IL PRIMO QUARTO DI LUNA di Tigrotta

 

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Me ne sto qua, raggomitolata sul divano; le ore del giorno non passano
mai, condite dalle insulsaggini della TV. Continuo a cambiare canale,
con gli occhi spenti, che guardano assenti senza vedere altro che
burattini che corrono avanti e indietro per il video, urlano e sembrano
divertirsi un mondo. Il volume è alto, vorrei che il rumore m'impedisse
di pensare. A volte funziona.

Il mio vecchio pigiama invernale ormai è senza forma, i calzettoni di
lana hanno i talloni consunti e punte rattoppate male... non ricordo da
quanto tempo non mi taglio le unghie dei piedi. Sono giorni che non mi
pettino, che non mi cambio, che non mi lavo.
Solo ieri ho cambiato le mutande e mi sono fatta un bidè, con l'acqua
fredda, congelata, e un pezzo di sapone vecchio e forse ancora più
sporco della mia fica. Mi sono strofinata con forza, ma tanto lo sporco
non se ne va. Non se ne andrà mai. Lo porto dentro.

Ieri sera non sono neanche andata a letto, ho preso sonno sul divano, su
questo divano, anche lui sporco come me.

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Li ho sentiti. Parlavano di me. Ero nel torpore del dormiveglia, ma li
ho sentiti. Stavano fuori della porta, mia madre chiedeva con voce
sommessa e trepidante: "Dottore... come sta?". Silenzio. Ci ha messo
tanto a rispondere, e infine ha detto: "Fisicamente abbastanza bene, se
la caverà. Le ossa rotte guariranno, le ferite piano piano
scompariranno, i lividi se ne andranno, ma non so se riuscirà a superare
lo shock."
Il dottore aveva ragione: non ci sono riuscita.

Da quando mi hanno dimessa dall'ospedale, mia madre si è sempre presa
cura di me. Mi ha accudito come una bambina, e io la lasciavo fare,
mentre mi abbandonavo lentamente al torpore del buio. Poi è morta ed ora
non c'è più nessuno con me. C'è sempre più buio intorno e dentro di me,
lo sento avanzare ogni giorno di più, strisciando nella fanghiglia del
mio cuore. Questa è l'unica cosa che sento.

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Ogni tanto ripenso a quella sera. Era la sera del mio 18° compleanno ed
ero vergine. Da pochi mesi avevo il ragazzo. Aveva quasi 20 anni,
lavorava con suo padre, era carino e gentile, biondino con gli occhi
nocciola, un sorriso dolce dolce che mi faceva sciogliere. Eravano tanto
innamorati e felici, i classici fidanzatini.
Quella era una sera speciale. Avevo festeggiato al pomeriggio con le
amiche, perchè volevo riservare la serata per lui. Mi aveva detto di
vestirmi bene, perchè mi avrebbe portato fuori a cena.
Ricordo che, con mia madre, avevamo girato un sacco di negozi, alla
ricerca di un abito carino ad un prezzo accessibile anche per noi.
Non avevamo tanti soldi: mio padre era morto di cancro da alcuni anni e
mia madre aveva un lavoro modesto; io andavo alle superiori, avevo
promesso a mio padre che mi sarei diplomata e facevo qualche lavoretto
ogni tanto, per aiutare mia madre a pagare le spese.
Alla fine mia madre si era stancata di girare per negozi: "Te lo faccio
io!" e così aveva lavorato ogni sera per confezionarmi quel vestito. Me
lo ricordo bene: la stoffa era leggera, estiva, adatta ad una sera di
fine giugno, di un colore verde chiaro con sfumature più scure. Aveva le
spalline sottili, lo scollo a "V" e la gonna leggermente svasata, un po'
sopra il ginocchio. Aveva scelto quel colore perchè s'intonava con i
miei occhi; mi avrebbe prestato anche i suoi orecchini, con dei piccoli
smeraldi, dono di mio padre quando ero nata io. Mi ero pettinata e
truccata con cura. Volevo essere carina e desiderabile; con i risparmi,
ero riuscita comprarmi il completino intimo che mi piaceva tanto...
erano giorni che lo vedevo in vetrina: un reggiseno a balconcino bianco,
senza spalline, e un perizoma, bianco anche quello. Mia madre non era
molto d'accordo, ma alla fine aveva ceduto.

Quella sera, lui era passato a prendermi in macchina. Ricorderò sempre
il suo sorriso; si era quasi illuminato quando mi aveva visto uscire
dalla porta. "Sei bellissima", mi aveva sussurrato abbracciandomi e
baciandomi leggermente una guancia.
Aveva prenotato la cena in una trattoria, a pochi chilometri dal paese
dove abitavamo. Era stato tutto delizioso, l'atmosfera raccolta, il cibo
ottimo, i fiori e le candele profumate sul tavolo... le aveva fatte
mettere lui, per me. Avevo anche bevuto un po' di vino e mi sentivo
allegra. Ci guardavamo negli occhi e ogni tanto le nostre mani si
sfioravano, finchè fece scivolare un pacchettino sulla tovaglia,
sorridendomi. Mi ricordo che l'ho aperto lentamente, con le mani che mi
tremavano. Era una catenina, con un pendaglio a forma di cuore;
semplice, bellissima. Mi sentivo una principessa, quando ha fatto il
giro del tavolo e me l'ha messa al collo. Era tutto perfetto.

Dopo cena, ci siamo allontanati in auto. Ero tesa ed emozionata: il
grande momento stava per arrivare. Avevo voluto aspettare la sera del
mio compleanno per fare l'amore per la prima volta. Non avevamo un luogo
dove andare; l'avremmo fatto in macchina, nel boschetto dove eravamo
soliti appartarci per scambiarci lunghi baci e carezze, che negli ultimi
tempi si erano fatte sempre più intime e audaci. Mi piaceva sentire le
sue mani che s'intrufolavano sotto le maglie alla ricerca del mio seno,
mi venivano i brividi ogni volta che il freddo delle dita era sostituito
dal calore della sua bocca sui miei capezzoli eretti. Con il senso di
bagnato e il formicolio tra le cosce aspettavo ogni volta che le sue
dita scendessero ad accarezzare delicatamente il mio sesso, aprissero
lentamente le labbra, per poi scivolare dentro e muoversi piano
facendomi provare un turbinio di sensazioni mai neanche immaginate negli
anni precedenti. Anch'io avevo imparato a conoscere il suo corpo, a
sbottonargli la camicia e accarezzargli il petto, a riempirlo di baci;
mi aiutava sempre quando, con mani incerte, cercavo di aprirgli i
pantaloni, così non mi sentivo imbranata. La prima volta che l'ho
toccato, che l'ho preso in mano, sono rimasta stupita dal calore, dal
pulsare che mi dava la sensazione che fosse una cosa viva.
Anche quella sera avevamo cominciato così, con lunghi baci e carezze
delicate, i sedili abbassati, parole dolci sussurrate all'orecchio, i
cuori che battevano forte, le mani che cominciavano a scostare i
vestiti...

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E poi... mi ci sono voluti anni di psicoterapia per trovare nel buio del
mio cervello le tessere del mosaico, per riuscire ad accostarle
drammaticamente una ad una, fino a formare un puzzle che mi rendesse
cosciente degli eventi di quella sera, che la mia mente aveva coperto e
nascosto creando un pozzo nero nella mia memoria. Ma più quel buco
veniva analizzato e si riempiva di pezzi di ricordo da mettere in
ordine, più il buio dell'orrore, l'impatto della conoscenza e della
consapevolezza prendevano possesso dei miei pensieri, del mio cervello,
del mio cuore e della mia anima, visto che del mio corpo se n'erano già
impossessati. Di notte sognavo e risognavo la scena, confusa nella
nebbia e nel torpore, svegliandomi ansimante e terrorizzata, in un lago
salato di sudore e lacrime.
Avrei potuto farcela, forse; ma i soldi scarseggiavano e le analisi
costavano care e sarebbero durate anni. Così ho dovuto smettere: avevo
ricordato, ma nel momento in cui avrei avuto più bisogno della
psicoterapia per superare lo shock, l'ho interrotta.

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Eravamo presi dalle nostre effusioni, consci del momento e dei gesti
importanti che stavamo facendo.

I finestrini dell'auto sono andati tutti in frantumi quasi
contemporaneamente, lasciandoci inebetiti, atterriti a guardarci negli
occhi spalancati, ognuno a leggere lo stupore e il terrore dell'altro.
Solo una frazione di un interminabile secondo di silenzio attonito dopo
i finestrini infranti.

Le urla, mie, sue, degli altri.

Mani. Mani che entrano dai finestrini a pezzi, aprono le serrature da
dentro; mani che mi prendono per la vita, per il collo, che mi
trascinano fuori; mani che mi stringono troppo forte, che mi premono
sulla bocca; mani che tento di mordere; mani cattive e brutali che
cercano maldestre il mio corpo di giovane donna; mani dalle quali cerco
di liberarmi, con calci e pugni lanciati a caso, tanti disperati quanto
inutili.

Occhi. Occhi chiusi, brucianti di lacrime; occhi annebbiati che non
vedono ma intuiscono ombre e movimenti. Occhi cattivi, ciechi di furore
sconosciuto vomitatoci addosso. Occhi spalancati di terrore e paura.
Occhi che si serrano ostinati, per non dover vedere.

Rumori. Urla di bestie feroci, eccitate ed assassine. Colpi soffocati di
pugni che vanno a segno, e lasciano il segno. Schianti di ossa spezzate.
Il mio vestito strappato con furia malata. "Noooooo. Lasciatemi,
maledetti.", "Taci, puttana. Stai zitta, ti ho detto!", "Ehi, bello,
stai un po' a vedere cosa facciamo alla tua amica...", "Lasciatela
stare, bastardi, lasciatela!", "Aiutami, ti prego, aiutami." Voci rotte,
spezzate, incazzate, impaurite, cattive, piangenti, supplicanti, ...

Odori. Alito rancido di alcool scadente, sudore stantio e vomitevole.
Terra umida di pioggia, gonfia di umidità, a contatto con la mia faccia
bagnata, gonfia di pianto.

Corpi. Corpi che mi sovrastano, mi schiacciano, mi premono, mi strappano
brandelli di tessuto. Corpi che scalciano, si divincolano, che tentano
di difendersi, di salvare. Corpi contro altri corpi, 2 contro 4, 5, 6,
non lo so. Corpi che picchiano selvaggiamente, calci, pugni, gomitate.
Corpi che mi artigliano le braccia e le gambe aperte e m'inchiodano
prepotenti al terreno. Corpi sudati che armeggiano frenetici con cinture
e cerniere. Mani che mi frugano ovunque, senza pietà. Un corpo pesante
mi schiaccia a terra, mentre un dolore acuto e improvviso mi blocca il
respiro, e l'appendice del corpo vìola la mia carne più tenera ed
intima. Urlo. Urlo tra le lascrime, di dolore e disperazione. Spalanco
gli occhi e quello che riesco a scorgere me li fa chiudere forte: il mio
ragazzo urla e si divincola, trattenuto da 2 uomini che lo incitano ad
imparare come si scopa una troia. Sento dolore ovunque, mentre il corpo
sopra di me continua a muoversi avanti e indietro con foga animalesca e
tutti intorno ridono.
I corpi si alternano. Presa dal torpore non mi rendo più conto di nulla,
forse sono svenuta per qualche minuto. Mi riprendo perchè qualcuno mi
schiaffeggia, apro la bocca per urlare e l'uomo me la riempie,
spingendolo fino in fondo, in gola, provocandomi conati di vomito.
L'odore acre mi fa vomitare e tossire. Sto per soffocare, non riesco a
respirare, sento il sangue che affluisce al mio viso, la testa mi sta
per scoppiare. Il cazzo esce dalla mia bocca, tossico e vomito anche dal
naso, mentre sento ridere attorno a me.

Luci. Lampi metallici nella penombra del primo quarto di luna. Sento il
mio ragazzo urlare, tra le risa. Forse è riuscito a divincolarsi, per
venire da me. Lo sento vicino, nel pesante silenzio  improvviso, mi
accarezza la testa, mentre cerca di sorreggerla, credo. "Bene, ragazzi,
possiamo andare... proprio una bella pollastra, stasera." Poi qui lui ha
sbagliato. Ero semicosciente, dolorante e infreddolita, però l'ho
sentito, prima di chiudere la mente per dimenticare. "Ehi, ma io ti
conosco. La tua voce l'ho già sentita..."

Cuore. Cuore che batte impazzito, che vuole sfondare il petto per
scappare lontano; cuore impaurito e tremante. Cuore chiuso e sordo.
Cuore assente.

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Lo hanno trovato morto, semisdraiato sopra di me, nell'ultimo e
disperato tentativo di proteggermi, con la gola tagliata e il suo sangue
mescolato al mio.

Perchè?

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Mi abbandono al pianto, sul mio divano sporco come me.
Erano anni che non piangevo, come se mi fossi prosciugata, nel corpo
oltre che nell'anima. Con le lacrime lavo il mio corpo anche dal suo
sangue. Non era colpa mia.
Sono stata mesi in ospedale, mesi in psicoterapia, anni come morta
anch'io. Morta dentro. Morta con lui. Morta quella sera. Morta, morta,
morta, ...

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Una voce alla TV mi riscuote. C'è qualcosa che non va, qualcosa che ha
fatto vibrare i fili del ricordo, qualcosa che lotta che emergere dal
buio del cervello ed è trattenuto dalla coscienza.
La voce alla TV... la voce alla TV... l'intonazione... che ha detto? che
ha detto? cazzo, non lo ricordo, mi ha colpito ed è sfuggito. cos'era?
Non c'è più niente che mi tocchi ormai, da anni. Perchè questo sì? Cos'è
quest'inquietudine che mi serpeggia nello stomaco e mi annebbia la
mente? "Bene, ragazzi, possiamo andare...". Questa voce l'ho già
sentita, questa frase l'ho già sentita.

 

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By TIGROTTA