Il chitarrista         di Moemi

 

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"Signore, è stata una svista/
abbi un occhio di riguardo
per il tuo chitarrista..."

Pausa. Non guardo subito verso il pubblico.
So che hanno riconosciuto il pezzo, che aspettano la seconda battuta.

"Signore, se lanci uno strale/
sbaglia mira per favore,
non farmi del male... "

Parte un applauso. Dissimulo il sorriso di soddisfazione con un piccolo
broncio e aspetto l'attacco per inginocchiarmi sul palco e cantare:

"Te lo giuro in ginocchio qui in mezzo alla pista/
te lo giuro sulla Fender, io non l'ho fatto apposta!"

Poi partono i ricordi, e con la voce cerco di trasferire al mio pubblico l'
erotismo di quella notte...

La rossa aveva il fuoco negli occhi. Sulle spalle, una colata di lava: i
suoi capelli promettevano di essere caldi e morbidi quanto il suo corpo.
Era tutta la sera che mi fissava come se volesse mangiarmi vivo, si era
posizionata proprio sotto il palco con quella sua scollatura assassina. Era
stato maledettamente difficile cantare senza deglutire ogni cinque secondi:
lo sguardo continuava a precipitare tra i sui seni.
Sceso dal palco, mi ero posizionato dall'altro lato della sala e ricambiavo
i suoi sguardi pieni di promesse.
In quella sala faceva un caldo infernale. I jeans mi si erano incollati alle
gambe e avrei voluto togliere le scarpe da tennis e lanciarle dall'altro
lato della stanza.
Avevo bisogno di una doccia e lo sapevo, ma dopo il concerto mi ero
trattenuto nel locale, aspettando che facesse lei la prima mossa. Avevo
bagnato i capelli con un po' d'acqua, e i riccioli scuri inumidivano il
colletto della camicia, rossa come la montatura dei miei occhiali.
"Dai vieni" incitavo la donna col pensiero. "Vieni, tesoro... sono stanco
morto, ma ho ancora la forza per un po' di su e giù nella tua passerina
rossa..."
Ma lei non ne voleva sapere. Ridacchiando mi faceva segno con il dito:
"Vieni tu da me".
Il gioco andava avanti da un po' quando...

"Non so com'è ma è accaduto/
lui è entrato nel bar con lei e si è seduto/
io ero lì,  affascinato...
la sua carica sessuale si spandeva nel locale/
ed io... di desiderio stavo male."

La coppia aveva attraversato il locale tra gli sguardi ammirati dei
presenti, andando ad accomodarsi ad un tavolino poco distante dal mio.
Con un gesto sicuro, l'uomo chiamò il cameriere ed ordinò da bere.
Avevo abbandonato il gioco di sguardi con la rossa ed ora fissavo con
desiderio la donna seduta al suo fianco. Nonostante l'abito e il trucco da
adulta, doveva essere maledettamente giovane. Anche il suo modo di guardarsi
in giro con curiosità la diceva lunga sull'età che doveva realmente avere.
La sua pelle risplendeva sotto le luci dei faretti, mentre si spostava i
lunghi capelli biondi sulla schiena, scoprendo la generosa porzione di seno
che l'abitino di lamé azzurro spingeva in fuori.
Tonde, perfette. Ricordo che annuii, convenendo con me stesso che si
trattava di "Signore Tette".
Gli mancava solo la parola.
Le cosce, lunghe e velate da calze di seta, non erano da meno.
Solo a guardarla, l'erezione che mi premeva nelle mutande sembrava voler
scoppiare.
L'uomo, in completo nero giacca e pantaloni di buona fattura e la camicia
aperta sul petto, sapeva bene che tutti gli uomini della sala avrebbero
voluto essere al suo posto e si pavoneggiava, scoprendo in un sorriso
arrogante i denti troppo bianchi.
Ne avevo visti tanti come lui. Sapevo che sotto la sua scorza arrogante si
nascondeva un insicuro, e che moriva dalla voglia di invitare qualcuno al
suo tavolo, per avere sotto gli occhi la prova tangibile del suo prestigio.
Era un Signor Nessuno, come gli altri che erano venuti nel locale prima di
lui.
Lei sì, invece, che era Qualcuno. E si era accorta che la stavo spogliando
con lo sguardo.
Scesi lentamente con la mano, carezzandomi il corpo fino al gonfiore del
pacco, portando con me i suoi occhi trasparenti. Distolse subito lo sguardo,
ma ebbi la soddisfazione di vederla arrossire come una scolaretta. L'avrebbe
voluto anche lei. Oh, come avrebbe voluto.
Mi chinai ad aprire la custodia della Fender, che avevo poggiato ai miei
piedi. Tirai su la chitarra e finsi di accordarla, abbozzando pochi semplici
accordi.
Bastò. L'uomo non aspettava altro che un pretesto per attaccare bottone.
«Bello strumento.» Affermò.
Gli rivolsi un sorrisetto di circostanza e tornai alla mia occupazione, in
attesa che abboccasse più solidamente all'amo che gli avevo lanciato.
Intanto accarezzavo la spalla superiore della mia chitarra, con movimenti
pigri e sensuali, e senza alzare gli occhi seppi di averle dato un brivido.
«E' un vero peccato che siamo arrivato così tardi. So che c'era un concerto,
qui. Lei è uno dei musicisti?»
«Sì... è stata una bella serata. La prossima volta dovreste esserci.» gli
risposi.
«Perché non viene a sedersi qui con noi? Le offro qualcosa».
«Perché no... » mi alzai lentamente, per non dare a vedere che non aspettavo
altro e spostai la mia roba accanto al loro tavolo.
«Gianmaria Laerte.»
Senza appoggiare la chitarra, strinsi la mano liscia e curata che l'uomo mi
stava porgendo.
«Ivan.»
«Piacere di conoscerti, Ivan. Lei è Celine, è americana. Non parla bene la
nostra lingua ma è in grado di seguire le conversazioni in italiano. His
name is Ivan...» le disse, contraddicendo la sua ultima affermazione.
«Nice to meet, you, Ivan. Piacere.»Arrotondò la "r" di "piacere",
sottolineando senza volerlo il suo significato nascosto.
"Oh, sì." Avrei voluto risponderle. "Piacere è esattamente quello che vorrei
darti, bambina."
Nel sedermi rovesciai sbadatamente la custodia della Fender e il mazzo di
carte da poker che mi porto sempre dietro, cadde sul pavimento.
Lo raccolsi, lanciando un'occhiata complice a Gianmaria.
«Per le lunghe serate di noia, tra un concerto e l'altro.»
Gianmaria ricambiò il mio sguardo, sorridendo eccitato. Quelli come lui li
riconosco al volo. Hanno negli occhi il demone del gioco.
«Ti va una partitina?» proposi subito, sapendo che non si sarebbe tirato
indietro.
Gianmaria si rivolse imbarazzato verso Celine, per chiederle se le seccava
che giocasse.
La ragazza scosse la testa, non c'erano problemi per lei.

Durante il gioco, alzavo spesso gli occhi dalle carte per osservarla. Le
frugavo il corpo con lo sguardo, infilandomi in tutte le pieghe ombrose
della sua carne.
Non che ce ne fossero molte... era liscia come il body della mia Fender.
Nonostante il suo broncio infastidito, notai che il seno spingeva contro il
corpetto dell'abito, rivelando i piccoli promontori dei capezzoli induriti.
Dopo un po' cominciò anche lei a lanciare brevi occhiate perlustratrici,
soffermandosi sulla peluria scura delle mie braccia, e tornando a più
riprese sul pacco che cresceva a vista d'occhio.
Dalla sua posizione poteva vederlo bene, ed io non avevo nessuna intenzione
di spostarmi.
Nonostante le continue distrazioni, vinsi più di una partita, svuotando le
capaci tasche firmate di Gianmaria. Tuttavia il mio rivale insisteva a
puntare altro denaro, accanendosi sul gioco.

"Avevo un full e lui due coppie/
«Cosa rilanci se non hai/
più niente tranne lei?»/
«Se perdo... tu l'avrai!»"

Celine sgranò gli occhini azzurri. Questo l'aveva capito bene, sapeva di chi
stavamo parlando.
Poggiandogli una mano sulla spalla, tentò di dissuadere il suo compagno dall
'offrirla come posta in gioco, ma Gianmaria non le diede ascolto. Era troppo
tardi, la febbre del gioco l'aveva rapito.
Non avrei lasciato comunque che si tirasse indietro. Era lei che volevo.
Servii le carte e aspettai che Gianmaria guardasse le sue, prima di
raccogliere le mie dal tavolo.
Una gocciolina di sudore gli scivolò sulla fronte. Riconobbi la sua
sconfitta: ce l'aveva scritta in faccia.
Celine si mordeva il labbro inferiore, stringendosi le braccia al petto.
Guardai le mie carte e sorrisi a Gianmaria.

Pochi minuti dopo mi alzai e dopo aver raccolto soldi e carte dal tavolo,
presi la mia chitarra e invitai Celine a seguirmi.
Celine supplicava Gianmaria con lo sguardo, ma lui le urlò rabbiosamente:
«Vai!»
Le presi la mano e me la tirai dietro, rendendo le cose più facili.
Mentre uscivo nel parcheggio, vidi la rossa abbarbicata ad un tizio robusto
e con gli occhiali.
Gli leccava il collo, lasciandosi infilare le mani sotto la gonna.
Le feci un cenno di saluto. Avevamo trovato entrambi una preda, per quella
notte.
Non rimpiangevo la possibilità di avere un'avventura con lei, sarebbe stato
per la prossima volta.

Pagai la stanza d'albergo con i soldi vinti a Gianmaria.
Celine era tesa come una corda della mia chitarra.
Quando restammo soli in ascensore le passai un dito sul petto, disegnando
onde e spirali sulla sua pelle. Cercò di fermarmi coprendosi il seno con la
mano, ma gliela spostai, portandola sui miei jeans. Sussultò nell'avvertire
il turgore che si era fatto sempre più imponente.
Entrando in camera non accesi la luce. La girai di faccia contro il muro e
mi inginocchiai dietro di lei, per leccarle le cosce ancora velate dalle
calze.

...Te lo giuro in ginocchio qui in mezzo alla pista...

Risalii il suo corpo seguendo un ritmo tutto mio. Sentivo che stava nascendo
una canzone.
Celine restava ferma e tremante contro la carta da parati, la spinsi verso
il letto e mi buttai sopra di lei, senza aspettare.
Frugai e baciai tutto il suo corpo, fino a che si decise a rispondere ai
miei baci.
Quasi la soffocai con la lingua, riempiendole la bocca giovane della mia
saliva.
Aveva un modo di muoversi, Celine... un innato talento nel farmi perdere la
ragione.
Le calze si lacerarono quasi subito, l'abito azzurro un po' kitch finì sul
pavimento.
I suoi slip... quelli non so dove finirono.
Mi liberai finalmente delle scarpe da tennis e dei jeans, che si staccarono
come una buccia dalla mia pelle sudata. Senza mettere al riparo gli
occhiali, né togliermi la camicia, le aprii le cosce e la penetrai
selvaggiamente. Celine urlò e inarcò il collo da cigno.
Era così bella, sensuale, che faceva venir voglia di farle male, di farla
bruciare nell'amplesso.
Mi portai le sue gambe sulle spalle e presi a penetrarla con più lena,
cercando di affondarle sempre più nel ventre.
I seni tondi sobbalzavano a ritmo con le mie spinte.
«Oh, please! Oh....oh, Jesus...» sussurrava tra i gemiti.
Quando gridò per l'orgasmo, uscii dalla sua fica e le salii sopra, per
spruzzarle il mio seme sul petto. Celine mi fissava con lo sguardo
appannato, ansimando.
Avevo il respiro affannato anch'io. Le passai le dita sulla pelle bagnata,
raccogliendo il mio sperma, poi le portai le dita umide alle labbra e
aspettai.
Celine aprì le labbra e mi succhiò le dita. Ne voleva ancora.

Testai la mia resistenza e la sua in modi che adesso sarebbe troppo lungo da
raccontare.
Questa canzone sta per finire, vi basti sapere che...

"...le sue corde hanno vibrato/
in una notte io quel sogno l'ho bruciato/
mentre dormiva son scappato/
con le gambe intorpidite/
le scarpe ancora slacciate...
e ... con il mio mazzo di carte truccate."

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