LA VOCE     di Pong

 

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Ad una prima occhiata, la spiaggia poteva sembrare deserta. Il
mare agitato
andava a realizzare la colonna sonora di quel sabato sera di
luglio, e il
cielo nuvoloso copriva ogni scintilla della luce delle
stelle. L'unica
luminosità era data dalla schiuma di mare vagamente
fosforescente che i
cavalloni trascinavano sulle proprie creste, andandola
a depositare, dopo
uno schianto, sul bagnasciuga.
A ben vedere, però, la
spiaggia non era del tutto deserta.
Il ragazzo sedeva ai piedi di una
piccola duna a tratti ricoperta di un'erba
secca e spinosa, a qualche
metro di distanza dalla battigia, in una zona al
riparo dal vento che
soffiava da est.
I capelli lunghi, una traccia di barba appena accennata
sulle guance scarne,
il ragazzo strimpellava di tanto in tanto una
chitarra acustica malandata,
tenendo una sigaretta all'angolo della bocca,
ogni tanto canticchiando a
mezza voce qualche pezzo molto datato. Guardava
lontano, verso il mare,
verso il vento. All'orizzonte si potevano scorgere
le luci flebili di alcune
piccole imbarcazioni, forse pescherecci, che
transitavano lentamente su
quell'Adriatico insolitamente nervoso.
Lui non
stava guardando quelle luci, però. Era perso in tutta una serie di
ricordi
lontani, dipinti a tinte lievi nel passato, e cercava di rievocarli
anche
attraverso la musica della vecchia chitarra. Ogni serie di accordi,
ogni
grappolo di note, ogni arpeggio trascinato faceva rifiorire una
situazione
ormai passata, che lui accoglieva con una strana malinconica
allegria.
Beh, era una sera così, e lui l'accettava di buon grado. Gli erano sempre
piaciute quelle atmosfere vagamente tristi: pensava facessero in modo di
lasciare che la sua mente vagasse, si autoanalizzasse, si capisse un po' di
più. Lasciava che i suoi sensi percepissero tutto quello che c'era da
percepire, e che interiorizzassero quanto più possibile. Aveva sempre
considerato la malinconia come uno stato molto creativo, molto costruttivo,
e quindi aveva imparato a godersela.
Gettò nella sabbia il mozzicone della
sigaretta, e lo spense ricoprendolo
con una manciata di rena. Di incendi
ce n'erano stati fin troppi,
quell'anno, e con quel vento che soffiava
forte e regolare verso il riarso
introterra pugliese forse non era il caso
di lasciarsi andare a distrazioni
idiote. Fece un accordo di La al quinto
tasto, e da lì proseguì con un Re, e
quindi con un Mi, improvvisando
qualcosa di molto simile ad un blues. Gli
venne in mente una vecchia
canzone degli anni quaranta che avrebbe girato
alla perfezione su quegli
accordi, e stava per attaccare a cantarla con la
sua voce profonda e un
po' roca, quando fu interrotto da un'altra voce.
_ Ciao.
Lui si
interruppe di colpo, e alzò lo sguardo verso la direzione da cui era
provenuta la voce, senza riuscire a scorgere nulla di più che una sagoma
scura, sulla cui sommità si agitava un qualcosa che poteva essere una massa
di capelli smossa dal vento. Il timbro era indubbiamente femminile, e, a
giudicare da quel poco che poteva vedere, la sua proprietaria doveva essere
una ragazza bassina, forse appena sopra al metro e cinquanta, che da un
paio
di metri di distanza da lui aspettava una risposta al saluto. Lui si
riscosse in fretta.
_ Ciao _, disse, e cercò di mettere a fuoco meglio i
suoi lineamenti.
_ Sei bravo _, disse lei avvicinandosi di un paio di
passi e
inginocchiandosi sulla sabbia, mentre indicava con un cenno del
mento la
chitarra. Lui fece una breve risata di gola, seguita da uno
sbuffo di
modestia.
_ Sono solo uno strimpellatore _, si schernì, come al
solito imbarazzato
quando gli si faceva un complimento. Le porse la mano
destra. _ Luca _, si
presentò. Lei gliela strinse, e aveva il palmo caldo
e lievemente sudato. _
Michela _, rispose lei, avvicinandosi ancora un
po', e andando a sedersi
direttamente di fronte a lui, incrociando le
gambe.
_ Hai anche una bella voce. Io ero seduta più in là con delle
amiche _,
disse indicando vagamente alle proprie spalle con un cenno della
mano
destra, _ e. Beh, ti abbiamo sentito. Una mia amica pensa che tu
abbia una
voce molto erotica _, continuò ridacchiando. Luca avvertiva nel
suo alito un
vago ma inconfondibile retrogusto alcolico, e capì che la
ragazza doveva
essere un po' brilla. A lui bere non piaceva: gli metteva
addosso un sonno
terribile, non riusciva a divertirsi, parlava a
sproposito, e dopo si
portava dietro i postumi per un paio di giorni.
_
Oh, dì alla tua amica che la ringrazio _, rispose lui divertito. _ Peccato
che non ispiri le stesse idee visto di persona. Comunque grazie, vorrà dire
che cercherò di sfruttare di più la voce per rimorchiare: domani incomincio
a fare numeri a casaccio al telefono, e ci provo con tutte quelle che
rispondono.
Lei rise, forse in maniera un po' eccessiva, data la battuta
idiota, ma a
lui fece comunque piacere sentire il suono di quella risata.
Era brilla, ma
non sbronza, gli sembrò di capire.
_ Quanti anni hai? _,
le chiese.
_ Ventidue. Tu?
_ Venticinque. E tre mesi, a dirla tutta.
Lei
ridacchiò ancora. Brilla, era brilla, non ci pioveva. Indicò ancora la
chitarra con un cenno del mento: _ Suoni da molto?
Lui fece un minimo di
calcolo mentale: _ Tredici anni, all'incirca.
Lei si avvicinò ancora,
trascinando il sedere per terra, fino a quando le
sue ginocchia non
arrivarono a contatto con quelle di lui. Poi si chinò a
guardare da vicino
la chitarra, sfiorandone le corde di metallo con i
polpastrelli
all'altezza della buca.
_ E' difficile imparare? _, chiese tenendo la
testa bassa, per poi rialzarla
lentamente, le labbra leggermente
dischiuse, la sua testa ad una spanna e
mezza da quella di lui. Quella che
gli aveva fatto era una domanda che Luca
aveva sentito un sacco di volte,
e alla quale aveva dato un sacco di volte
la stessa risposta pacata, che
suonava più o meno "Beh, non è facilissimo,
ma non è nemmeno una cosa
impossibile. Gli inizi sono sempre frustranti, ma
tutto sta in quanto ti
eserciti, e nell'ascoltarti molto quando suoni." e
così via. Solo che
questa volta tardò qualche secondo a rispondere. I suoi
occhi si erano
abituati al buio, o forse le nuvole si erano in parte
scostate permettendo
alla luce delle stelle di arrivare fino a loro, e lui
si era accorto di
avere a pochi centimetri di distanza una ragazza sì
piccolina, ma
incredibilmente carina. Aveva i capelli neri, molto lunghi, e
mossi. Due
labbra molto carnose e ben disegnate, schiuse sopra a degli
incisivi
bianchi e regolari. Il naso era affilato e minuto, perfettamente in
armonia con il resto del viso, e gli occhi.
Mio dio, gli occhi.
A
guardarli gli si era fermato per un attimo il respiro in gola. Non poteva
essere sicuro a riguardo del colore, vista la mancanza di una luce
adeguata,
ma se ne sentì immediatamente e completamente rapito. Erano due
pozzi di
luce, pieni di energia e di vita, colmi di malizia e di
desiderio.
Guardandoli, cercando di uscire da quegli attimi di silenzio
innaturale,
Luca si accorse di avere un principio di erezione, e la cosa
incominciò
subito ad imbarazzarlo, perché forse, come fin troppo spesso
accade,
quell'erezione era del tutto fine a se stessa.
Diede la sua
risposta, scegliendo bene le parole, cercando per quanto
possibile di
rispettare la formula collaudata che aveva già avuto modo di
sperimentare,
e per tutto il tempo continuò a fissarla negli occhi, sempre
più incantato
dalla loro forma, dal modo in cui lei ne batteva di tanto in
tanto le
ciglia, dalla luce che sembravano immagazzinare dentro di loro. E
per
tutto il tempo durante il quale lui aveva dato voce alla sua frase
fatta,
lei aveva continuato ad avvicinarglisi, lentamente ma in modo del
tutto
evidente. Quando aveva finito di parlare di quanto in fondo non fosse
difficile imparare a suonare una chitarra, i loro occhi erano ad una
quindicina di centimetri di distanza, e lui sentiva addosso il calore del
suo respiro.
Poi lei, dopo un paio di secondi di silenzio assoluto, coprì
gli ultimi
quindici centimetri, e le loro labbra si sfiorarono, si
toccarono, si
aprirono insieme lasciando posto alle lingue, che
cominciarono dapprima a
carezzarsi lentamente, e poi ad attorcigliarsi
l'un l'altra sempre più
avidamente, esplorando l'una la bocca dell'altro,
andandone a carezzare i
denti, saggiandone la consistenza delle labbra.
_
Aspetta _, disse lui scostandola con dolcezza, e, afferrata la chitarra,
che ancora stava tra di loro, la depose sulla sua custodia, alla sua
sinistra. Luca aveva già una erezione completa, pulsante, quasi dolorosa.
Il
fatto che fosse successo tutto così in fretta, senza nessun preavviso,
e con
una perfetta sconosciuta, per di più, lo riempiva di una eccitazione
frenetica quanto timorosa. Si rivolse ancora a lei, cercando ancora le sue
labbra e la sua lingua, ancora più avidamente di prima. Lei rispondeva con
pieno entusiasmo, incominciando a respirare profondamente, schiacciandosi
contro di lui e contro la sua erezione, evidentissima da sotto un paio di
pantaloni di cotone. Luca si ritrovò sdraiato supino, sulla sabbia
dolcemente scoscesa della piccola duna, con lei che si sfregava contro di
lui, sopra di lui, e che gli teneva ferma la testa con le mani premute
sulla
sommità del cranio, mentre esplorava la sua bocca facendo saettare
la
lingua, tra un mugolio e l'altro.
Lui posò le mani sulla sua schiena,
le infilò sotto la maglia cercando la
pelle calda, premendo quel corpicino
fremente contro il suo, andando a
cercare il fermaglio del reggiseno. Si
rese conto che lei non lo portava, e
una saetta di eccitazione gli affondò
nel basso ventre, facendogli inarcare
la schiena, portando la sua erezione
a premere ancora di più contro di lei,
che gemette piano.
Lui si rialzò a
sedere, sollevandola senza alcuno sforzo apparente,
continuando a
baciarla, adesso in modo quasi furioso. Le mani si spostarono
sul petto di
lei, andarono a accarezzare i seni, piccoli ma tondi e morbidi.
Quindi
glieli strinse, dapprima leggermente, provocandole ogni volta un
respiro
profondo, in seguito più violentemente, facendola gemere mentre
continuava
ad intrecciare la sua lingua con quella di lui. Lui le afferrò i
capezzoli
tra pollice ed indice, tirando leggermente, verso il basso, e lei
gli
morse il labbro, soffocando un mezzo strillo.
Un secondo dopo, lui le
aveva fatto volare via la maglia di cotone, e
leccava i suoi seni,
succhiava i suoi capezzoli, li schiacciava con la
lingua contro il palato,
li mordicchiava furiosamente. Lei, intanto, gli
aveva infilato la lingua
in un orecchio, e tra sospiri e colpi di lingua lo
stava facendo
impazzire.
Aveva paura di venirsi nei calzoni. Era molto tempo, più di
quanto forse
fosse disposto ad ammettere, che non aveva una donna. Il suo
pene era teso
allo spasimo, la pelle dello scroto rattrappita a comprimere
i testicoli, e
lui incominciava ad avere il bisogno estremo di entrarle
dentro, di muoversi
dentro di lei, di svuotarsi dentro di lei.
Le sue
mani lasciarono il suo petto, e si diressero l'una verso il sedere di
lei,
l'altra verso il suo ombelico, e poi più sotto. Mentre la mano sinistra
si
infilava sotto i calzoni larghi e leggeri di lei, ed andava ad afferrarle
una natica scendendo lentamente verso l'ano, l'altra si faceva strada sotto
le mutandine di lei, sopra il pelo serico, fino ad arrivare al suo sesso.
Le
scostò le grandi labbra con due dita, cercando le piccole labbra e la
clitoride con il medio. Lei quasi urlò contro le sue labbra, dimenandosi,
quindi sbuffò dentro la sua bocca mentre le sue mani andavano a cercare il
pene attraverso i pantaloni, armeggiando con i bottoni sul cavallo. Luca fu
un po' stupito di trovarla subito così bagnata, e il suo dito medio entrò
dentro di lei senza difficoltà, accompagnato da un lungo respiro di lei.
Subito dopo, Michela si strinse attorno al suo dito, serrandoglielo dentro
al sesso, mentre le sue mani liberavano il pene turgido dai boxer e dai
calzoni di lui, e cominciavano a massaggiarlo lentamente, con cautela, come
se intuisse che, a quel punto, una eccessiva foga avrebbe potuto
interrompere tutto.
Lei lo guardò fisso negli occhi, continuando a muovere
le mani sul suo pene,
continuando a serrargli il dito in mezzo alle gambe
con una stretta forte e
poderosa. _ Leccami il culo _, disse con voce roca
continuando a fissarlo e
a muoversi, a muoversi e a stringere, a stringere
e a fissarlo. _ Leccami il
culo e ti faccio di tutto.
Poi si alzò,
liberandosi del suo pene e del suo dito, e calandosi prima i
calzoni, e
poi le mutande, sempre fissandolo. L'aria si riempì dell'odore
del suo
sesso quando lei glielo avvicinò alla faccia, umido e invitante, e
lui non
riuscì a evitare di accostare il suo viso, e di dare a quel caldo
frutto
acquoso una lunga leccata, profonda, piena. Lei si irrigidì un po',
pur
gemendo di piacere quando lui passò con la lingua sul suo clitoride. _
No
_, disse scostandogli la faccia e girandosi, mostrandogli le terga e
divaricando le gambe, mentre con le mani tirava in alto le natiche,
scoprendo l'ano. _ Prima leccami il buco del culo _, disse chinandosi in
avanti, offrendogli le natiche spalancate sull'ano pulsante. _ Infilami
dentro la lingua, la voglio sentire girare, andare dentro. Voglio tu faccia
così, voglio. _.
Luca aveva perso completamente ogni inibizione. Non aveva
mai leccato l'ano
di una ragazza, e se solo ci avesse pensato qualche
tempo prima avrebbe
trovato l'idea anche vagamente ripugnante. In quel
momento, però, non pensò
a nulla, se non a fiondarsi verso l'ano di lei,
allargandole ulteriormente
le natiche con le mani, leccandole l'orifizio,
muovendo la testa in
movimenti circolari, calcando con le labbra intorno
all'ano, infilando a
poco a poco la lingua dentro lei. Lei incominciò ad
ansimare, e Luca capì
che aveva cominciato a masturbarsi mentre lui,
dietro, faceva la sua parte.
Leccò con tutta la foga e la dedizione che si
scoprì trovare dentro,
tramortito e meravigliato da quella novità, notando
che leccare
quell'orifizio stretto ed elastico non gli dispiaceva affatto,
e forse gli
piaceva un sacco, forse almeno quanto gli piaceva leccare quel
che stava
poco più avanti, poco più sopra.
_ Infilami dentro un dito, sto
per venire -, disse lei tra un gemito e
l'altro, e lui si affrettò ad
eseguire, prima un dito, poi due, continuando
a leccare, muovendo le dita
in modo frenetico, infilando e sfilando,
allargando e stringendo, finché
lei non esplose in un verso strozzato
liberatorio e le dita e la lingua di
lui furono strette dalla contrazione
del suo ano nel pieno dell'orgasmo.
Lei si girò verso di lui, lo guardò in faccia, accarezzandolo e ansimando
ancora, passandogli sul viso le dita umide e odorose di quell'odore che lo
faceva impazzire, poi gli disse: _ Tutto quello che vuoi.
E fu così. Lei
fece tutto per lui, e lui continuò a fare tutto per lei, per
buona parte
di quel che rimase di quella notte. Quando, alla fine, rimasero
stanchi e
allacciati l'uno nell'altra, uniti per i due sessi da un calore
umido e da
un appendice che andava rilassandosi, lui si addormentò.
Riaprì gli occhi
alle prime luci dell'alba. Lei gli era ancora sopra, già
sveglia, e forse
non aveva mai nemmeno chiuso gli occhi. Il pene di lui era
nuovamente in
piena erezione, era nuovamente dentro di lei, e lei stava
nuovamente
muovendosi sopra di lui, e lui sentiva che le cose erano diverse
rispetto
a prima, la sensazione era diversa, era tutto più caldo, più
avvolgente,
più stretto.
Furono costretti a rivestirsi quando i primi bagnanti
incominciarono ad
arrivare in spiaggia. Lui adesso la poteva vedere bene,
in piena luce, ed
era una ragazzina splendida, cavolo. E a fianco a lei,
alto, goffo, troppo
magro e un po' curvo, si sentiva anche un po'
ridicolo.
_ Perché io? _, chiese ad un certo punto lui, cercando il suo
sguardo. Lei
sorrise, poggiandogli le mani sulle spalle, scuotendo la
testa e
ridacchiando.
_ Oddio, non posso dirtelo _, disse tra un risolino
e l'altro. Sembrava si
vergognasse.
_ Dai, sono curioso _, disse lui, e
lo era davvero. Non aveva mai capito
cosa, di lui, piacesse alle donne. Da
sempre era convinto di partire
comunque in svantaggio, presumeva di non
piacere, ed ogni volta che la
tranquilla per quanto atipica normalità cui
si era abituato a vivere veniva
stravolta da una presenza femminile. Beh,
lui non riusciva a non
domandarsene il motivo. _ Perché sei venuta da me?
Non mi avevi nemmeno
visto in faccia, e avrei potuto essere un tipo più
bruttino di quel che
sono. Avevi sentito solo la mia chitarra, e la mia
voce. E fino a quando le
nostre facce non sono state ad una spanna l'una
dall'altra non sapevi
nemmeno che forma avesse la mia. Perché sei venuta
da me?
Lei scoppiò a ridere, cercando di contenersi un po', anche se con
scarsi
risultati, vergognandosi e divertendosi al contempo.
_ Senti,
avrai notato che ero un po' brilla, no?
_ Si _, disse lui. _ Ma cosa.
_
Aspetta, ti racconto tutto _, lo interruppe lei, lo sguardo timido e
malizioso insieme. _ Ero con tre amiche sulla spiaggia, e stavamo bevendo
un
po' di tutto. E naturalmente siamo finite a parlare di sesso.
_ Ok, _,
disse lui. _ Capita spesso anche a me, diciamo in media quelle otto
volte
su dieci o giù di lì, ma non vedo cosa ci sia di.
_ Aspetta! _ disse
ancora lei, poggiandogli due dita sulle labbra e ridendo.
_ Ho detto che
ti racconto tutto, no?
Lui fece segno di assentire, ridacchiando.
_
Allora, ad un certo punto ti sentiamo suonare, e poi cantare. E una mia
amica, una tipa un po' grassa che colleziona due di picche, scola un
bicchiere di coca e rum, rutta e dice: "Cazzo, sentite questo qua, che voce
arrapante, che ha. Guarda, me lo farei al volo, sulla fiducia, giusto per
la
voce".
Lui scuoteva la testa, incredulo, ma rideva.
_ E io le dico: "
Cazzo dici, quello non appena ti vede scappa a gambe
levate. Se ci vado
io, invece, scommetto cinquanta carte che mi bacia il
culo".
A questo
punto lui crollò sulle ginocchia, ridendo, con le lacrime agli
occhi.
_
Questo significa che hai vinto cinquanta carte? _, le chiese tra una
risata e l'altra.
_ Non solo _, disse lei chinandosi, inginocchiandosi
davanti a lui e ridendo
mentre gli passava le mani tra i capelli e si
avvicinava alla sua bocca. _
Significa anche che ti offrirò da bere.
E lo
baciò sulle labbra.
Risero ancora a lungo.

 

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