Eva.   Di TheOnlyLuniX

 

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Storia di una madre vedova con figlio a carico.

CAP 1. Madre e figlio
Salve, mi chiamo Eva, ho un figlio di quasi 16 anni, sono vedova da 3,
ho da poco superato gli "anta", ma le persone che frequento mi reputano
ancora una preda molto polposa!
La mia storia è un po' raccapricciante, pertanto prego fin d'ora i pochi
puritani tra voi di passare ad altro se la cosa può in qualche modo
recar loro offesa.
Orbene, la storia che mi accingo a narrarvi, e di cui sono la diretta
protagonista, risale a circa 2 anni fa, quando mio figlio frequentava
l'ultimo anno delle medie e mio marito era morto da poco.
Era una domenica mattina, ed io stavo come al solito rassettando la casa
prima di recarmi, come ogni domenica, in chiesa, quando all'accingermi
ad entrare in bagno per rassettarlo, trovo la porta stranamente chiusa,
e dico stranamente dato che io e mio figlio, essendo soli in casa, non
avevamo l'abitudine di chiuderci dentro, specialmente nella stanza da
bagno.
Incuriosita, mi inginocchio al buco della serratura, ed infilando, mio
malgrado, l'occhio alla fessura, vedo mio figlio, Piero, in piedi
sull'orlo della tazza del water che se lo mena alla grande, col viso
rivolto per aria, le gambe divaricate, e la mano sinistra che carezza
furiosamente le due palle sode.
La mia prima reazione è di sdegno; mio marito, poverino, quand'era
ancora in vita mi aveva spiegato che questa è una tappa fondamentale un
po' per tutti i maschietti, ma checché me ne avesse potuto dire, questa
visione mi raccapriccia, e lì per lì non so che fare, rimanendo come
stordita, osservando morbosamente la scena di mio figlio il quale
intanto, poco più che quindicenne, con la mano sinistra si carezza i
coglioni mentre con la destra se lo mena oscenamente, credendosi al
sicuro da occhi indiscreti.
Sarò rimasta così due o tre minuti buoni, periodo in cui lo spazio ed il
tempo erano come annientati per me che osservavo quella scena a metà
strada tra lo sdegno e la libidine, quando un flebile gemito fuoriuscito
dalle labbra tumide di mio figlio mi risveglia dalla trance, facendomi
accorgere dai sintomi evidenti che stava per venire. Il tutto non dura
che pochi secondi: al sopravanzare della crisi la mano si fa più veloce
sul cazzo, la presa per i coglioni si fa più stretta, ed il tutto si
risolve in 4 o 5 fiotti si sborra cristallina che si vanno a posare
qualcuno sull'orlo del water, qualche altro sulle piastrelle del muro,
che mio figlio ripresosi, si appresta a pulire alla meno peggio.
In fretta, dopo aver assistito a quello spettacolo raccapricciante, mi
rialzo, con il viso congestionato, faccio per rimettermi in ordine, ed
in silenzio mi allontano dalla porta del bagno, provando una sensazione
di appiccicaticcio nel basso ventre, come quando in certi bar andavo in
bagno a fare pipì e mi accorgevo che mancava la carta igienica, e non
avendo fazzoletti di carta ero costretta, mio malgrado, a rimettermi le
mutandine con le labbra ancora umettate di urina.
Dopo che Piero era uscito dal bagno, mimai indifferenza, fingendomi
indaffarata in qualche faccenda fino a che, finitosi di vestire e fatto
colazione, mi saluta col solito bacio sulla guancia ed esce di casa.
Sentii un irrefrenabile impulso a recarmi in bagno, in quello stesso
bagno, cioè, dove poco prima davanti ai miei occhi mio figlio "si era
sparato una sega" (queste parole mi rimbombavano nel cervello ad ogni
passo); fingendo con me stessa di voler solo rassettare, prendo
l'occorrente ed entro.
Mio figlio aveva pulito davvero bene, non c'era dubbio, ma ad un occhio
attento le tracce del suo piacere non potevano certo sfuggire. Mentre
facevo per pulire, mi accorsi che la fica, da umida e leggermente aperta
che era mentre assistevo allo spettacolo raccapricciante, aveva iniziato
letteralmente a grondare sempre più copiosi umori, tanto che mi sentivo
le mutandine bagnate ed un che di bollente al collo dell'utero.
Stizzita, e nonostante tutto lascivamente eccitata per quanto mi stava
accadendo, dopo aver notata una goccia della candida rugiada deposta dal
pene di mio figlio, sfuggita nella furia alla sua vista, con le dita
della mano sinistra la prendo dalle piastrelle gelate e la porto alle
narici, gustandone l'afrore.
Inebriata e con la fica in fiamme, non più padrona di me stessa, mi
seggo sulla tazza del cesso ancora unta di sperma ed inizio a sditalarmi
furiosamente, infilandomi in bocca le dita imbrattate dello sperma
acerbo di mio figlio fin quasi al palmo.
Con l'eccitazione oramai al culmine, sentendomi sempre più depravata ed
oscenamente troia, decisa nell'andare fino in fondo nella colpa, di
scendere fino alla fine gli scalini della perversione, già pregustando
il rimorso che ne seguirà, tolgo le quattro dita della mano sinistra
dalla bocca e me le infilo in un sol colpo in fondo alla vagina,
torturandomi intanto il clitoride impazzito, fino a raggiungere il
culmine del piacere...
Seguono istanti di intontimento totale, la realtà mi sfugge ed i sensi
offuscati ci mettono un bel po' per ritornare a funzionare, mentre
intanto tutta la mia vita mi passa davanti, con mio marito prima e con
mio figlio poi: il mio comportamento deplorevole merita una punizione
più che adeguata, ed io, lentamente ritornando padrona di me, sempre più
mortificata per quello che ho fatto, dopo più di un anno dalla morte del
mio caro marito in cui credevo di aver cancellato completamente il sesso
dalla mia vita, scoppio a piangere.
Per fortuna mio figlio era già uscito, non avrei davvero potuto né
saputo trovare una scusa credibile per quel mio pianto isterico.
Ripresami leggermente, ma sempre prostrata nel fisico e nello spirito,
riassetto il bagno alla buona, e dopo aver fatto altrettanto presto con
le rimanenti faccende di casa, più per distrarmi che per altro, faccio
per scendere ed andare a messa.
Lungo il cammino che porta in chiesa, la mia mente è un turbinio di
pensieri: ho peccato, due volte peccato un quanto non solo mi sono
oscenamente masturbata in bagno, rompendo così nel più turpe dei modi il
voto di castità fatto alla morte del mio povero marito, ma più perché,
lo riconosco, ho osato masturbarmi come la più consumata delle puttane
quando quello che avrei dovuto fare, dovere mio di donna e di madre,
sarebbe stato quello di aiutare in qualche modo il mio bambino.
Risoluta, conscia della mia colpa, entro in chiesa e dopo una breve
genuflessione verso l'altare, mi reco di filato verso un confessionale
libero, decisa a confessare il mio peccato a Dio ed agli uomini,
chiedendo al primo il perdono, ed ai secondi, se possibile, un consiglio.
Piangendo sussurro più che recitare le usuali preghiere, ed il buon
padre, che riconosco dalla voce dolce e rassicurante essere il curato
del mio paese, che mi conosce da quando, alta un soldo di cacio, andavo
a confessargli le mie marachelle di bambina, pazientemente mi ascolta,
mentre con voce rotta racconto con morbosi dettagli la casuale scoperta,
il turbamento che ne è seguito, infine l'infame mio comportamento ed il
mancato soccorso morale al mio bambino.
"Padre, la prego, mi perdoni, perché ho peccato, di un peccato tanto
grande che ancora io mi stupisco di esserne stata l'artefice."
"Mia cara piccola", mi dice il vegliardo, per il quale evidentemente
sono ancora una bambina, "vedi, noi uomini siamo non siamo fatti per
peccare, e Dio lo sa: per questo, piccola mia, ci ha dato il sacramento
della confessione, affinché confessando le nostre colpe possiamo
richiedere il suo perdono e quindi di nuovo accostarci a Lui."
"E' vero, padre, ma io mi sento tanto in colpa, perché col mio
comportamento lascivo non ho assolto ai miei doveri di madre, oltre che
di buona cristiana."
"E' vero, piccolina, tuttavia il pentimento è il primo passo nella
strada che porta al Signore, e tu stessa, riconoscendo le tue colpe, ti
rendi degna del suo perdono."
"Oh, caro padre, come avevo bisogno delle vostre parole rassicuranti.
Ditemi, come devo fare per riacquistare la fiducia del Signore, ma
soprattutto, da uomo di mondo quale siete, che tanta vita si è lasciato
alle spalle, ditemi, come fare per rimediare al mio peccato più grande,
ossia quello di non aver prestato soccorso al mio povero bambino proprio
quando aveva bisogno di me, pensando piuttosto a soddisfare le mie turpi
voglie?"
"Benedetta bambina, quello che devi fare è solo parlare al tuo ragazzo,
senza turbarlo eccessivamente, in quanto ciò potrebbe portare
all'effetto contrario, quanto piuttosto andando per gradi, facendogli
capire pian piano, inculcandogli con quell'amore e con quelle parole che
solo una mamma può avere, che esistono tanti svaghi, tanti modi in cui
può utilizzare il suo tempo libero..."
Mentre il prete parlava, io ormai già mi sentivo libera dal mio peccato,
e pensavo al da farsi per ricongiungermi al Signore, riparando, per quel
che potevo, ai miei errori.
Ricevuta l'assoluzione e recitati i rituali Gloria, Ave, Pater, mi
accostai al sacramento dell'Eucarestia risollevata, e tornai a casa
carica di buoni propositi, con l'animo leggero ma deciso a distogliere
l'animo di mio figlio dal suo cammino verso la perversione.

CAP2. Il caso e la necessità
Giunta a casa, come ogni Domenica, preparai il pranzo ed attesi che mio
figlio rincasasse, per mangiare insieme.
A tavola, iniziammo, come eravamo soliti fare, a parlare del più e del
meno, ed il discorso, non so quanto involontariamente da parte mia,
cadde sull'argomento masturbazione.
Io dal canto mio, animata dai più buoni propositi, snocciolavo a Piero
tutto il panegirico che avevo sorbito dal buon padre, con un tale
trasporto che mio figlio ne dovette rimanere molto impressionato, se è
vero che solo una timida obiezione mosse, riguardo al punto che, sebbene
non fosse il suo caso, un maschio normale si sarebbe riempito le palle
fino a scoppiare senza una donna, se non avesse avuto la libertà di
masturbarsi, che non era come per le ragazze, che ogni mese (ogni 28
giorni, gli faccio io di rimando...) hanno le mestruazioni.
Tutti argomenti deboli, comunque, che comunque il Signore mi diede la
forza di ribattere subito, fino al punto di dire al piccolo che, sebbene
non fosse il suo caso, se avesse avuto bisogno di aiuto, avrebbe potuto
rivolgersi tranquillamente e con fiducia alla sua mammina.
"Non preoccuparti, mamma, io certe cose non le faccio", rispose
imbarazzato il briccone di cui avevo ancora impressa nella mente
l'immagine del glande violaceo che eruttava sperma.
"Non si sa mai. Ed ora va', non voglio trattenerti oltre; spero che tu
abbia capito che io oltre che tua madre sono anche tua amica..."
Mentre si allontana, con la coda dell'occhio ho l'impressione di
scorgere un rigonfiamento tra le gambe di mio figlio. Rimuovo questa
sensazione e continuo titubante a sbucciare la mela che avevo nel piatto.

Intanto il tempo passava; un giorno, poi due, tre, poi una settimana,
quindi due settimane, mentre la nostra vita sembrava essere tornata alla
normalità: dopo quel discorso, nulla più fu detto tra noi riguardo
l'argomento sesso.
Io dal canto mio, presi la risoluzione di astenermi dalla spiare mio
figlio, a maggior ragione quando si recava al bagno, decisa a
concedergli la massima fiducia, più per paura delle mie reazioni che per
il fatto che forse il mio ometto se la meritasse davvero.
Una domenica mattina, tuttavia, non resisto: il mio istinto materno mi
obbliga a verificare. Appena scorgo che mio figlio fa per recarsi al
bagno, di soqquatto gli vado dietro, inginocchiandomi ancora una volta
dietro la porta del bagno, che mi accorgo di nuovo essere chiusa a
chiave.
Non immaginereste mai la mia sorpresa nel vedere mio figlio che si
avvicina al cesso, slaccia la cintura, apre il pantalone e se lo lascia
cadere alle caviglie, abbassa gli slip fino alle ginocchia, rivelando un
cazzetto semiduro che quasi istantaneamente, al primo tocco, riprende
vita.
Tentando di controllarmi, pensando che comunque la predica non è servita
a nulla, osservo il ragazzo che con una dimestichezza ormai a me nota
inizia a menarselo: "La predica non è servita a nulla, o forse ha
sortito solo un effetto temporaneo", dico tra me e me osservando ancora
una volta il cazzo tumescente pronto ad esplodere, "Dovrò prendere seri
provvedimenti, sorprenderlo sul fatto, magari, e se è il caso punirlo,
anche severamente se necessario: la deve smettere."
Mentre confusamente risoluzioni contrastanti si accavallano nella mia
mente, con l'occhio ancora incollato al buco della serratura osservo mio
figlio che d'un colpo lascia il cazzo, che per effetto della potente
erezione rimane turgido, a mezz'aria, dondolante come un condannato a
morte che attenda il colpo finale del boia che ponga fine alle sue
sofferenze, si rimette gli slip che a stento riescono a contenerne il
pacco gonfio, si riallaccia i pantaloni ed aprendo la porta quasi non mi
sorprende a spiare, stupita quale ero del fatto che stranamente non
aveva portato a termine la sua opera.
Trascorsi alcuni minuti, ancora incredula di quanto avevo assistito, mi
reco in bagno, alla ricerca di qualche traccia che provasse che mi ero
sbagliata, che il ragazzo avesse cioè sborrato da qualche parte senza
che io me ne accorgessi, per quanto strano potesse essere. Ebbene,
nulla. Il bagno era limpido così come io l'avevo lasciato poco prima che
lui entrasse.
Dopo quella esperienza, che per la verità mi lasciò alquanto
incuriosita, iniziai a spiare mio figlio non solo tutte le volte che si
recava al cesso, ma anche nei suoi più piccoli movimenti, alla ricerca
di una traccia, di un indizio che mi inducesse anche solo ad illudermi
che il mio bambino avesse perso sperma, in realtà per dare un senso alle
sue pratiche e trovare così il vizio che lo oberava. Perché si lisciava
il cazzo senza venire? Più e più volte al giorno lo osservavo recarsi al
cesso, cacciare fuori il cazzo semiturgido ed ormai sempre
sensibilissimo, rimenarselo per 4 o 5 volte, tante cioè quante bastavano
in quel suo stato a condurlo ad un piccolo passo dal piacere, per poi
lasciare l'asta penzolare a mezz'aria per ricacciarsela tra i pantaloni.
Questa morbosità aveva iniziato a prendere il sopravvento nella mia
vita; non c'era attimo in cui non mi domandassi a che scopo si ostinava
ad abbandonarsi in una pratica tanto assurda la quale, mentre non gli
procurava piacere per il semplice fatto che non la portava mai a
termine, doveva anche procurargli non pochi problemi, per quello stato
di semierezione che doveva continuare a portarsi dietro.
Un giorno, per esempio, feci apposta in modo di sfiorargli delicatamente
ed apparentemente senza rendermene conto, il pacco che aveva tra le
gambe: mai immaginereste lo sgomento che provai, mentre sforzandomi di
fingere noncuranza assistetti alla violenta erezione che gli avevo
provocato.
Quel giorno stetti male: io avevo deliberatamente e di nascosto
provocato un'erezione a mio figlio. Piansi, e mi decisi a spiarlo con
ancora maggior zelo, per vedere fin dove arrivava in quella che aveva
tutta l'aria di essere il principio di una perversione.
Iniziai a spiarlo anche quando si recava al bagno per i suoi bisogni
fisiologici. Lo vedevo calarsi le brache, pisciare riuscendo a stento a
dirigere il getto nel water, quindi riallacciarsi i vestiti non senza
prima aver dato qualche botta al suo randello, giusto per farlo rizzare;
lo vedevo sedersi sulla tazza del cesso e stare così a volte anche per
più di un'ora, dopo aver espletato i suoi bisogni strettamente
fisiologici, continuando a rimenarsi il pisello, tassativamente senza
sborrare mai, con in mano magari uno di quei giornaletti con le donnine
spogliate di cui abbondano le edicole, o più raramente con qualche foto
manifestamente pornografica, che evitavo di sequestrargli per non farlo
insospettire.
Una volta addirittura si chiuse in bagno, e dopo aver tolto pantaloni e
slip, tira fuori un preservativo e se lo infila.
Incuriosita mi accosto più che posso al buco della serratura, speranzosa
che finalmente il piccolo si è deciso a "concludere", e che la trovata
del preservativo (dove lo avrà trovato? Noi non ne abbiamo in casa.)
serve solo per dare più solennità alla cosa, magari per misurare quanto
sperma ha prodotto nel periodo di castità.
Ebbene, niente di più sbagliato, anzi: il piccolo si esibisce in un
piccolo numero acrobatico; dopo essersi infilato il goldone, che gli
calza a pennello il cazzo duro, si poggia con i piedi sulla tazza del
cesso, col buco del culo diretto verso lo scolo ed inizia a spingere,
mentre con aria visibilmente soddisfatta e tocchi sapienti, titilla il
cazzo fino all'eccesso.
Mi sento svenire; le gambe improvvisamente mi vengono a mancare e faccio
appello a tutta la forza residua per sostenermi, costringendomi a
guardare, mio malgrado, lo stronzo scuro che mano a mano si fa largo tra
le chiappe del ragazzo, il quale sembra dosare magistralmente i colpi al
cazzo, quasi a voler evitare che una improvvisa contrazione dello
sfintere anale possa prematuramente tranciare a metà il capolavoro che
va partorendo.
Tutta l'operazione non dura che una trentina di secondi, compreso il
flop dello stronzo nella tazza del cesso, ma a me sembrò un'eternità, in
cui dovetti furiosamente lottare contro me stessa ed in special modo
contro la mia vagina che aveva iniziato a produrre copiosi umori.
Sentivo la troia che era in me che riaffiorava, prepotentemente decisa a
prendere di nuovo il sopravvento, mentre intanto il piccolo, esausto per
la posizione innaturale in cui si è costretto lungamente, rimette i
piedi a terra e si sfila il goldone col cazzo ancora in erezione.
Mi accorgo allora che ancora una volta non ha sborrato, mentre un fiotto
di sborra uterina mi fuoriesce dalla vagina, allagando le grandi labbra.
Si', è la troia che vuole prendere il sopravvento, ma io non ci sto:
devo avere i sensi lucidi, capire, vagliare ogni soluzione e capire cosa
sta succedendo a mio figlio. Non ci sto a lasciarmi trasportare dalla
perversione. Risoluta, mentre il ragazzo dirige il getto della doccia
sul glande tumido, quindi alle palle e poi al culo, per una accurata
pulizia (almeno questo.), io introduco una mano tra le cosce, percependo
distintamente il contatto del clitoride con le dita, raccolgo quindi con
la mano a coppa quanto più succo vaginale possibile e quella stessa
mano, che sembra quasi bagnata tanto di quel succo di cui è imbevuta, me
la passo per dietro e la porto al culo: un colpo secco, un dolore forte,
allucinante, che dura pochi istanti ma che sembra spaccarmi in due il
cervello, non urlo per penitenza, quando ormai tre delle quattro dita di
quella stessa mano che poco prima avevo strusciato sulla fica infuocata
mi penetrano nel retto, dall'indice all'anulare.
Il mio ragazzo si sta asciugando, ha il cazzo rivolto verso la porta,
ignaro del fatto che la sua mammina è a pochi passi da lui in ginocchio,
con tre dita infilate nel culo, unte di quegli stessi umori che lui
involontariamente ha provocato.
Osservo estasiata l'indugiare dell'asciugamani lungo le pieghe del
cazzo, delle palle, mentre quello che prima era un dolore lancinante,
pian piano assume connotati più tenui, fino ad affievolirsi tramutandosi
in una soffice nuvoletta di piacere; le gambe iniziano a tremare, non
riesco a tenere il corpo fermo. Dio, no, fa che non sia. no, noooo.
Gooodoo.
Sono venuta.
Il capo reclinato all'indietro, lascivamente distesa su di un fianco con
ancora le dita piantate nel culo, sono venuta. Non so fino a che punto
involontariamente, né quando esattamente la mia volontà ha ceduto, ma so
che sono venuta, e per giunta sono venuta di culo.
Ma non c'è tempo per i rimorsi, almeno non ora: il ragazzo avrà
sicuramente finito e si starà rivestendo. Tra poco uscirà e non deve
vedermi in questo stato.
Spingo forte e lentamente faccio uscire le mie dita dal culo; mi rimetto
in ordine e mi allontano, proprio un attimo prima che Piero apra la
porta; sia lodato Iddio: non si è accorto di nulla!

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