La Chea
(la carbonaia)


La chea aveva la forma del cono e partiva quindi da una base rotonda e con estrema abilità i tonchi venivano sistemati in ordine di grandezza fino a chiudere il cono. Il legname veniva ricoperto di frasche e terra , una volta acceso il fuoco la pira bruciava a fuoco lento per vari giorni per trasformare la legna in carbone. Dal 1880 fino al 1920 i taglialegna lucchesi e piemontesi spianarono tutte le foreste della Sardegna, i galluresi vissero un periodo di vera prosperità tutti i contadini della zona per anni vennero impiegati nel taglio delle foreste e tutti i carri a buoi vennero noleggiati per il trasporto del carbone dalle colline verso il mare per l’imbarco. I carbonai dell’epoca venuti dal continente operarono per ottenere il massimo guadagno e spogliarono completamente la Sardegna dalle essenze vegetali.


I pochi carbonai rimasti si possono contare sulle dita di una mano. Qualcuno forse, a Buddusò, Ghjuanni Tarracana a Luogosanto e poi Ciccu Spanu a Bortigiadas. Già all'età di 13 anni si andava con i grandi in campagna a lavorare, lontani da casa, in un'intricatissima e superba foresta di lecci, corbezzolo, erica, frassino. E non c'era neanche il tempo di pensare alla salvaguardia del bosco. Tutto andava tagliato e bruciato. Ciccu ricorda il taglio selvaggio dei toscani, un certo Marini che dal 1935 al 1936 era stato qui e molti pur di non fare il militare preferivano servire la patria facendo il carbone. Lo si faceva un po' dappertutto da Cuiliana a Scala Ruía. A Nodu Culvínu resiste ancora una traccia del vecchio sentiero solcato dai carri a buoi, soffocato ormai dal fitto sottobosco. II nostro carbone - mi dice Ciccu Spanu - è il migliore sul mercato perché fatto da legni nobili, molto più buono di quello importato dalla Spagna fatto di legna più tenera. Oggi lo facciamo ancora soprattutto per le pizzerie della Costa. L'unico nostro, rimpianto è che di queste foreste la Sardegna non ne ha ormai più, eppure l'orribile calvizie delle campagne bortigiadesi può e deve essere risanata con una massiccia opera di rimboschimento degli alberi che prima così riccamente la popolavano: lecci, querce, frassini, ginepro, olivastro. Così potremo riparlare di foresta ma non più come oggi, quasi fosse una rara reliquia.
Mario Pischedda


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