Fuori dal tempo di Dead

 

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Le stazioni sono sorprendenti. Quelle dei treni, s'intende. Un luogo
comune forse ma la realtà è nota a tutti, o almeno chi per una volta
si è affidato ad un treno. Già. Una discarica della società, limite
dell'emarginazione. La varietà del mondo seduta sulle panche ad
aspettare. Anime senza meta, peregrini della miseria. La stazione
annulla, elimina e ripartisce distanze, discriminazioni, e centimetri
di spessore del portafogli. Lo stronzo incravattato, il giovane
sognatore e l'orgoglio del suo vagabondare di lusso. La differenza
torna sulle rotaie, ognuno col suo vagone, la sua "classe" e i suoi
soldi. Tutti vanno, si muovono. Ognuno col suo bagaglio di cose,
quello che sta sulle spalle o nella 24ore foderata di pelle umana per
il businessman in doppiopetto. Mi lamento per i miei 12kg di
striminzita sopravvivenza. Forse servono solo a giustificare qualcosa.
I bagagli più gravosi sono altri, e non esistono depositi che se ne
facciano carico al posto tuo. Liberare una coscienza non è semplice
quanto alleggerire le spalle. Prederne atto è l'unica via per la
redenzione di se, dal marcio che alberga nella più impenetrabile
intimità. Viaggiare come esasperazione di una fuga. Una sera
qualunque, una notte qualunque in una stazione qualunque, o che forse
non lo sarebbe stata più per chi scrive. Su, in uno di quei paesi del
nord Europa, Danimarca.. Svezia fate un po' voi. Il clima era quello
però. Come pure l'emancipazione sessuale di quei luoghi.
Inconfondibile quell'attitudine al sesso, al piacere.. e a noi
cattolici castrati altro non rimane che sbavare dietro a quei corpi
slanciati, angeli del nord.. disinvolti ti sfiorano e ti superano con
quelle gambe vertiginose. Pagane dee dell'amore. Generose nelle forme
come nelle amorevoli attenzioni riservate agli stranieri.
Aspettavo un treno e solo un treno. Come la notte prima. Ingenuo e
inconsapevole stavo li ad aspettare. Lo zaino affianco e nient'altro
attorno. Sfilo ginsberg dalla tasca, m'avrebbe fatto compagnia. Ancora
mezz'ora. Poi un'altra notte. La fine di un giorno e l'inizio di un
altro, 600km più a nord. Qualcosa cigola e s'avvicina, e il cigolio
diventa forte. Prima fastidioso poi insopportabile tanto rendermi
difficile continuare a leggere. Lascio ginsberg e incrocio una
carrozzina con lo sguardo.. un bimbo dentro, presumo, perché non lo
vedo e neppure lo sento. Già, sta là dentro, protetto, felice, forse.
Arriva la madre, presunta almeno. Una mamma sorprendentemente
graziosa, una bellezza discreta. Piacevole scorgerne lentamente la
figura, ancora di più sarebbe richiudere Ginsberg nello zaino per
gettarsi tra le più libidinose fantasie. Ma tutto finisce non appena
la sagoma mi supera. Ginsberg riprende il suo discorso. Procede
ininterrotto per una decina di minuti. Assorto, dimentico di chi mi
passa davanti. Un alito di vento, mi distoglie, percepisco qualcosa.
Già, l'ho sempre detto io che Ginsberg non era poi quel gran poeta.
Qualcuno mi si siede affianco. Ora scivola sulla panca. Continuo a
leggere. Chiunque sia è ormai fastidiosamente vicino. Decido di non
voltarmi. Però. Un odore intenso ma dolcissimo, fragranza che m'
inebria prepotente. Ancora non mi rendevo conto che qualcuno era
intento a osservarmi, scandiva i solchi del viso con la curiosità di
chi non attende altro che la tua attenzione per incrociare il tuo
sguardo e vedere che effetto fa. Non resisto al disagio e mi volto.
Una smorfia, quella mia solita, tradisce l'imbarazzo. Mi sorride. La
smorfia mia è sempre la stessa. La coerenza è proprio la dote degli
idioti. Occhi sgranati i suoi, accenna qualcosa ma nella sua lingua.
Mi risparmio lo sforzo di capire e intanto la sua mano sfiora già la
mia. Ginsberg si schianta a terra dall'emozione. Continuiamo a
scambiarci reciprocamente i nostri pensieri, non smettiamo di
guardarci negli occhi. E quella mano comincia a stringere la mia.
Prendo atto di quanto sia delicatamente spudorata, per avvicinarsi ad
uno sconosciuto e stringergli la mano in quel modo.. tiepida e
rassicurante. E' la mamma di prima, e adesso è qua. Socchiude gli
occhi e si fa ancora più vicina. Sto lì fermo, impassibile. Già, un
idiota. Riesco solo a percepire quella sua strana espressione, ambigua
come quella di un'adolescente maliziosa, decisa e sicura come quelle
piccole rughe che ne ricalcano il sorriso. Sfiora il collo con le
labbra poi si scosta, si alza e dice qualcosa. Non capisco. E non
c'era proprio niente da capire. Capisco solo che ha dei bei fianchi,
proporzionati, due tette timide nascoste sotto ad una maglietta
qualunque. Finalmente riesco a riassumerla in una figura intera. E'
snella e brilla di una strana luce, di quella pelle bianca che
contrasta con dei capelli neri quasi come i miei, raccolti e
piacevolmente disordinati. Occhi meravigliosamente belli, densi di
emozione, mi provocano una piacevole soggezione, mi obbligano alla
resa. Verdi, azzurri, che ne so. In quel momento erano solo un'altra
stupenda scoperta, l'ennesima rivelazione del bello in una squallida
stazione. Dice qualcosa, continua a ripetere e mi strattona. Comprendo
che è tempo di svegliarsi e darsi una mossa. Ginsberg è disteso a
terra e assiste inerte alla scena. Potesse chissà cosa farebbe, lui.
Abbandono lo zaino, lei aveva già parcheggiato la carrozzina dalla
parte opposta. Forse era lo stesso per entrambi. Ognuno porta con se
quanto di più caro possiede. Ognuno prova a tenere stretta la propria
vita. La seguo, è lei ad aver iniziato il gioco, è le che conduce ora
e ora chissà dove mi porta. In un bagno, penso. Si volta e mi sorride,
spigliata ma con garbo. Non si prende gioco di me, probabilmente si
compiace solamente della mia timidezza. Mi rimetto alla sua volontà.
Non potrei fare altrimenti. Anche perché non sarei capace di fare
altro. Fatico a dare un senso al tutto quando forse nulla non avrebbe
mai potuto a senso in quei momenti. Il bagno, a prima vista, è la
migliore conferma delle mie intuizioni. Fa un po' schifo si, ma
d'altra parte ci si dovrebbe imporre di lasciare qualunque pretesa
all'entrata di ogni stazione. Ci ha già pensato lei, a farmi
dimenticare il resto. Mi trascina dentro, le labbra che si scontrano,
dimentico di reagire. Mi tiene stretto a sé, le mani sue sul mio culo
e ricambio il favore. La maternità le ha regalato un gran bel culo
dopo il bimbo. Ricordo chi sono. Cosa devo fare. La stringo ai
fianchi, la sbatto sulla parete. La violenza è la stessa del bacio di
prima. Per un attimo si scosta, sorride sincera e cede al piacere
senza reazione alcuna. Una maglietta, la sua, sta già a terra. Poco
dopo sarà la mia a raggiungerla e poi tutto il resto. La sola idea di
un fugace amplesso mi aveva già irrigidito nell'intimo e quando tira
giù gli slip non le rimane altro che affogarsi volontariamente con
quanto trova davanti. E' semplicemente assurdo, ma per quanto
incredibile è semplicemente vero. Non sembra voler perdere molto
tempo. Mi fa cenno di girarmi e appoggiarmi sul water mentre lei si
siede sopra le mie gambe e fa per accogliermi. Niente di
particolarmente comodo ma contribuisce all'atmosfera. Si concede tutta
con brutale violenza. Ogni colpo è uno scossone che mina il precario
equilibrio che ci tiene uniti. E' irrequieta, mi stringe a sé, non mi
lascia tregua. Mi avvolge, il suo profumo che s'insinua dentro mentre
soffoca il suo piacere in un silenzio irreale. Sento il suo tepore,
sento l'incoscienza di un momento fuori dal tempo, le sue più
terribili paure, milioni di vite in un secondo solo. Fuori dal mondo,
fuori da qualsiasi altro luogo solo noi due. E il più intimo degli
abbracci a tenerci uniti.
Abbiamo appena consumato la nostra disperazione in un cesso e
rimaniamo l'uno dentro l'altro. Pochi secondi in cui le certezze
dell'uno sono i pensieri dell'altro. Condividiamo la stessa
solitudine, ci abbandoniamo all'illusione di essere un po' meno soli.
Non avrei mai saputo nulla di lei e neppure m'interessava. Era giusto
così.
Ci ricomponiamo. L'ultimo sguardo, un ultimo dolce regalo. La porta
che sbatte. Il sipario che cala sulla follia di una notte. Tornava
dalla sua vita. La lascio andare, non senza ripensamenti ma tant'è che
mi lascia chiuso dentro al quel cesso claustofobico assieme ai miei
dubbi. Poco dopo sarei tornato anch'io, alla mia vita. Ginsberg non
s'era mosso d'un centimetro, stava ancora con lo zainone. Aveva avuto
la sua parte anche lui quella sera. Il mio treno in ritardo di 10
minuti. Raccolgo l'ebreo e lo ficco dentro allo zaino, avrà anche lui
qualcosa da raccontare, un giorno.

 

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By Dead