Amore amaro di Ocirne

 

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1
Amare! Non sapevo perche', ma cosi' trascorrevano le mie giornate al
villaggio, da quando non ero piu' una bambina. Avevo sedici anni. Prima era
diverso, da bambina ero libera di vagare tra le colline attorno al nostro
villaggio, e giocare come e con chi piu' mi piacesse. Ribelle! Ero la sola
che teneva testa ai maschi quando, stanchi di cacciare uccellini e
torturare ramarri, si dedicavano, ed accadeva spesso, al loro gioco
preferito, distruggendo i nostri divertimenti di bambine; anche se poi,
umiliata dai maschi, correvo a piangere lontano, nascosta tra i cespugli di
rovo. Ma non ero piu' una bambina. Me n'ero accorta dagli occhi dei maschi,
che ora cercavo di evitare, prima che dal mio corpo che fioriva e
sanguinava. Irrequieta! Non sopportavo piu' lo sguardo severo di mio padre,
che mi seguiva per la casa; spesso m'allontanavo e vagavo solitaria tra le
colline. Quel giorno, quando tornai a casa, non trovai i consueti
rimproveri. Un uomo molto elegante, cosi' almeno allora mi parve, stava
parlando con mio padre, e mi guardo', sfrontato, esaminandomi, ed io
restituii lo sguardo, e mio padre, anche lui, mi guardava, meno severo del
solito, con affetto, mi pareva, come una volta., quand'ero una bambina.

2
L'uomo pago' mio padre e mi condusse via con se'. Ero stata venduta. Ma non
biasimo mio padre, so che in fondo mi voleva bene. La vita nel nostro
villaggio era misera; per una giovane forte e piacente essere schiava di un
signore in un harem della capitale era molto meglio che essere moglie di un
uomo rozzo in un tugurio del paese. E i soldi avrebbero permesso di
sistemare le mie sorelle. Cosi' mi rassegnai. L'uomo, tutto sommato, fu
gentile. Solo la sera, alla locanda dove alloggiammo, volle che mi
spogliassi, ed io cercai di scappare. Allora l'uomo, senza cattiveria,
credo, mi insegno' cosa voleva dire essere schiava. Era molto piu' grande
di me e mi immobilizzo' facilmente, mi lego' al letto, mi strappo' i
vestiti di dosso e mi picchio'. Non fu crudele, fu attento a non lasciare
segni, lo fece per darmi una lezione, anche mio padre spesso l'aveva fatto,
ma fu comunque doloroso, e quello che venne dopo fu peggio. Mi apri le
gambe controllo' che fossi vergine e mi palpo' ovunque come carne venduta
dal macellaio. Io piangevo ma l'uomo mi consolo' e, baciandomi, mi fece
sdraiare con sul letto. Era eccitato e libero' dai vestiti il suo sesso, lo
struscio' avidamente sulla mia pelle, sul mio ventre e sui miei seni,
voleva che le mie mani lo toccassero, ma io piangendo non volli. Continuo'
a strusciarsi ed il suo sesso divenne sempre piu' turgido e teso, poi il
fiotto del suo seme bruciante schizzo' sulla mia pelle. Io piangevo, ma
l'uomo non ci fece caso. Mi bacio'.

3
Alla capitale mi trovarono bella. Al mercato eravamo in tante quella
mattina, in mostra, esposte a tutti, ma l'eunuco poso' gli occhi proprio su
di me; mi guardo' in bocca, mi palpo i seni ed i glutei, mi esamino' il
sesso, mi annuso', e contratto' lungamente sul prezzo; alla fine pago', ben
di piu', notai, di quanto era stato dato a mio padre, e mi condusse con se
all'harem del mio nuovo padrone. Io lo seguii docilmente, dentro pero' ero
piena di risentimento, ma non osavo ribellarmi per la paura e per
l'umiliazione che piegava il mio spirito. Nell'harem mi affidarono ad una
vecchia. Anche lei fu gentile, mi lavo' e mi pettino', mi profumo' e mi
fece indossare dei vestiti eleganti, come non avevo mai avuto, trucco' di
bistro scuro i miei occhi verdi, mi diede dei consigli e mi disse che la
vita nell'harem non era poi male. Devo ammettere che non mi dispiacque, e
quando mi vidi riflessa in uno specchio, grande e limpido come mai ne avevo
visti, mi stupii compiaciuta davanti alla mia bellezza, ma dentro,
caparbia, meditavo di fuggire alla prima occasione. Alla fine lo conobbi,
il mio padrone. Parve apprezzarmi e si complimento' con l'eunuco per la
scelta. Mi volle vicino a se', mi accarezzo' gentilmente, mi fece delle
domande: mi chiese da dove venivo, se mi piaceva l'harem, mi lusingo'. Era
un bell'uomo, elegante e raffinato, parlava bene la nostra lingua
dell'ovest, ed io rispondevo, ammetto, affascinata da quella gentilezza, ma
quando il padrone con un gesto elegante sciolse il laccio del mio bel
vestito e lo fece scivolare a terra ed io mi ritrovai nuda sotto il suo
sguardo compiaciuto, provai vergogna, e mi ribellai: lo colpii con uno
schiaffo, improvviso, imprevisto, anche per me, che subito mi spaventai per
cio' che avevo fatto.

4
Il padrone non reagi', ma lo vidi impallidire ed il suo sguardo fu tale che
mi prostro' di terrore ed io rimasi nuda e tremante dinanzi a lui. Lui che
chiamo', senza distogliere lo sguardo, e ordino' a due eunuchi imponenti di
prendermi. Mi afferrarono per le braccia e fui trascinata via.
Attraversammo sale alte e slanciate, adorne di marmi e tappeti, ed io mi
vergognavo cosi' nuda ed esposta agli occhi dei servi. Giungemmo in un
giardino ricco di fiori e piante di ogni sorta, bello come non ne avevo mai
visti. Il vecchio giardiniere stava lavorando nel roseto, abbasso' lo
sguardo quando sostammo di fronte a lui. Il padrone indico' una rosa rossa:
il boccolo appena aperto svelava i giovani petali umidi di rugiada,
senz'ombra di gualcitura, pronti per fiorire alla vita. Il giardiniere
trancio' la rosa e la pose al padrone. Rabbrividii. Scendemmo gradino dopo
gradino sempre piu' in basso, dove il palazzo incupiva tra le fondamenta
massicce, scure, strette tra pareti di pietra grezza, umida e gelida. Mi
lasciarono in una stanza sinistra e buia dove attesi tremando di freddo e
di paura. Ma li', sola, al buio, in quell'antro desolato, mi sorresse la
forza della mia dignita', avevo avuto il coraggio di ribellarmi, anche se
me ne sarei pentita. Presto pero' la porta si apri' cigolando sui cardini
ed entrarono due uomini, due schiavi anche loro, credo, dall'aspetto
spaventoso e selvaggio. Parlavano una lingua dell'ovest che io non
conoscevo. Erano nudi. Le torce ora illuminavano la stanza e cio' che vidi
fu tale da spegnere in me ogni speranza di pieta'. Cinsero le mie caviglie
ed i miei polsi con anelli di ferro. Furono attenti a non sciupare il mio
corpo, gli anelli erano rivestiti di cuoio morbido reso lucido dal tempo e
dall'uso. Mi incatenarono il collo con un collare lucente le cui maglie mi
sembrarono d'oro, serrato dal sigillo del mio padrone, e legato ad una
catena che dal collo pendeva fino a terra. Vidi che gli schiavi si stavano
eccitando ed ebbi paura.

5
Quando lui entro', io attendevo tremante, in piedi, al centro della stanza.
Per un attimo mi sentii quasi rassicurata dal suo arrivo, ma il mio
sollievo fu rapido a mutarsi in rinnovata disperazione. Si fermo' di fronte
a me, mentre gli schiavi si allontanarono deferenti. Poi comando' le sue
volonta'. Non parlo', un gesto bastava. E cosi' ebbe inizio il mio
tormento. Non ebbe pieta'. Indico' i mie seni. Gli schiavi mi incatenarono
i polsi dietro la schiena, spinsero un asse di legno orizzontale tra la mia
schiena e le braccia, sollevarono l'asse finche' potei toccare il pavimento
solo con la punta dei piedi, e poggiarono le estremita' dell'asse a due
cavalletti. Rimasi cosi' esposta, con asse che mi costringeva a inarcare la
schiena all'indietro offrendo alla vista i seni acerbi e candidi. Lo
schiavo piu' anziano guardo' il padrone e attese. Il padrone indico' una
canna di giunco sottile, allineata, in ordine, tra i vari spaventosi
strumenti presenti nella stanza. Lo schiavo l'afferro'. Il padrone sparse
sul terreno cinque petali della rosa che teneva tra le mani e presto capii
cosa significava.

6
Lo schiavo mi fustigo' i seni con ferocia esperta. La mia carne ricorda
ogni colpo. Il primo giunse forte sul seno sinistro, orizzontalmente, al
centro, in modo da colpire in pieno il capezzolo. Sentii il sibilo poi il
dolore. In seguito ogni volta che udii il sibilo della canna, l'attesa del
tormento imminente moltiplico' il mio strazio. Non volevo, ma strillai. Poi
lo schiavo colpi' il seno sinistro, poi ancora il destro, poi ancora il
sinistro. Ogni volta gemevo cercando di trattene i miei lamenti, e
conservare la mia dignita'. Avrei voluto che i miei seni sparissero, ma
invece si offrivano, gonfi, con i capezzoli eretti. Il quinto colpo arrivo'
imprevisto dal basso, colpi' ambedue i seni che si alzarono mostrandosi
mentre io inarcavo di piu', se possibile, la schiena per attutire il colpo,
e ricaddero pesanti come due frutti maturi. Lo schiavo lascio' la verga e
prese i seni con le mani; li sollevo' guardando il padrone. Allora iniziai
a piangere. I seni ora sembravano offrirsi lascivi, dondolavano turgidi con
i capezzoli esposti. Gli schiavi erano eccitati ed i loro membri
mostruosamente tesi. Il padrone guardava impassibile, mentre lo schiavo
piu' anziano mi afferrava e porgeva i seni, tenendoli sollevati, palpandoli
con le sue dita nodose e mostrandone la consistenza; tirandoli per i
capezzoli, come se stesse mungendo le mammelle di una capretta. E poi il
padrone indico' le mie terga.

7
Venni liberata per essere nuovamente incatenata, carponi, ad un mostruoso
cavalletto inclinato. Con le cosce divaricate legate alle gambe posteriori,
i seni che scendevano ai due lati ed i polsi incatenati alle gambe
anteriori del cavalletto. In quella posizione le mie terga erano piu' alte
del resto del corpo, esposte; ma non bastava, lo schiavo allargo' i glutei
mostrandomi aperta al padrone perche' potesse osservare le mie parti piu'
intime e decidere la punizione. Lo vidi spargere a terra altri petali.
Quanti, non vidi. Lo schiavo mi fustigo' per la seconda volta, senza
pieta'. Colpi' con mano esperta. Il sesto colpo calo' sibilando preciso, di
traverso, tra le reni e le natiche. La schiena si contrasse e fui costretta
ad esporre vieppiu' le terga, mentre e il mio corpo tremava e non
tratteneva piu' i suoi liquidi. E subito arrivo il settimo colpo,
verticale, schioccando e schizzando, scese tra le natiche e si arresto' nel
profondo del solco colpendo in pieno l'ano, gemetti cercando di non urlare,
ed arrivo' l'ottavo colpo, sulla natica sinistra e poi immediatamente il
nono sulla natica destra. Poi arrivo' l'ultimo colpo, il decimo,
fortissimo, ancora nel solco tra le natiche, sull'ano. Le mie terga
continuarono a lungo a contrarsi spasmodiche offrendosi impudiche alla
vista del padrone e degli schiavi. Poi lo schiavo mi apri' le natiche e
mostro' ancora al padrone la mia carne aperta, sicche' perche' potesse
apprezzare il risultato di cio' che aveva comandato. Il membro dello
schiavo, eretto struscio' bruciante conto la mia carne. Allora Il padrone
indico' il mio sesso.

8
Mi sdraiarono ora supina su una panca, mi incatenarono le mani al collare
ed immobilizzarono i miei fianchi stringendoli alla panca con una cintura
di cuoio. Fissarono le mie caviglie a due corde che pendevano da due
carrucole sospese alla volta, tirarono con forza il capo libero delle corde
e le mie gambe si alzarono e si aprirono, esponendo il mio sesso aperto
alla luce delle torce. Gli schiavi rilucevano, sudati ed eccitati, con il
pene eretto, e mi spiavano famelici. Il padrone getto' a terra cinque
petali. Lo schiavo anziano afferro' nuovamente la verga, si avvicino',
separo' le labbra del mio sesso, si allontano', prese la misura e la canna
colpi' sibilando e schioccando per l'undicesima volta. Colpi' sul ventre,
di traverso, sotto l'ombelico. Soffocai l'urlo ed inarcai le reni per il
dolore. Rapido lo schiavo colpi' di nuovo verticalmente centrando il mio
sesso, colpendolo tra le labbra per tutta la sua lunghezza. Urlai forte. Il
tredicesimo colpo strazio' l'interno della coscia sinistra vicino al sesso,
la' dove la carne e' piu' sensibile; poi lo schiavo colpi' la coscia
destra, attese alcuni istanti  per accrescere nell'attesa la mia angoscia,
e colpi' ancora, forte, due volte il mio sesso. Fu come se la canna aprisse
il mio corpo, spalancando le labbra del mio il ventre, ed io urlai con un
lamento animale che saliva dai miei genitali dilaniati. Lo schiavo poso' la
canna, mi si avvicino' e distese le labbra del mio sesso mostrandolo al
padrone, aperto e rosso come un frutto sgusciato, poi attese. Il padrone
premette la rosa contro le sue dita e la schiaccio' aprendola in una
fioritura innaturale e perversa. Allora lo schiavo punto' gli indici delle
sue mani rapaci contro il mio sesso, penetro' nella mia carne e lo apri'
lacerando la mia verginita'. Urlai piangendo disperata, non per il dolore
che giunse previsto, ma per la vergogna e l'ingiustizia di quella violenza.
Ma il padrone lascio' cadere la povera rosa a terra e subito gli schiavi mi
furono addosso.

9
Ero esposta e legata, con le cosce divaricate e levate, il mio sesso e le
mie terga erano aperte per loro. Lo schiavo piu' anziano raccolse con le
dita del grasso, usato forse per lubrificare le catene, lo sparse tra le
mie natiche e mi apri l'ano con le dita lordandomi ed esplorandomi le
viscere. Poi fece un gesto lascivo e l'altro schiavo, un giovane possente
ed al colmo dell'eccitazione, mi salto' addosso, strinse le mani attorno ai
miei fianchi serrandoli come una morsa, e mi monto' sodomizzandomi,
spingendo il suo sesso mostruoso dentro le mie terga. Colpiva implacabile
colmando le mie viscere con la sua carne infiammata. Mi sentii lacerare
dolorosamente e violare in ogni piu' intimo recesso: poi lentamente cedetti
sotto i colpi possenti e la mia carne si apri', mio malgrado. L'eccitazione
dello schiavo cresceva ed il suo ritmo divenne frenetico. Le catene
tintinnavano nel silenzio della stanza, scandendo il ritmo incalzante dei
colpi che si abbattevano sul mie terga, forgiandole come il maglio
sull'incudine. Lo schiavo sudava copiosamente, il sudore scorreva
raccogliendosi bruciante sul mio ventre e colava tra le mie cosce. Poi vidi
lo schiavo girare gli occhi e urlare, mi sentii inondare del suo seme
caldo, mentre lui si abbandono' tra le mie gambe aperte. Ma subito lo
schiavo piu' anziano lo allontano' e la sua carne ancora turgida usci dal
mio corpo lasciandomi vuota e dischiusa.

10
Lo schiavo piu' anziano mi slego' indugiando con le sue mani lussuriose sul
mio corpo indifeso, mostrandomi il suo sesso eretto, scuro, con il glande
violaceo e dilatato. Mi mise carponi sul pavimento e mi monto' come un
capro, stringendomi i fianchi, aprendo senza fatica l'ano tra le mie terga
violate. Mi penetrava con un'intensita' animale, i suoi lombi si
contraevano come in un ritmo di danza lasciva e sentivo il suo glande
strusciare dentro di me, sulle pareti umide del mio corpo scavato. Con
orrore m'accorsi che i miei fianchi si muovevano al ritmo della danza
oscena e accettavano condiscendenti i suoi colpi lascivi. Poi lo schiavo si
chino' su di me, sentii l'odore acre del suo corpo ed il suo fiato intenso
sulla pelle. Estrasse la lingua e mi lecco' il collo e le orecchie, poi mi
morse sul collo, proprio la dove salivano come onde impetuose le vibrazioni
dei miei fianchi.. E lo schiavo emise una specie di gemito animale forte ed
irresistibile, ed io risposi. Vinta! Non potei tacere, un gemito belato di
capretta montata usci' dalla mia bocca dischiusa. Poi lo schiavo poggio' la
sua mano sul mio sesso e li' indugio' esplorandolo sapientemente, ed un
piacere selvaggio e sconosciuto sali' dai miei fianchi bagnanti, e mi
costrinse a gemere forte, bramosa, con la bocca aperta,  rispondendo ed
anelando al lungo gemito dello schiavo che stava inondando il mio corpo, ed
a godere assieme al lui, di fronte a Lui.

11
Caddi a terra, montata come una qualsiasi capretta del mio villaggio.
Rimasi bocconi, umiliata e vinta, nelle mani del mio padrone. Ma non era
finita. Ora lo schiavo stava urinando davanti a me, dal suo sesso ancora
dilatato usciva un fiotto d'urina che si spargeva sulle pietre del
pavimento. Poi lo schiavo mi ordino' di strisciare, a terra, dal mio
padrone. Ed io ubbidii; strisciai sulle pietre del pavimento, nella polvere
intrisa del mio sangue, del sudore e dello sperma degli schiavi che mi
avevano sodomizzata, strisciai sulla pozza d'urina ancora calda, fino ai
piedi del mio padrone. Poi lo schiavo mi ordino' di inginocchiarmi, mi
ordino' di accogliere tra le mani i testicoli del padrone e baciarli. Mi
ordino' di aprire la bocca baciare il sesso del mio padrone, di estrarre
completamente la lingua e poggiavi sopra il glande. Poi si avvicino' e
masturbo' il padrone. Lui era eccitato e presto sentii i testicoli pulsare
tra le mie mani e lo sperma schizzo' amaro tra le mie labbra. Lo schiavo mi
ordino' di inghiottirlo, alcune gocce colarono dalla mia bocca e si
fermarono sui miei seni, alcune caddero a terra. Lo schiavo mi ordino' di
leccarle. Cosi feci. Rimasi poi senza muovermi, priva di volonta' con il
volto appoggiato alle pietre del pavimento, finche' il padrone raccolse la
catena che pendeva dal mio collo e tiro' costringendomi a seguirlo.

12
Gli schiavi erano spariti. Mi porto' fuori dalla cella e risalimmo da
quegli atri freddi e scuri, gradino dopo gradino, verso le stanze ampie ed
inondate di luce. Passai cosi' ancora, incatenata, nuda ed esposta alla
vista dei servitori, con le tracce evidenti della mia umiliazione. Il mio
corpo imbrattato di fango. I miei seni oscenamente gonfi e protesi,
cosparsi del seme del mio padrone. E lo sperma degli schiavi che ancora
colava dalle mie terga violate, e il mio sesso aperto e ostentato, con la
mia verginita' lacerata e le sue lacrime di sangue che scendevano lungo le
cosce. Le mie labbra tumide che ancora ricordavano i gemiti lascivi, ed il
sapore del mio padrone. Fu li' che, di nuovo, sentii il peso insopportabile
della mia umiliazione.

13
Mi porto' in una sala dall'aspetto incantevole, il cui fascino, nonostante
il mio triste stato, mi colpi'. S'era al tramonto e le ampie finestre
aperte recavano il profumo dolce dei fiori del giardino e l'odore salato,
per me ancora nuovo, del mare. La luce scemava e la sera addolciva l'aria
sfumando la triste realta' di quel giorno sventurato. Vidi, sparsi su un
giaciglio ai piedi del grande letto, quindici petali ed una rosa sbocciata,
e capii che era destinato a accogliere il mio corpo straziato. Il padrone
mi tolse la catena. Non lo guardai. Non avevo piu' sollevato lo sguardo su
di lui, ora giurai che non l'avrei mai piu' guardato negli occhi. Caddi
bocconi sul giaciglio, stremata, piangendo in silenzio, nascostamente,
coperta dai miei stessi lunghi capelli castani, unico riparo per il mio
corpo esposto. Poi mi parve che il padrone mi osservasse. Fui colta dal
panico, ed il mio cuore palpito' impazzito quando mi sembro' di intuire un
movimento della sua mano, come se volesse afferrare e straziare i miei
capelli. Ma non lo fece; si corico' invece, mentre calava l'oblio della
notte, e fu silenzio e quiete. "Domani!" pensai, "Domani certo li
straziera'!".

14
Non ricordo che il sonno abbia ristorato la mia tristezza. Rimasi immobile,
annientata, mentre la notte avanzava verso un'altra giornata di schiavitu'.
Ed ecco, nel profondo del mio essere vinto, dalla mia carne domata,
l'umiliazione si mutava in rabbia che saliva feroce. Cresceva lenta ed
inarrestabile come l'erba nei campi, e gonfiava il mio cuore d'odio. Fu
cosi' che trovai la forza, infine, di aprire gli occhi. Vidi la stanza
illuminata dalla luce della luna, bianca ed irreale, piatta e senz'ombre,
senza speranza; ma subito un lampo scintillo' a fianco del letto su cui
giaceva profondamente addormentato il mio padrone, era la lama luccicante
del suo pugnale, sguainato, pronto per la mano del suo signore, minaccioso
e veloce a trafiggere ogni tradimento.

15
"Ecco!" Pensai, "Il mio destino e' compiuto". Ed allora domai la furia del
mio corpo assetato di vendetta, e con la pazienza astuta della serpe, e
strisciai silenziosa e mortale verso il pugnale. La sua lama avrebbe reso
la mia fragile mano di fanciulla piu' forte del petto possente del nostro
padrone. Strisciai lenta sui tappeti di lana morbida, lenta e feroce verso
il suo pugnale, strisciai per minuti lunghi come secoli... E toccai alfine
la lama fredda e scintillante. Felice! Strinsi il manico intarsiato
d'argento e sollevai il pugnale. Il padrone giaceva supino, perso nei suoi
sogni crudeli, i capelli corvini sparsi sul cuscino, il suo corpo di
maschio nudo ed abbandonato, il petto elegante. A lungo studiai quel petto
bianco sotto la luce lunare, cercando tra le costole il palpitare del
cuore; li' avrei aperto una ferita di donna, come quella che lui aveva
aperto tra le mie gambe, una ferita per lui, fragile maschio, mortale.
Avvicinai la lama nel punto preciso dove avrei fermato quel odiato
palpitare. Strinsi il pugnale con ambedue le mani, per non tremare, per
penetrare in lui con tutte le mie forze.

16
In quel preciso istante lui apri' gli occhi. Quegli occhi. Mi sentii persa,
misurai il suo corpo agile e forte, avrebbe reagito, avrebbe fermato la
lama, sarei stata sopraffatta. Ma forse no! Pochi centimetri separavano la
lama dal suo petto. Forse potevo! Spinsi il pugnale nella carne, lui rimase
immobile, non scatto' come una bestia sorpresa per difendersi, solo-- Vidi
la sua mano, sulla quale i miei capelli ora ricadevano, accarezzarli appena
appena, lievemente. Non reagiva, mi guardava con quegli occhi persi dentro
i miei. La lama era penetrata appena nella carne, la mia mano si arresto'
ed il pugnale cadde a terra ed io mi abbandonai sul suo petto baciando la
ferita dalle cui labbra ora colava un rivolo di sangue, e mentre lui
cingendomi i fianchi penetrava  nel mio sesso aperto e donato e arava la
mia languida, debole, invincibile valle con il suo magico, rigido, fragile
vomere, sussurrai prima di perdermi per sempre: " Perdonami, mio signore,
non sapevo! Amare!"

ocirne

"conoscere e' capire
capire chi sei
se non sai chi sei
a che serve conoscere"

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By Ocirne