Inferno  Di Elsenior

 

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I

Mi viene la nausea. Cercavo l'amore. Forse lo cerco ancora.

"E lo cerchi proprio qui?".

Interruppe i miei pensieri. Il suo sguardo sicuro e presuntuoso. Le sue
sopracciglia che si inarcavano con una sorta di disprezzo. Ma ben celato.
Cortese. Quasi nobile.
Ma perché cazzo stavo parlando con lei? Lo sapevo. Perché era l'unica che mi
potesse aiutare.

"Scusa sai - aveva deciso di andare avanti, forse di aiutarmi - se cerchi
Maria credo di essere la persona giusta. Io. Ma tu... mi sa di no. Se vieni
qui e mi dici una stronzata tipo che 'cerchi l'amore' non ci siamo. Ma non
lo sapevi cosa faceva?"

No, non lo sapevo. La ragazza con cui parlavo indossava una camicetta di
seta bianca. Aderente. Non aveva reggiseno. Credo fosse anche bella, sotto
quel trucco da puttana. Aveva una minigonna. Corta. Almeno dieci centimetri
sopra il ginocchio. Mentre mi conduceva tra la gente, qualcuno dei presenti,
la maggior parte uomini, la guardava con evidente desiderio. Qualcuno, che
evidentemente l'aveva già conosciuta, le toccava distrattamente i seni o le
infilava furtivamente una mano sotto la gonna. Lei sorrideva, si
divincolava. Poi si fermò. Mi fece cenno di avvicinarmi. La musica lì era
più alta. Fece per parlarmi e accostai l'orecchio alle sue labbra.

"Gli uomini sono tutti dei maiali", si interruppe per un attimo, mi guardò e
sorrise. Probabilmente si aspettava complicità. Non ne trovò, rimasi serio.
Impassibile. Sapevo che si chiamava Erika. Con la cappa. No, meglio, sapevo
che si faceva chiamare così. Io cercavo Maria. Di cosa pensava lei degli
uomini non mi fregava nulla. Tornò seria, leggermente accigliata.

"Non so nemmeno perché ti ho dato retta - disse - comunque, la vedi quella
porta con scritto "privato"?" Annuii.
"Ecco, per passare da lì bisogna avere l'ok di quel tipo laggiù", indicò un
uomo tarchiato e brutto come la fame a due metri circa dalla porta. Che
scrutava il mondo come se avesse un visore da computer al posto degli occhi.
Il locale era semi-buio. I suoi occhi, li notai, erano a fessura, come i
miei, per poter avere la visione più nitida di quello che accadeva.

"Ora andrò da lui, e gli dirò che puoi passare. Maria, di solito, si trova
in una delle ultime stanze. Se ti perdi, la chiamano "il recinto". Ma
ascoltami, 'occhi belli', pensaci bene. Io non credo tu sappia cosa fa qui
Maria. Ma... sì insomma non è una cliente. Lei... è una professionista. Sì,
lo fa per lavoro e... fossi in te non entrerei, ecco".

La guardai per un attimo. Sì, avrebbe potuto essere bella, se solo l'avesse
voluto. Ma aveva scelto di degradarsi. Probabilmente era di quelle persone
che faceva questo mestiere del cazzo convinta, in fondo, di non meritare
altro. Magari suo padre aveva passato la vita a dirle che era un'inetta. E
magari sarebbe stata una pittrice fantastica. O una splendida madre di
famiglia. Quello che sognavo diventasse Maria.
Invece, scoprii che stavo già usando l'imperfetto quando parlavo di lei. I
pensieri rivelano molto dei nostri sentimenti.
Forse era già tutto finito allora, prima che varcassi quella porta. Forse
aveva ragione Erika, e non dovevo entrare. Lasciare che il nome Maria, che
scrivevo distrattamente su ogni foglio che mi capitava tra le mani, non
prendesse le forme della ragazza che stavo per incontrare.

Come si fa in questi casi? Si dice 'ho sbagliato'? 'Non ho resistito'? Forse
la parte di perversione che anche io, ragazzo per bene, possiedo, si
manifestò proprio in quell'impulso di andare oltre quella porta. Immaginavo
che avrei visto cose che non mi avrebbero fatto piacere. Maria. La mia
Maria. Con altri uomini. Almeno lo credevo.
Ma, in fondo, non sapevo. Eppure ricordo che non riuscii a vincere la
curiosità. Il desiderio, rabbioso e morboso, di andare a vedere.
Erika mi guardava ancora. In attesa. Probabilmente leggeva il mio conflitto.
La mia indecisione, che ormai stava abbracciando il mio dolore, stretti in
una morsa indivisibile.

"Vai a dirgli che sto per entrare" e indicai il tarchiato.

Lei mi guardò con occhi da 'ma perché non mi hai ascoltato?'. E io la dissi:
"capiresti se sentissi il mio amore...". La cosa più stupida che mi venisse
in mente.
Il paladino dei sentimenti, lo sapevo, stava per essere spazzato via dalla
realtà.

Per la prima volta non decifrai i suoi pensieri. Erika si allontanò lenta.
Passò, prima, dal bancone del bar per dire qualcosa che non capii. Poi si
diresse dal tarchiato. Quello non fece una mossa, solo annuì
impercettibilmente con la testa. Lei tornò. Mi diede un bacio leggero sulla
guancia e mi disse, piano "Qui da noi, gli eroi, li trasformiamo in fango e
sangue. E' tutto uno schifo. Io, tra un po', andrò a prenderlo in ogni posto
con quei due tipi laggiù, lo so già (indicava due ragazzi ben vestiti che
sorridevano seduti ai tavolini nell'ala più illuminata del locale)"

"Da quanto lavori qui?", chiesi.

"Sono quasi sei mesi".

"E Maria?"

"Non lo so. Era qui da prima di me. E stando a quello che ho sentito, sembra
essere nata qui"

"Com'era? Con te. Con gli altri. Come?"

"Senti. Non fare troppe domande, fidati. Era sicuramente diversa da come era
con te. E so già che nessuna delle mie risposte ti piacerebbe".
Rimase in sospeso, come volesse dirmi dell'altro, poi il suo volto si
indurì.
"Sto perdendo tempo - mi disse - se proprio ci tieni, la tua Maria è lì
dentro. Se invece ti torna la ragione, vattene. E in fretta".

Distolsi lo sguardo. Ma che cazzo ne sapeva lei di me? Mi diressi verso la
porta.
Non mi disse frasi tipo "fai attenzione" o "lì dentro c'è gente disposta a
tutto". Tanto lo sapevo da me. Era l'inferno. E quell'inferno aveva una
porta. E la mia mano era sulla maniglia.
Mi investì un odore fortissimo. Era sudore. Ma non solo. Alcol, in parte.
Fumo. Mi trovavo in un corridoio stretto, come quelli dei camerini a teatro.
L'ambiente pullulava di persone, che parlavano ad alta voce. In tutto lo
spazio veniva diffusa una musica allucinante, sembravano ghost track di
album heavy metal. E poi la luce. La luce. Da alcune lampade sul soffitto si
irradiava una luce irreale. Color seppia. Era come guardare il mondo
attraverso foto vecchie e ingiallite. Sembrava di sognare. Solo che era un
incubo.

Il mio sguardo doveva tradire il mio stupore, perché le persone stipate nel
corridoio presero a guardarmi in maniera strana. O forse ero io che pensavo
che tutti i presenti fossero concentrati su di me. Un tizio con un grosso
sigaro in bocca e i denti gialli mi squadrò a lungo, poi mi precedette di un
metro per andare a infilarsi in un'apertura sulla destra. Decisi di
seguirlo. L'apertura dava su un altro corridoio. Stessa musica. Stessa luce.
Alle pareti erano appese locandine di vecchi film, con la Bardot o la Loren.
Il tutto dava a quegli ambienti un'aria ancora più vecchia e squallida. Nel
nuovo corridoio, un po' più ampio, ma anche più affollato, un uomo e una
donna di più di 50 anni stavano torturando una ragazzina con le mani
ammanettate dietro la schiena.

Mentre li sorpassavo udii l'uomo dirle a bassa voce "Lo sai cosa ti aspetta
vero? Lo sai dove ti porteremo, vero?"
La ragazzina non doveva avere più di 15 anni. Indossava solo delle
autoreggenti nere e delle scarpe nere con un tacco non troppo alto, ma
appuntito. Aveva un buon profumo. Per i resto era nuda. Con due tette
piccole, capezzoli dall'aura chiara e minuscola, e il pube completamente
rasato. Mugolava. Mentre la donna le leccava il collo. Passai lentamente
accanto al terzetto. Sulla destra si apriva una stanza. All'ingresso c'erano
quattro uomini che si spingevano per guardare. Ridevano e facevo commenti
osceni. Non cercai di guardare dentro. L'uomo col sigaro, intanto, procedeva
spedito. Rimasi indeciso. Poi tornai sui miei passi e provai a sporgermi per
vedere dentro la stanza che avevo appena superato. Titubante, sulle prime
non riuscii nemmeno ad avvicinarmi all'apertura. Mi innervosii. Spinsi più
forte. Uno dei tizi commentò "Ehi! Questo qui si dev'essere arrapato di
brutto! Cos'è, quella lì è tua sorella?" E scoppiò in una risata stupida e
ubriaca seguito da un compagno lì vicino. Non dissi niente. Mi tenni saldo.
E quando uno dei quattro si stancò, riuscii a mettermi in buona posizione.

C'era una specie di letto. Come fosse un puff enorme. Una ragazza era tenuta
accucciata sulle le ginocchia, con le mani distese in avanti e legate al
muro e i glutei che appoggiavano sui talloni. Un uomo con un vestito nero,
una specie di tuta intera, le stava mostrando un oggetto simile a una
piccola clava, lungo più di mezzo metro. "Ehi fai vedere al nuovo arrivato
cosa sa fare questa troia!", disse l'uomo che prima mi aveva spinto a quello
vestito di nero. Sentii una serie di grida soddisfatte venire dalla parte
destra della stanza. E così mi accorsi che c'erano due file di panche e una
piccola folla di persone, uomini e donne, che stavano assistendo allo
spettacolo. Erano seminudi. Alcuni stavano facendo l'amore. Altre stavano
prendendo in bocca il membro degli uomini. La ragazza sembrava stesse
piangendo. Emetteva un lamento costante e fastidioso. O almeno, io lo
trovavo odioso.

"Guarda ragazzo - mi disse l'uomo nero indicando la clava - questo lo
abbiamo appena preso. Ora lo dobbiamo provare..." e posò la testa del
randello vicino all'ano della ragazza, che non potevo guardare dalla
posizione in cui ero. Lo spinse piano piano. Pensavo che non fosse possibile
che entrasse. E invece, a poco a poco, quella enorme testa di clava
scomparve, per almeno 5 centimetri nello sfintere della giovane, che ora
aveva aumentato l'intensità del suo lamento.

Mi sembrava di avere preso della droga. Ma che cazzo le stavano facendo? Ma
erano matti? Dovevo denunciarli, tutti! Cosa potevo fare? Calcolai le forze
in campo. Non c'era storia. Se avessi provato a liberare la ragazza mi
avrebbero sopraffatto in pochi secondi. E probabilmente non sarebbe finita
lì. Volevo andarmene. Ma non riuscivo a liberarmi di quell'immagine. D'un
tratto un uomo nudo, col pene floscio portò per mano una donna bionda sui
cinquant'anni, piena di rughe, anche lei nuda, vicino al puff della ragazza
incatenata.

"Il tuo padrone ha trovato un'altra amica - disse l'uomo nero alla ragazza -
ora ti lascio in loro compagnia".
Passò la verga, ora infilata per circa una decina di cm nel fondoschiena
della ragazza, al nuovo uomo. Che iniziò a manovrarla lateralmente
strappando nuovi gemiti alla torturata, diversi dai precedenti. "Vedi mia
diletta - prese a dire - ho trovato un'altra adepta. Le ho raccontato di te,
ma lei non crede che tu sia come ti ho descritta. E così abbiamo fatto una
scommessa. So che non mi deluderai".

Fece un ghigno alla bionda e le indicò il puff. La donna rugosa si infilò un
po' a fatica sotto la testa della ragazza incatenata con la vagina
all'altezza del suo volto e le gambe spalancate. "Apri la bocca!" Urlò
l'uomo dietro di lei "Ora!".
La ragazza eseguì. "E ora bevi, puttana!". E la bionda, dopo qualche
istante, si mise a urinare. Un getto pallido uscì dalle sue labbra,
accompagnato da un gemito di piacere.
La ragazza voltò la testa ora a destra ora a sinistra. Il liquido le
impregnò così i capelli e le guance. Ora nella stanza c'era puzza di urina.
Si era rifiutata di bere.

"Sei una lurida troia!" Urlò quello che avevano presentato come il suo
padrone. "Mi hai fatto perdere la scommessa, io ti uccido, ti uccido". E lo
fece. O almeno ci provò. Impugnò la clava per bene, saltò, e ricadde con il
peso della pancia sull'impugnatura facendo sprofondare l'attrezzo nelle
viscere della ragazza, che urlò. Così forte che ebbi il vomito. La verga ora
fuoriusciva per non più di 10 centimetri. Dal sedere della ragazza uscivano
fiotti di sangue. Lei era svenuta.
Non ce la facevo. Ebbi un mancamento. Mi addossai così ad uomo che era
dietro di me, di cui non  mi ero minimamente accorto. "Ma che cazzo fa
questo stronzo!", strepitò quello. Poi fu buio.

...Continua

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By Elsenior