Via col venti di Shaddy

 

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Era da tempo che lo avevo inquadrato.
Non fumava, ma nervosamente masticava un chewingum, immagino ormai
grigio ed insapore... sembrava paziente ma si intuiva fremente.
Budiniscamente attendeva, insaccato contro un un pilastro, alla
fermata di inizio di via Cantore, il bus numero 20 (Sampierdarena -
Foce), quello che raccoglie tutte le periferie occidentali della città
e le portava in centro, in zona di shopping e di struscio. Aspettava.
Aspettava la torma. Di bus ne faceva passare più di uno, magari
quattro o cinque, mentre attendeva quello più affollato possibile.
Era un passa-cinquantenne pingue, dall'aspetto dismesso, con un volto
inespressivo, l'occhio bovino, azzurologno ma acquoso, i capelli
nerobrizzolati unti ed impastati, il naso basso ma largo che perdeva
le narici in mezzo a gote paffute e flaccide.  Vestiva generalmente in
un cotonaccio blù anonimo e dozzinale, con un sentore di trasandatezza
e sporcizia, ma morbido e ampio.
Questi, che poteva sembrare un lumacone insignificante o ributtante,
era in realtà un genio.
Egli sapeva scegliere fra le decine di corpi di giovani femmine quelle
più indifese. Intuiva  la donna che avrebbe subito la molestia in
silenzio rispetto a quella che avrebbe reagito. Un fine psicologo,
insomma! Anzi, no: un cacciatore esperto, ma un cacciatore con un
sentore di selvaggio, come un vecchio leone col fiato corto ma
dall'occhio raffinato da infinite battute di caccia.
Verifichiamo le analogie. Il vecchio leone si sarebbe appostato in un
punto sopraelevato e nascosto nei pressi di uno raro stagno nella
savana, avrebbe osservato con attenzione la mandria di gazzelle
all'abbeverata cercando di capire quale fosse la più debole, la più
indifesa, lo stesso faceva il nostro marpione. Per due o tre fermate
sostava sul predellino inferiore allungando il collo e l'occhio per
poi partire a colpo sicuro. Si faceva largo fra la folla  e si
poneva... a tergo della vitttima designata. Prima di colpire scrutava
l'ambiente sollevando leggermente il mento verso l'alto e allargava le
narici. Sembrava intento a cogliere odori e fragranze particolari. Poi
 usava rivolgere uno sguardo a 360 gradi, tanto per essere sicuro di
poter operare in piena tranquillità. Assicuratosi dell'indifferenza
generale e dell'anonimo scontrarsi di corpi dava inizio alla sua
"operazione". Malgrado avesse buon fiuto la maggior parte delle sue
vittime, dopo qualche minuto di "attenzioni", girando la testa verso
di lui con uno sguardo incredulo, isterico ed incattitivito si
sottrevano velocemente alla "applicazione"indesiderata. Altre volte
coglieva nel segno e implacabile, spingendo il bacino sempre più
forte, si plasmava contro la malcapitata. Il "gioco", come seppi dopo,
stava nel piazzare e brasare il proprio pene eretto tra il solco dei
glutei della prescelta e lasciare che i movimenti di tentativo di
svincolo della vittima, i sobbalzi del mezzo e le spinte della folla
facessero il loro dovere nell'ottenere uno strofinio adeguato.
Adeguato a cosa? Mi si può chiedere. Ma all'orgasmo, rispondo io!
Devo fare una disgressione: il "lumacone" (che non era uno stupido)
mangiò la foglia, un giorno si accorse della mia costante presenza e
avvicinandomi mi disse sibilando: "cosa cazzo vuoi?". Il suo fiato era
veramente orribile, un misto fra il salame rancido, l'aglio e l'acido
del vomito. Ma lo sguardo e l'atteggiamento sicuro non mi davano
scampo. Per cui, volgendo la testa da una altra parte, confessai come
fossi affascinato dal suo comportamento; lo adulai a tal punto che
egli si sentì in dovere di istruirmi a dovere. "Vedi tutte queste
troiette?" mi disse con un plateale gesto della mano verso le
ragazzine minigonnate che salivano i gradini del bus "Sono tutte fighe
umide che sperano di incrociare in via Venti un personaggio famoso, un
calciatore del Genoa o della Sampdoria o qualcosa di simile a Di
Caprio per poter  aprire le cosce" "sono tutte stronze e per questo me
le faccio che gli piaccia o meno" "l'importante è uscire di casa con
il gondone ben piazzato sul belino, e un'altra mezza dozzina in tasca"
"bisogna sapere dove stanno tutti i cessi della città per poter fare
in fretta  un ricambio veloce e quali sono le linee più cariche di
figa... capisci?" (pausa) "poi, quando sono lì, me le faccio... e
anche a loro non dispiace (botta complice col gomito sul fianco)
...lo sento" "me ne faccio anche quattro al giorno, ma non ne metto
incinta nessuna!" (risatina gutturale) "E' da stupidi fare la mano
morta, l'importante è stare sempre incollati al culo assecondandone
tutti i suoi movimenti, non bisogna esagerare... ma neanche mollare"
"E' la ragazzina che ti deve far venire con il suo strusciare di
muscolo tiepido,  a volte col suo stupido tentativo di scappare, poi
lei percepisce il fiotto caldo tra le chiappe come un omaggio alla sua
bellezza... e col cappuccio non si sporca nessuno... e nessuna resta
incinta" "Lei è contenta e tu sei contento... hai capito?" (strizzata
degli occhi)
Brasato e mummificato da questo discorso, probabilmente, assunsi un
atteggiamento di circostanza. Lui se ne accorse e prendendomi per il
bavero mi strattonò e avvicinandomi a 3 cm. dalla sua fogna di bocca
mi sussurrò urlando "hai capitooo?"
L'uso dei gas mefitici è vietato dalla Convenzione di Ginevra... ma
non sporsi denuncia.  Prima di svenire feci un ampio  cenno di assenso
con la testa. Lasciò il bavero e si disperse frettolosamente fra la
folla.
Fui molto colpito da questa dichiarazione, colpito in modo
diabolicamente negativo... s'intende. Una insana curiosità mi permaeva
i reni. Il gusto del proibito e dell'oltraggio mi coinvolse a tal
punto che misi in pratica gli insegnamenti predetti.
Cioè... ci provai e non ci riuscii... lo ammetto! Dopo i primi
tentativi, odoranti del profumo inebriante del vietato, dovetti
arrendermi davanti al fatto che non ero il tipo adatto per questo
genere di cose. Forse fu in quelle occasioni, o forse in altre, che
scoprii come, per me, la massima eccitazione possibile, l'afrodisiaco
più potente, risiedesse nel desiderio della mia partner. Fottere
qualche kilo di massa muscolare inerte, se non ritrosa e irritata si
rivelò, in ben poco tempo, una pratica inutile, noiosa e degragante.

Però successe un fatto, molto tempo dopo.

Perfettino, con i capelli a posto, perfettamente rasato, leggermente
profumato da una colonia fresca ma inpercettibile, con calze e scarpe
nere stringate e lucidate accuratamente,  in giacca e cravatta, sobrio
ma elegante, con la 24ore sottobraccio,  un giorno di tarda primavera,
dovetti recarmi da un cliente importante e molto formale. Avevo un
completo di fresco-lana a tre bottoni, grigio chiaro con una "nuance"
che tirava al beige.una camicia azzurro chiaro e la cravatta
rigorosamente "reggimental" con striscie blu, verdi e nere. Una
cravatta stile inglese che con il suo piccolo nodo si opponeva
decisamente alla moda imperante dei nodi debordanti sotto una giacca a
quattro bottoni (roba da promoter finanziari!) Con il rischio di
apparire "demodé" volevo sembrare elegante ma fuori dagli schemi
abituali. Col mio modo di presentarmi volevo esprimere il concetto:
"sottoscrivo le regole, ma non sono un entusiasta amorfo integrato!"
Era primo pomeriggio e temevo di essere in ritardo. Salii sul primo
autobus di passaggio. Era strapieno, ma io riuscii a guadagnare un
posto in fondo, schiacciato contro il parabrezza posteriore e il tubo
di alluminio che lo attraversava nella sua larghezza.
Non era un gran bel posto ma riuscivo a respirare e, tenendomi al
corrimano con la sinistra, avenvo ben saldo la 24ore sulla destra;
potevo difendere egregiamente il mio completo grigio dalle
spiegazzature, evitare di essere borseggiato e sopratutto morire di
caldo nella calca. Presentarsi, sudato e stropicciato, davanti al
Presidente di una della maggiori società regionali non sarebbe stato
un gran biglietto da visita.
Un paio di fermate dopo salirono due ragazzine: bionde, con capello
lungo entrambe, raccolto a coda una e a due ciuffi, l'altra; snelle,
carine e poco-vestite in bianco di tutto in punto per un incontro di
tennis. si portavano appresso anche le sacche regolamentari. Non
potevano avere meno di sedicianni e nenche superare i venti.
Lo spazio era poco e loro si incunearono fra la massa e il
sottoscritto. Avevo il naso ad un paio di centimetri dal loro collo, e
il loro collo era profumato di mille cose, una più bella ed inebriante
dell'altra. Poi, al primo scossone, quella che stava alla mia destra,
si posizionò esattamente sopra la mia mano che stringeva la
valigetta... con la nocca del pollice percepivo perfettamente il
tepore di labbra contenute nel cotone delle mutandine. Nel contempo la
sua amica appiccicava il suo fondo schiena contro la patta dei miei
pantaloni. La situazione sarebbe potuta essere conturbante, se non
divertente e piacevole... ma in un altra occasione. In questo momento,
no! Oggi si giocava una partita veramente importante per la mia vita
professionale, fondamentale oserei dire, e non volevo che nessuna
distonia si frapponesse fra la mia condizione attuale e l'obiettivo
che mi ero preposto. Nessun elemento di disturbo doveva fiaccare
quella tensione positiva che mi ero costruito in tanti giorni. Avevo
imparato le battute a memoria, avevo provato le espressioni di
circostanza davanti allo specchio,  avevo studiato tutte varianti
possibili e come contrastarle a mio favore. Nessun granellino di
sabbia avrebbe dovuto inceppare questo ingranaggio perfetto.
A quei tempi avevo da poco superato i trent'anni ed ero invischiato in
un matrimonio deludente con una sicura prospettiva di divorzio. Avevo
buttato tutte le mie energie sul lavoro, ma adesso, nella calda
primavera e con il contatto con queste stronze, inaspettate e
splendide lolite, i miei ormoni si rimescolavano e il testoterone
sopito faceva capolino nuovamente. Come, nel contempo, si faceva
sentire... si risvegliava... dava presenza di se... il mio pene. Se
anche la mia testa diceva: no, no, no; lui diceva: si, si, si!
Mi ritrovai in una erezione completa incuneata sul solco di glutei
della biondina con i ciuffi. Sentii avvamparmi le guancie dal rossore
dell'imbarazzo. Ma la tizia in questione sembrò assolutamente
indifferente a quello che stava accadendo.Le cose peggiorarono perchè
la sua amica (quella con la coda) si girò improvvisamente di 180 gradi
e dandomi occhiate interrogative iniziò a premere il suo seno destro
contro il mio corpo. A quel punto forse ero partito di testa, ma ero
sicuro di percepire, oltre a quel seno piccolo ma sodo,  le mie
costole solleticate da un capezzolo duro e invadente.
Ora era troppo! Provai a dire: "senti!" "scusa!". Ma il frastuono e il
vociferare presente in quel "carro dei dannati" mi impedì di
raccogliere la loro attenzione. E si che lo avevo urlato a pochi
centimetri dalle loro orecchie. Loro continuare a ciarlare e a
ridacchiare. Devo ammettere che il rumore era tanto, acuito dai
finestrini aperti che riportavano, amplificandolo, il fracasso del
traffico cittadino. Difatti neanch'io riuscivo a capire cosa si
dicessero fra loro... a carpire le loro confidenze. Provai a cambiare
posizione, cercai di divincolarmi ma, oltre dai loro corpi, ero anche
imprigionato dalle loro sacche che mi stavano fra i piedi. Certo, con
una azione di forza avrei potuto togliermi da quella situazione. I
muscoli non mi mancavano, ma mi mancava il coraggio di esternare una
situazione in cui mi sentivo vittima. Con che faccia avrei potuto dire
spintonare energicamente urlando: "Basta! Voglio il mio spazio! Voglio
respirare!" Come mi avrebbero guardato tutte le altre sardine?
Se le cose possono peggiorare, puoi stare sicuro che lo faranno.
Questo è il principio base della Legge di Murphy. E questo vale per
tutti.
Infatti l'autobus incappò in una"non" insolita "coda" cittadina fatta
di "stop & go", accellerate e frenate, avvii e pause. Avanzare e
arretrare, su e giù, con un moto odulatorio e sussultorio. Tutte cose
che possono essere riconducibili ai movimenti di un coito. L'andare e
il venire, piano piano, si trasferirono principalmente, con andamento
involontario, nel confrontro tra la mia turgidezza contro una morbida
e soda diponibilità. Se pur... mio malgrado... in qualche misura...
forzato... insomma... non so come dirlo... ma ebbi un orgasmo! Mi
vergogno, ma lo ammetto. Cioè, dopo cinque/dieci minuti di questa
tortura, di questo "andirivieni" tinsi i pantaloni con una macchia
scura  ingiustificabile ed appariscente.
Le tenniste scesero un paio di fermate prima della mia e si
soffermarono a farmi un "ciao ciao" con la mano accompagnato da un
sorriso ironico e divertito, che... forse ora ricordo... maligno.
Non arrivai mai dal cliente in questione, persi una commessa
importante e probabilmente presi una biforcazione determinante nel
sentiero della vita... quella che va in discesa.  Passai buona parte
della giornata seduto su di una panchina smarrito con le mani fra i
capelli e tra mille pensieri sui massimi sistemi e su speculazioni
scientifiche del tipo: quanto ore fossero necessarie affinchè lo
sperma passasse dallo stato liquido a quello solido? Inoltre: cosa
avrei detto, tornando a casa, a mia moglie?
Pur avendone due, mi sentivo un coglione unico...

Ora come ora salgo solo su mezzi pubblici perfettamente sgombri.
Anche se ho fretta rifuggo ogni promiscuità possibile. Ne ho un solo,
semplice, orrore!

 

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Di Shaddy