Lo Stazzo Gallurese
Lo stazzo -  Il termine “stazzu” deriva dal latino “statio”, stazione, indica contemporaneamente l’azienda contadina e la costruzione in cui abita il proprietario.


La vita del contadino fino al XVII secolo in bassa Gallura.
"Ogni stazzo poteva considerarsi un entità a sé e quindi autosufficiente, giacché si seminava il necessario per i bisogni familiari e il bestiame produceva i latticini necessari per il companatico. In ogni casa c'era in un angolo la mola per macinare il grano e in un altro il telaio; il lino e la lana erano prodotti e lavorati in proprio: il primo per la biancheria intima la seconda per i vestiti. Abbandonate le grotte le case erano dei rustici monolocali, lunghi anche sette o otto metri e larghe cinque o sei metri, divisi da un arco in pietra dove posare i capi delle travi, separati in due tronconi. Al centro la zidda ( il focolare) in terra battuta il cui fumo usciva dal tetto. L’illuminazione notturna dell’abitazione, grotta o casa, era data da quattro lucignoli immersi in una vaschetta quadrata di latta o di coccio, piena di òciu di listincu crudu (olio di lentischio non cotto). N. Cucciari, Magia e superstizione tra i pastori della Bassa Gallura.


Ad Arzachena, e più in generale in Gallura,il territorio è costellato da queste particolari forme di conduzione agropastorale. Le case sono piccoli capolavori di quella che può essere definita architettura spontanea. In genere non “staccano” dal paesaggio, di rado quindi si vedono, o meglio, difficilmente si notano. Il loro impatto ambientale è pari a quello dei muretti a secco, ulteriore e fondamentale elemento della geografia gallurese, segni dell’uomo integrato nel tessuto agrario. Ma gli stazzi hanno anche altre peculiarità. Intanto non si tratta di organizzazioni economiche singole, fanno parte di un insieme che i galluresi chiamano “cussogghja” entità geografica e sociale in cui un insieme di stazzi è unito da un vincoli molto particolari e insoliti, di ordine prevalentemente morali come la “manialia”. Durante il ciclo agricolo o in occasioni particolari come la trebbiatura, la vendemmia, o la costruzione di un recinto tutti i vicini di un proprietario formavano una squadra di lavoro che presta gratuitamente la propria attività lavorativa. Un altro esempio di vincolo esistente tra “cussugghjali  è quello della “punitura”. Questa norma di comportamento prevede che chiunque abbia perduto il gregge per sorte avversa, o per furto o per ritorsione riceva in dono dai vicini un capo ovino  o bovino.

Il dialetto gallurese viene parlato in una vasta area della Sardegna settentrionale, delimitata ad est dal Mar Tirreno, a nord dalle Bocche di Bonifacio, ad ovest dal fiume Coghinas e a sud dai monti del Limbara. Nel XIV secolo, la Gallura ha conosciuto una prima migrazione consistente di genti Corse; un secondo flusso migratorio di questa popolazione si avrà nel XVIII secolo. Questa seconda migrazione determinò il ripopolamento della Gallura, quasi totalmente disabitata nel XV secolo, con una presenza massiccia di Corsi, che finirono con il costituire circa i tre quarti della popolazione. Questo è il motivo per il quale, almeno nei suoi caratteri essenziali, il gallurese è una varietà del Corso meridionale, sviluppatasi autonomamente in Sardegna. Questo dialetto si distingue, sia per il lessico che per la morfologia che per la sintassi, dalla lingua sarda (tant’è che per un abitante di Arzachena è molto difficile, se non impossibile, capire un abitante di Orgosolo che parli nella sua lingua). Naturalmente tra il gallurese e le diverse varietà del sardo (le principali sono quella logudorese, nuorese e campidanese), vi sono molti elementi, soprattutto lessicali, in comune. Nel nostro dialetto è forte anche la presenza di prestiti dall’italiano, dallo spagnolo, dal toscano e dal catalano.