppure l'orribile calvizie delle campagne bortigiadesi può e deve essere
risanata con una massiccia opera di rimboschimento degli alberi che
prima così
riccamente la popolavano: lecci, querce, frassini, ginepro, olivastro. Così
potremo riparlare di foresta ma non più come oggi, quasi fosse una rara
reliquia.
Mario
Pischedda |