Lui è così    di Serenavariabile

 

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Io ed Andrea: sicuramente i due studenti più diversi che frequentavano la
quinta commerciale all'Istituto .... di Roma. Lui, di tre anni più vecchio
dell'età giusta per quella classe, romano de Roma, alto, massiccio, con due
occhi nerissimi, con una comunicatività che lo rendeva subito simpatico a
tutti, indolente sino all'inverosimile rispetto alla scuola ma vivacissimo
nell'organizzare feste, gite, cenette, partitelle di tutti gli sport
possibili. Io milanese trapiantato da due anni a Roma, biondino, occhi
azzurri, piuttosto esile, timido, introverso e sgobbone.
I successi scolastici di Andrea erano dovuti esclusivamente alla sua
capacità di improvvisare, di convincere, di raggirare i professori, almeno
nei pochi giorni in cui era presente a scuola. Io, primo della classe,
snobbavo i modi spicci e le uscite volgari di Andrea, ma covavo invidia da
morire per il suo successo con le ragazze, che letteralmente gli saltavano
addosso (ed anche di qualche insegnante, a quel che si mormorava), In
realtà, agli antipodi anche nella collocazione in classe - lui nel lato
estremo opposto alla cattedra ed io praticamente sotto il naso del
professore- avevamo ben poche occasioni di scambiare qualche frase.
Per questo mi meravigliò e mi confuse quando, quella mattina di fine maggio
lo vidi affiancarsi a me mentre percorrevo a piedi le poche centinaia di
metri che separavano la mia abitazione dalla scuola, a bordo della sua
improbabile Panda. "Che vvai ar Reggina?" mi apostrofò fintamente burbero,
alludendo ovviamente al carcere omonimo romano.
Non riuscii altro che a sorridergli, facendo spallucce di rassegnazione.
"Dai, monta, ch'è un crimine co' sta ggiornata....". Una qualità di Andrea
era quella di variare con abilità tono di voce e mimica facciale, così da
spiazzare l'interlocutore e renderlo incapace di reagire in maniera adeguata
ai suoi tempi velocissimi, con il risultato che ti trovavi a fare quello che
lui voleva ancora prima che te ne fossi reso conto.
Pareva che la stessa capacità di coinvolgere gli altri al suo scopo la
trasmettesse anche al suo macinino, che percorse in un tempo incredibilmente
breve la strada per andare al mare, sia pure al prezzo di pericolosi
cigolii, sussulti, sbandate e inchiodate.
Incuneò la macchina in una stradina bianca, tra filari di viti, sino a
raggiungere un tratto di costa brullo, con una stentata macchia di
vegetazione, fermandosi sotto un gradone ghiaioso, in un punto che sembrava
abbandonato dagli uomini dopo avervi depositato tutti i rifiuti
immaginabili. Il mare era però limpido, una dolce risacca si infrangeva
sulla ghiaia, il sole già aggressivo rendeva piacevole alternare il suo
calore con il refrigerio del mare.
Nel tempo che impiegai per mormorare "non ho il costume, però..." Andrea si
era già spogliato completamente, senza alcun pudore, mettendo in mostra un
pene incredibilmente grosso, che spuntava prepotente tra una folta peluria
scura.
Mentre lui frugava nel portabagagli alla ricerca di un lenzuolo bianco,
abbondantemente crivellato di strappi e buchi, io mi spogliai, cercando di
nascondere l'imbarazzo. Il mio era un fisico di un adolescente in confronto
a quello di un uomo. La peluria chiara che circondava il mio pisellino ne
metteva ancora più in risalto l'inadeguatezza. Trovai rifugio in acqua,
rischiando una sincope, e mi misi vigorosamente a nuotare, mettendo a frutto
le ore trascorse in piscina quando ero a Milano.
Mi fermai soltanto quando vidi anche lui in acqua, a molta distanza da me,
che si arrabattava in un disordinato stile cagnolino. Quando mi raggiunse,
un po' affannato, gradii i complimenti che mi fece ed iniziammo a scherzare
con schizzi, tentativi di portare l'altro sottacqua, insomma le solite cose.
Ci toccamo ripetutamente ed involontariamente, io più abile a sgusciare e
lui più forte fisicamente, Passandogli sotto, notai che il suo pene si era
parzialmente eretto. Ciò mi provocò un improvviso e sconosciuto senso di
attrazione. Glielo sfiorai con finta casualità prima con il ginocchio. Lui
mi afferrò e mi costrinse a sentirlo dietro. Era ancora uno scherzo, ma ebbe
l'effetto di aumentare il mio turbamento ed accrescere la sua erezione. Ebbi
soltanto un attimo di abbandono, dopo di che mi allontanai bruscamente e
nuotai velocemente verso riva. Incominciai ad asciugarmi con il lenzuolo,
anche se lo scopo era quello di nascondere la parte di me in cui mi sentivo
più inferiore.
Lui si avvicinò e prese ad aiutarmi. Stropicciava energicamente
l'asciugamano sulle spalle, sulle braccia, e poi sul torace, sino a quando
non ricomparve, più forte, il turbamento di prima. Lo lasciai fare, mi feci
asciugare le gambe, l'esterno dei glutei. Quando le sue attenzioni si fecero
più intime, riuscii di nuovo a scuotermi e ad allontanarmi. Ogni mio
imbarazzo, tuttavia, svaniva di fronte al suo comportamento disinvolto, alle
sue battute, ai suoi scherzi.
"Mo' tocca a ttè" mi ordinò dopo che mi ebbe bruscamente sottratto il
lenzuolo e se lo fu posto intorno alla vita. Presi ad asciugarlo,
rifiutandomi di analizzare le sensazioni che mi provocavano accarezzare il
corpo di un uomo. Gli asciugai il torace, la vita, i fianchi e stavo per
scendere alle gambe quando mi prese saldamente le mani tra le sue
ingiungendomi" non dimentichi qualcuno?". Cercai di stringere una ciocca di
lenzuolo per sottrarmi al contatto con il suo pene, ma ancora una volta il
suo tono disincantato, la sua capacità di rendere ovvio che gli si
ubbidisse, mi ingiunsero a tenerlo tra le mani. Lo sentivo crescere e ne
percepivo il calore. Pazientemente mi fece distendere le dita in modo da
poterlo stringere completamente e mi avviò ad un inequivoco movimento di su
e giù.
Quando si fu assicurato che io continuavo anche senza il suo aiuto, mi fece
mettere in ginocchio e lentamente mi sfilò le lenzuola da sotto le dita,
facendomi toccare direttamente il suo cazzo.
L'avevo all'altezzza dei miei occhi, ne vedevo la spaventosa grandezza e ne
rimasi soggiogato. Non era, credo, un puro desiderio omosessuale. Era
l'invidia, l'adorazione di un membro che aveva già conosciuto e soddisfatto
una o forse più donne. Era la sottomissione al capo branco, un ancestrale
rispetto dell'ordine di beccata.
I gemiti di piacere che cominciava ad emettere mi inducevano a soddisfarlo
sempre di più, per cui non dovette insistere molto per indurmi ad avvicinare
le labbra al suo cazzo.
Dopo qualche spinta accompagnata da un mugolio sempre più intenso, mi
allontanò bruscamente dal membro, mi fece alzare e mi baciò. Non avevo
provato allora che qualche pudico bacio di pudiche fanciulle e quella
penetrazione intensa e completa della sua lingua mi provocò, ancora una
volta, sensazioni nuove, non so quanto piacevoli, ma alle quali non riuscivo
a sottrarmi.
Mi prese sottobraccio e, trascinando con l'altra mano il lenzuolo, mi
condusse in un piccolo anfratto, completamente nascosto dall'intreccio dei
rami bassi di un pino marino.
Distese con cura il lenzuolo a terra, mi fece allungare e prese a baciarmi
dappertutto. Di tanto in tanto soltanto la mia timidezza mi faceva mormorare
un "no" soffocato. Quando mi fece mettere alla pecorina ed incominciò a
leccarmi il buco del culo provai una contrazione cosi intensa ed
involontaria che mi ritrassi di scatto.
Con uno dei suoi consueti cambi di umore, Andrea passò dalla dolcezza della
lingua ad affibbiarmi un violento manrovescio.
Avevo l'alibi che inconsapelvolmente mi serviva. Mi arresi alla sua
prepotenza, strinsi con forza le lenzuola tra le mani per nascondere il
piacere che mi provocava mi feci allargare le gambe mentre il suo membro si
appoggiava con scopo esplicito tra i miei glutei.
Di nuovo Andrea divenne tenero, accarezzandomi i capelli, baciandomi sul
collo e mormorandomi "sei dorce...sei dorce!".
Lo sentii maneggiare per bagnarsi il glande. sentii il suo dito cercare ed
umettare il mio buco, cercai un modo adeguato per dirgli che non volevo,,,
che avevamo scherzato... ma non lo trovai.
Subito provai un violento dolore. cercai di sottrarmi al suo abbraccio ma le
mie gambe erano saldamente incastrate tra le sue, con la conseguenza che
allargando le sue gambe mi costringeva ad aprirmi di più.
Cominciò a spingere lentamente, con piccoli colpi progressivi che mi
allargavano e brevi pause in cui lui si godeva il risultato raggiunto. Il
dolore mi inondò, travolgendo paura, timidezza, ed anche il piacere, se mai
ve n'era stato.
Lagrime cocenti mi colavano il viso mentre riuscivo a formulare soltanto
brevi invocazioni di rifiuto.
Sentivo in lontananza Andrea che con voce roca mi diceva "dai, è quasi
finita, ancora un po' dopo ti piacerà".
 Eppure quel dolore era diverso da quello che avevo sentito sino ad allora.
Era un dolore dolce, che trovava sfogo nei miei singhiozzi repressi, nella
assurda comprensione di Andrea, che mi chiedeva scusa per una sofferenza che
lui stesso mi stava infliggendo.
Passò un tempo lunghissimo sino alla fine della penetrazione. Ora lo sentivo
grosso e caldissimo ed avvertivo chiaramente le sue pulsazioni.
Pazientemente Andrea mi portò alla pecorina ed introdusse, di scatto,
l'ultimo tratto di pene. Questa volta il dolore fu meno intenso.
Cominciò quindi a manovrare il cazzo con movimenti dapprima impercettibili
poi sempre più energici, risvegliando così un piacere di fondo che non
sostituiva il dolore, ma si fondevo con esso in una miscela che mi indiceva
alla più completa sottomissione. Quando mi chiedeva premuroso se mi faceva
male, dicevo di no, mentivo, ma mi piaceva mentire. E man mano che mentivo
il dolore scompariva ed affiorava un piacere che stava diventando godimento.
Lui se ne accorgeva ed accordava i suoi colpi con perdetta sintonia. Il suo
abbraccio era soffocante, i suoi colpi violenti, mi chiedeva in
continuazione se mi piaceva ed alla fine gli dissi di si.
Pochi altri colpi più violenti, accompagnati da un unico prolungato gemito
mi fecero capire che era venuto. Mi sentii parte del suo piacere, strumento
del suo piacere, e questo fu il mio piacere.
Restammo straiati per qualche momento, poi mi sfilò il membro e pigramente
tornammo in acqua.
Ricominciammo a giocare, cercai di rifiutare di nuovo i suoi abbracci, gli
dissi che era comunque uno scherzo e che la cosa non si sarebbe ripetuta...
sino a quando non mi afferrò nuovamente e mi trascinò a ridosso di un
piccolo scoglio. Mi fece abbracciare quel sostegno e di nuovo mi penetrò, in
acqua. Questa volta il dolore era molto meno intenso, i suoi colpi meno
cattivi e sentii più distintamente un godimento che prima avevo appena
percepito.
Passammo il resto della mattinata a chiacchierare, sdraiati sul lenzuolo,
con una nuova complicitrà. Ascoltai affascinato le sue storie, delle donne
che aveva avuto e dei ragazzi. Di come gli piacevano entrambi e di come io
ero stato il più dolce.Mi confessò che mi teneva di mira dall'inizio
dell'anno e che ero stato completamente all'altezza dei suoi desideri.
Tutto sembrava normale, con lui. Parlava di me e con me come se fossi una
sua ragazza, il suo compagno, il suo amico preferito. Soprattutto mi fece
sentire perfettamente normale, mi raccontò di come invidiava i miei successi
a scuola, come di me si innamorassero le ragazze più serie mentre con lui
andavano soltanto quelle che volevano scopare.
Nei pochi giorni in cui andammo ancora a scuola io ed Andrea ci scambiavamo
battute, risate, pacche sulla spalla come due veri amici. Non lo rividi per
quasi nove anni sino a quando, quella sera, trascinato in una discoteca da
amici di mia moglie... ma questa è, come si dice, un'altra storia.

 

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By Serenavariabile