La suocera     di Zicky

 

 

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Guardando il calendario si accorse che mancava un mese esatto al primo
anniversario del suo matrimonio. Non è che la ricorrenza avesse per lei
particolare significato. Ma era sempre stata così. Le piaceva fissare delle
date, rispetto alle quali riempire un'attesa.  Silvia aveva 22 anni. La
scelta del marito e le successive nozze erano state più o meno combinate dai
suoi genitori e dalla suocera. Lui si chiamava Filippo, 27 anni e una laurea
in giurisprudenza appesa in salotto. E non era proprio quello che si dice un
uomo affascinante.
Silvia era stata tenuta più o meno sotto chiave fino a pochi mesi prima del
matrimonio. I suoi genitori le volevano un gran bene, almeno così
sostenevano, e volevano a tutti i costi preservarla dalle insidie del mondo.
Lei era una ragazza tranquilla ed aveva accettato l'affettuosa prigione in
cui l'avevano rinchiusa. A diciotto anni vestiva ancora come esigevano le
suore presso cui frequentava il liceo. Era piuttosto carina, anche se
quell'aria dimessa che le imponevano mortificava la sua bellezza. Non era
appariscente, la sua era di quelle bellezze raffinate che non colpiscono, ma
vanno capite, interpretate.  Come quella di certe opere d'arte. Aveva un
viso di una luminosità opalescente. Sembrava uscita dalla tela di un qualche
preraffaellita. Aveva un aspetto così fragile e delicato come se fosse fatta
di vetro.
Un anno prima del matrimonio aveva conosciuto Filippo, che era il figlio di
una cara amica di famiglia. Era rimasto orfano di padre in tenera età. Anche
lui aveva una madre all'antica e inflessibile, magistrato presso il
tribunale dei minori. I suoi dicevano che era una santa donna: aveva
allevato quel bambino da sola, come meglio non si poteva e non finivano mai
di decantare virtù e meriti di madre e figlio.
Tra i due non era nato un grande amore, almeno non da parte di lei. Quando
però i tre genitori proposero le nozze. Entrambi finirono col dire di sì.
Lui anche con un certo entusiasmo. Lei un po' perchè era stata sempre
abituata a dire di sì e un po' perchè pensò che il matrimonio avrebbe
significato la liberazione da venti anni di amorevole schiavitù.
Ma una cosa la poverina non aveva calcolato: che Filippo e la sua amata
mamma abitavano in una grande e bella casa. E la soluzione più semplice,
parve subito a tutti, era di andare ad abitare lì, almeno fino a che il
maritino non si fosse affermato come avvocato e avessero potuto comprare una
casa tutta loro. Silvia passò così dalla tutela dei genitori a quella della
suocera.
La signora Vittoria era una donna strana. Questo aggettivo veniva però alla
mente solo quando la conoscenza si era un po' approfondita. Al primo impatto
era una donna di sicuro fascino. Severa, autoritaria, metteva soggezione. Ma
era anche raffinata, elegante e soprattutto donna di grande cultura. Capace
di gentilezze squisite, ma anche di usare il pugno di ferro. Il suo aspetto
fisico era lo specchio della sua personalità. Alta, dal portamento severo,
austera nel vestire, come il suo ruolo le imponeva. Aveva un viso dai
lineamenti duri. Portava discretamemnte i suoi 47 anni.
Silvia subiva il fascino di quella personalità molto forte. A differenza dei
suoi, bigotti e basta, la suocera era intelligente e interessante. Non
esultò all'idea di andare a vivere con lei, ma neppure le dispiacque più di
tanto. Ancora non la conosceva bene. La conobbe non appena rientrò dal
viaggio di nozze. In privato donna Vittoria rivelò una irresistibile
tendenza al dispotismo. Dopo poche settimane Silvia capì che in quella casa
avrebbe dovuto solo ubbidire. La suocera era padrona di casa a tutti gli
effetti: decideva, disponeva, ordinava, sapeva anche essere gentile e
premurosa, ma guai a contrariarla. E suo marito? Succube della madre. Anche
di questo Silvia si accorse quasi subito.
In quella convivenza c'erano anche aspetti positivi. Silvia era tenuta nella
bambagia. Viveva in una casa bella e grande, anche se l'arredamento non le
piaceva. Perfettamente in tono con la padrona di casa: in una parola un po'
tetro. Mobili antichi, massicci e cupi; tappeti e tendaggi pesanti;
soprammobili e ninnoli ovunque; c'era anche la statua di legno di una specie
di saraceno. Comunque non lavorava, il tenore di vita era piuttosto alto,
suocera e marito erano buona parte della giornata fuori di casa e lei quindi
godeva di notevole libertà. Ai lavori domestici più gravosi, compreso
cucinare, pensava una colf. Tutto ciò rendeva la situazione abbastanza
accettabile. Anche se a volte quella donna era davvero insopportabile. Ma
Silvia non l'aveva ancora conosciuta fino in fondo. Le sorprese cominciarono
una sera.
Avevano da poco terminato di cenare. Donna Vittoria chiese a Silvia se si
era ricordata di pagare l'assicurazione. Rispose tranquillamente che se ne
era dimenticata. La suocera cambiò di colpo: "Quante volte te l'ho ripetuto
questa mattina di ricordarti di pagare l'assicurazione, ma con te è inutile,
debbono pensare a tutto gli altri. - disse con voce apparentemente calma, ma
con un'espressione del volto a dir poco furiosa - Non si può andare avanti
così. La tua distrazione non è più tollerabile. Se dirti le cose non basta,
bisognerà fare qualcosa d'altro". Rimase alcuni secondi con l'aria di una
che sta meditando sulla gravosa decisione da prendere, mentre Silvia se ne
stava zitta, poi ordinò: "Filippo tienila stretta".
"Silvia mi dispiace, ma mamma ha ragione" disse lui con aria fintamente
contrita. Lei non credeva alle sue orecchie, ma non ebbe neppure il tempo di
rendersi conto di quanto accadeva, che lui l'afferrò per le spalle e la
chiuse in una morsa che le bloccò anche il respiro. Filippo era un ragazzone
grande e grosso e lei era così esile...Donna Vittoria non perse tempo, le
sollevò la gonna e lasciò partire una sculacciata sul sedere. Poi un'altra
più forte, poi una terza. "Se una punizione è giusta - disse mentre colpiva,
come se stesse emettendo una sentenza in tribunale - è un dovere
 infliggerla".
Silvia era talmente stravolta, che non riuscì neppure a parlare. Cercò per
qualche secondo le parole, ma non le trovò. Allora scappò in camera sua.
Dopo qualche minuto la raggiunse Filippo. Lei era sul letto in lacrime. Lui
l'abbracciò. Lei lo spinse via. "Silvia, cerca di capire, sai come è fatta
mamma, è un po' severa ma in fondo ti vuole un gran bene. Lei è così un po'
all'antica...pensa ancora che qualche bello schiaffo quando ci vuole, ci
vuole...Tutte le mamme danno qualche sculaccione".
Silvia lo guardò con aria allucinata, ma lui continuò: "Sai, anche io ne ho
presi tanti. E credo che siano stati giusti. E che mano pesante ha la
mamma...però lei lo fa solo per il nostro bene...dopo avermi sculacciato, mi
dava una pomata per farmi passare il bruciore...e mi massaggiava e
accarezzava il sedere sino a che stavo bene...vedi, non è cattiva. Anzi
dovresti essere contenta, perchè questa è la prova che ti considera come una
figlia". Silvia prima credette di sognare, ma quando sentì le ultime parole
di suo marito cominciò a capire qualcosa di più sullo strano rapporto tra
madre e figlio. Aveva già notato che vi era qualcosa di morboso, ora ne
aveva la conferma. E ora quella donna stava tentando di sottomettere anche
lei. Rimase zitta sul letto. Era talmente confusa che non riuscì a dire
nemmeno una delle centinaia di cose che avrebbe voluto dire. Ma poi lui, suo
marito, le avrebbe capite o sarebbe stato fiato sprecato?
L'indomani pareva che non fosse successo nulla. La suocera era tutta
sorrisi. Le chiese se aveva dormito bene e prima di uscire le fece anche una
mezza carezza, cosa che non aveva mai fatto. Silvia era sempre più confusa.
A volte capita che ad uno sorga il dubbio che, anche le cose che appaiono
più lampanti e abnormi, in realtà siano solo il frutto di una esagerata
sensibilità, di un'interpretazione sbagliata. Insomma Silvia non sapeva se
doveva metterci una pietra sopra, come fosse stato un banale incidente o no.
Nell'attesa di prendere una decisione passarono i giorni e alla fine le cose
in casa tornarono alla normalità. Arrivò il giorno dell'anniversario del
loro matrimonio. La sorpresa di Silvia fu grande quando aprì il regalo che
la mamma del suo maritino le aveva fatto. Nel pacchetto c'era una bella
camicia da notte di seta rosa. E fin qui tutto normale, ma nel pacchetto
c'era anche un completino di pizzo nero: reggiseno, un paio di mutandine
microscopiche, reggicalze e un paio di calze, anch'esse nere e con il bordo
tutto fiorito di ricami. Silvia rimase un attimo perplessa. "Non ti piace?"
Chiese la suocera con una voce che sembrava già un rimprovero. "No.... è
bellissimo...è che io non ho mai portato questa roba". "Beh, non sei più una
bimba - rispose con un sorriso vagamente beffardo - te l'ho regalato, perchè
so che a Filippo piacciono queste cose. E poi è ora che tu sia un po' più
femminile".
"Sì, sì...forse ha ragione". Disse Silvia guardando Filippo in cerca di una
sua reazione, ma il marito assisteva alla scena con un sorrisino stampato
sulla faccia. "Forse sono stata un po' scortese" pensò e si affrettò ad
aggiungere: "Comunque è molto bello, davvero...la ringrazia molto, è stata
proprio gentile...è un bellissimo regalo". La suocera la guardò con
quell'aria severa che non gli si staccava mai di dosso. Forse stava per
dirle qualche cosa, ma tacque. "Potresti indossarlo questa sera - intervenne
finalmente Filippo - così mostrerai alla mamma di averlo gradito". Silvia
ebbe di nuovo nettissima la sensazione che quei due recitassero una strana
parte, quasi ci fosse una inspiegabile tresca. Davvero inspiegabile, anzi
incredibile. Era la seconda volta che quella donna, la quintessenza della
moralità, la lasciava stupefatta...e non sarebbe stata l'ultima.
La sera uscirono a cena loro due, ma dovettero rientrare presto perchè la
signora Vittoria non si sentiva bene e Filippo non voleva lasciarla sola
troppo tempo. La trovarono sul divano che guardava la televisione. Come
entrarono Silvia capì che tirava una brutta aria. La suocera cominciò a
brontolare e a rimproverarla per una serie di futilissimi motivi. Poi le
chiese di portarle un bicchiere di latte. Silvia arrivò col bicchiere, ma
con quelle scarpe coi tacchi, a cui non era molto abituata, inciampò in uno
dei numerosi tappeti che foderavano la casa e il bicchiere le scivolò via.
Il latte disegnò nell'aria un grande fiore bianco e si spiattellò sul
tappeto.
Donna Vittoria si alzò in piedi di scatto e la incenerì con lo sguardo. Poi
cominciò una sequela di "Sei sempre la solita", "Così non si può andare
avanti" e via di seguito. Non valsero a placarla le scuse di Silvia. "Vedo
che hai già dimenticato la lezione dell'altra volta" disse con quel tono da
giudice dell'inquisizione che le veniva così bene. "E allora occorrerà
rinfrescarti la memoria... Filippo tienila stretta". Silvia cercò di
divincolarsi: "Vi prego lasciatemi stare..starò più attenta...ve lo giuro".
Ma quelle parole invece di impietosire la suocera sembravano renderla ancora
più decisa e ormai più che il suono della ribellione avevano quello della
rassegnazione. Il marito l'afferrò: "Stai buona Silvietta - le sussurrò con
voce quasi mielosa - non ti succederà niente". "No, no lasciatemi - gridò
lei - non potete...non..".
"Toglile la gonna - disse la suocera con voce imperiosa - se si ribella sarò
costretta a rincarare la dose". Ma Silvia tentò un'ultima disperata
resistenza e Filippo non riusciva a sfilarle la gonna. Allora intervenne la
suocera. "Faccio io, tu tienila". Sentì le sue mani forti slacciarle la
cerniera e poi calarle la sottana. "Non ti sei nemmeno messa il completino
di mamma" disse stizzito Filippo. Non ebbe il tempo di reagire che sentì
quelle mani spietate afferargli i collant e tirarli giù con violenza. Le
mutande le erano scivolate in mezzo alle natiche e nella stanza semibuia
brillò il suo sedere, tondo come una mela e bianco come l'alabastro. Non si
sarebbe detto che, esile com'era, avesse un sedere così paffuto.
Filippo si sedette sul divano e stese Silvia sulle ginocchia,  proprio come
si fa coi bimbi piccoli, bloccandola in quella posizione. "Questa volta le
mani non bastano - sentenziò donna Vittoria con aria professionale - ci
vuole questa" ed afferrò una cintura da pantaloni, chissà forse del defunto
marito. Silvia continuava a gemere sommessamente, ma ormai impotente.
Filippo le accarezzava i capelli e le sussurrava parole di conforto:
"Vedrai, in fondo non è poi così male" continuava a ripeterle. Silvia
stringeva gli occhi in attesa del primo colpo che tardava ad arrivare.
La vecchia si rigirava fra le mani la cintura e rimirava con aria
concupiscente quelle carni candide e tenere su cui fra poco avrebbe
affondato i colpi. Indugiava apposta per godersi fino in fondo il magnifico
momento che separa l'oggetto del desiderio dal possesso di quell'oggetto.
Anche se nel suo caso si trattava di un ben strano possesso. Ma anche
infliggere punizioni, per chi ha ridotto la propria vita a una perversa
missione educatrice, può rappresentare il massimo del piacere, intellettuale
e fisico. Del resto chi saprebbe indicare dove comincia l'uno e dove finisce
l'altro?
E mentre noi stiamo qui a filosofeggiare, la povera Silvia se ne stava con
le chiappe indifese all'aria, tese e serrate come il portone di una chiesa
prima dell'assalto dei sacrileghi. Finalmente un leggero sibilo tagliò
l'aria. La pelle di bambagia si rattrapì e i muscoli del suo sedere si
contrassero ancora di più. Ma il colpo non era stato forte. Le aveva
procurato appenna un leggero pizzicore. Seguirono altri colpi abbastanza
lievi. Silvia tirò il fiato e rilassò i muscoli. "Mia suocera non è poi così
cattiva - pensò - voleva solo spaventarmi". Ma la cinghia continuava a
fendere l'aria e ogni volta che si appoggiava sulla sua carne lo faceva con
più forza.
"Silvia io lo faccio per il tuo bene - diceva la suocera lasciando cadere
quell'improvvisata frusta sul quel povero bocciolo di carne rosa - guai a
quei genitori che non sanno usare la forza quando è necessaria". E giù
un'altra frustata più forte. "Un giorno me ne sarai grata, nella vita
bisogna imparare anche a soffrire. Dal dolore si esce fortificati nello
spirito e nel fisico". Sentenziava e colpiva. E colpiva sempre più forte. Ad
ogni colpo il sedere di Silvia si rinserrava in uno spasmo disperato, nel
tentativo di diventare sempre più duro e chiudersi in un impossibile guscio.
La cintura squarciava l'aria e si abbatteva su quella carne che, da bianca
era divenuta rosa e ora stava assumendo una tinta rosseggiante. Silvia, che
sino a quel momento era riuscita, mordendosi le labbra, a non emettere
neppure un lamento non ce la fece più. Lasciò andare i muscoli del sedere e
le sue carni si offrirono indifese e molli alle sferzate. Cominciò a gemere
e a implorare che la smettessero. La cosa non intenerì affatto la suocera
crudele, anzì sembrò accendere ulteriormente la sua furia. Colpi ancora più
violenti si abbatterono su quel fragile bocciolo che ormai si era dischiuso,
come sotto i raggi ardenti del sole, in una grande rosa rosso sangue.
"Promettimi che starai più attenta, promettimi che non farai più tanti
disastri...che sarai una brava bimba, che non fari più arrabbiare la tua
suocerina". Donna Vittoria pronunciava queste frasi in preda a
un'irrefrenabile ebbrezza. Ansimava e colpiva in un evidente stato di
eccitazione, colta da un fremito che le impastava la voce e faceva uscire
parole sconnesse dalle sue labbra.
Silvia rimase alcuni minuti abbandonata con il sedere infuocato e paonazzo
che anelava anche al più piccolo refolo d'aria che potesse ristorarlo. La
suocera si ricompose, si raccolse le ciocche di capelli che erano sfuggite
all'impeccabile acconciatura e si asciugò le gocce di sudore che le
imperlavano la fronte e la gola. Silvia la guardava indecisa su quale
sentimento provare: odio, disgusto, vergogna, paura, desiderio di vendetta.
Forse un po' di tutto, ma forse anche qualcosa d'altro, qualcosa di
indefinibile. Si chiuse nella sua camera e passò un bel po' di tempo col
sedere a mollo nel bidet. Tentò di infilarsi le mutande, ma le facevano
troppo male. Andò a letto senza.
Ma non riusciva a prendere sonno. Si rigirava nel letto tormentata da incubi
a occhi aperti e ogni volta che sfiorava col suo culetto gonfio il lenzuolo
sentiva un grande dolore. Ma non riusciva a stare ferma. E ad ogni movimento
il dolore le partiva dal sedere per risalire tutto il corpo. Le bruciava
tutto, ma continuava ad agitarsi. A muoversi come in una danza di
autotortura, in preda ad una smania inspiegabile. Quasi senza accorgersene
si era messa in schiena e con le ginocchia sollevate si massaggiava il
sedere sul lenzuolo ruvido. Provava uno strano dolore dal quale non riusciva
a separarsi. Più il bruciore le si conficcava nelle carni come mille aghi
roventi, più insisteva a sfregarsi. Non capiva assolutamente cosa le stesse
succedendo. Sapeva solo che non riusciva a cessare quella danza dolente e
piacevolissima. Ogni volta che premeva quella rosa scarlatta, che ormai
aveva al posto del sedere, sentiva come un brivido infuocato e poi gelido
che le risaliva la schiena, le attraversava la testa e ridiscendeva sino in
mezzo alle sue gambe. Accavallò le cosce e le strinse forte. Non aveva
assolutamente il coraggio di farlo, ma doveva pur verificare se stava
sognando o no. Se era già in pieno delirio da febbre o invece le stava
accadendo una cosa stranissima e mai conosciuta prima. Si decise. Insinuò un
dito tra le cosce e si toccò la figa. Era allagata, come non le era mai
capitato di sentirla. Ritrasse il dito quasi vergognandosi, anzi a dire il
vero un po' spaventata. Come poteva tanta sofferenza averla ridotta in
quello stato? Poi non seppe resistere, ve lo immerse di nuovo e riprese a
strusciare il culo martoriato. Pochi secondi e il dolore si sciolse,
sprofondò come in un gorgo sublime dentro la sua vagina e ne riemerse
sottoforma di un piacere intenso, aspro, inimmaginabile.
Che cosa avrebbe dovuto fare? Andarsene di casa? Denunciare suocera e
marito? Metterle del veleno nel piatto? Scartò subito l'ultima ipotesi, non
ne sarebbe mai stata capace. Scartò anche la denuncia, figurarsi se qualcuno
avrebbe mai creduto alle sue accuse contro lo stimatissimo e inflessibile
giudice Vittoria Massado. Non le rimaneva che fuggire. Ma la fuga è qualcosa
che non s'improvvisa, s'impara da piccoli. Non è cosa facile fuggire e
Silvia aveva sempre respinto quell'istinto, sino a sradicarlo da sè. E ora?
Si sarebbe alzata, sarebbe scesa a far colazione e avrebbe deciso che fare.
Sapendo già che forse non avrebbe preso nessuna decisione.
Anche perchè nella sua mente, non meno febbricitante del suo didietro, si
agitavano forze contrastanti. Nebbiose e sfuggenti per lei, ma in realtà
ormai chiarissime per chiunque. Vediamo di esporle schematicamente.
Tralasciamo le ragioni per dare un taglio netto a quella situazione, perchè
sufficientemente evidenti e passiamo a quelle che spingevano ad accettare
che il fato compisse il suo lavoro. In primo luogo andavano messi sulla
bilancia i pro e i contro di quel matrimonio: da un lato, è vero, c'erano
stati quei due insopportabili affronti, ma dall'altro c'era un menage
nient'affatto insoddisfacente. Felice Silvia non era, ma in quella casa si
sentiva protetta, sicura e in fondo abbastanza libera. In secondo luogo tra
lei e la suocera era già scattata quella sindrome d'odio-amore che lega
spesso il carnefice e la sua vittima. Sicuramente odiava quella donna, ma
sicuramente ne era anche affascinata. La temeva, ma ne era attratta, come
spesso attraggono irresistibilmente le tenebre, quando ad attraversarle sono
lampi nefandi.  Era stregata da quella personalità diabolica a tal punto da
vederla in alcuni momenti bellissima. Una specie di angelo del male che la
torturava, ma da cui forse un giorno avrebbe attinto qualcosa dalla sua
forza dominatrice. E infine c'era quella strana appendice che le scudisciate
avevano avuto tra le lenzuola del suo letto. Le tornarono alla mente le
parole del marito: "Vedrai, non è poi male come sembra". E le parvero ora
più inquietanti che mai.
In casa, come già la volta precedente, nessuno fece il minimo cenno a quanto
era successo la sera dell'anniversario. Tutto era tornato come prima, solo
donna Vittoria, nei giorni successivi, si mostrò particolarmente affettuosa
con entrambi. Ma Silvia non si dava pace nel suo tentativo di andare a fondo
di quella questione. La questione dell'appendice tra le lenzuola, s'intende.

L'arrosto alle prugne che Antonia, la domestica, aveva preparato era davvero
eccellente. Ne mangiarono tutti e tre un bel po'. Donna Vittoria, quando si
trattava di godere dei piaceri della tavola, metteva da parte la sua
austerità, soprattutto se ad accompagnare l'arrosto era dell'ottimo
Gattinara. "Silvia per favore mi versi un po' di vino?". A tavola amava
farsi servire. Silvia prese la bottiglia e l'avvicinò al calice di pesante
cristallo sfaccettato. Anche le stoviglie erano di quel gusto un po' vecchio
castello, che piaceva tanto a donna Vittoria. Appoggiò il collo della
bottiglia sul bordo del bicchiere e guardò negli occhi la suocera, la fissò
per alcuni secondi, le era così vicina che sentiva l'odore del vino che
emanava il suo alito.
Versò il vino. Aveva le mani sudate, ma la colpa non fu del sudore. Quando
il bicchiere fu quasi pieno gli diede un piccolo colpo con la bottiglia e lo
rovesciò. Il lino bianco della tovaglia divenne color sangue. Continuarono a
fissarsi ancora per qualche secondo. Sfida e incredulità, complicità e ansia
si specchiarono nei loro sguardi. "Che disastro che ho combinato, mi
scusi...ora asciugo....non so proprio come ho fatto".
Filippo la guardava stupefatto. Un sottilissimo sorriso increspò le labbra
di donna Vittoria, come una lama di luce sinistra. Si alzò in piedi, si
scrollò con calma qualche briciola di pane dalla gonna. Si passò il
tovagliolo sulla labbra. Tirò un lungo e gustoso sospiro che le gonfiò il
petto imponente. "Lo sai quello che ti aspetta" disse con voce calda, quasi
affettuosa. "No, no, non l'ho fatto apposta..". "E invece penso proprio che
tu abbia bisogno di una nuova lezione".
"Silvia, mamma ha ragione- interevenne Filippo - guarda come hai ridotto
quella tovaglia. Lo sai che era un suo regalo di nozze?". "Avanti Silvia -
continuò la suocera - non fare storie. Se non fai resistenza sarà tutto più
semplice". E a quattro mani iniziarono a spogliarla. "No, vi prego,
lasciatemi stare. Vi giuro che la prossima volta starò più attenta"
continuava ad implorare Silvia, ma anzichè dimenarsi e scalciare, come
l'altra volta, sembrava quasi assecondare l'opera del marito e della
suocera. Questa volta non le tolsero solo la gonna, ma anche la camicetta.
Silvia rimase in piedi appoggiata alla tavola con addosso solo il completino
di pizzo nero che le aveva regalato la suocera. Filippo e la sua mammina
rimasero per un alcuni secondi bloccati e senza parole. La loro preda era
ormai nella tela, ma non ci era caduta, ci si era avvolta con innocente
perversione. E ad aumentare la sorpresa era l'aspetto di Silvia. La
crisalide non c'era più, ora avevano davanti agli occhi la farfalla.
Sembrava impossibile, ma quello splendido corpo infiocchettato di provocante
pizzo nero era uscito dal bozzolo della timida e brava ragazzina.
Silvia cercava pudicamente di coprirsi con le braccia. "Questa volta sarà
meglio legarla". Le parole della suocera ruppero il silenzio come
un'unghiata e dai suoi occhi sprizzavano lampi luciferini. La farfalla si
era lasciata prendere nella tela, ma il gioco era appena iniziato e il ragno
non voleva cambiarne le regole, così continuò a tessere la sua tela
ignorando la resa.
Filippo come al solito eseguì diligentemente l'ordine. Prese da un cassetto
due pezzi di corda grossa e bianca, sembrava di seta. Gliela legò ai polsi.
Silvia ebbe paura e tentò di divincolarsi. Ma ormai era tardi per uscire dal
gioco. Le bloccarono i polsi ai due braccioli di un divano stile Luigi XV,
con le braccia aperte come in croce, e la fecero inginocchiare. Filippo si
sedette sul divano e le fece appoggiare la testa sulle sue ginocchia. Ora il
suo sedere si protendeva nell'aria, come una magnifica torta offerta su un
vassoio di pizzo nero. Donna Vittoria rimase un po' a contemplare
quell'opera d'arte. Tale era l'incantesimo di quelle linee curve che si
congiungevano e si separavano a disegnare globi di un armonia perfetta, che
solo le cupole delle chiese riescono ad eguagliare. Quell'incanto ora era lì
alla sua mercè, avrebbe potuto distruggerlo e ricomporlo ancora più sublime
in una fusione di dolore e piacere.
Donna Vittoria frugò in un cassetto, mentre Silvia tendeva ogni fibra del
suo corpo in attesa che il suo destino si compisse. La suocera finalmente si
avvicinò picchiettandosi sul palmo della mano una specie di spatola lunga in
cuoio, con la parte terminale tagliate in strisce più sottili. Un attrezzo
che non aveva mai visto e, nella sua perdurante ingenuità, non riusciva a
capire a quale attività domestica potesse essere normalmente destinato. Non
si rendeva conto che, quello che si accingeva a sperimentare, era l'unico
uso per il quale quel coso era stato scientificamente progettato e
acquistato. La 'vecchia' lasciò partire un paio di colpi sulle cosce, come
per assaggiare l'efficacia del nuovo strumento. Poi un centimetro alla voltà
cominciò a risalire verso quel mappamondo carnoso. E ad ogni centimetro la
forza dei colpi aumentava fino a che una staffilata le si abbattè in pieno
sul sedere con uno schiocco, che sembravano i piatti di un orchestra. Silvia
emise un gemito rauco e si morse le labbra. La suocera continuava a colpire
con calma e fredda determinazione.
"Chiedi scusa per quello che hai fatto e prometti che non lo farai mai più.
Altrimenti continuo".
"Non ho fatto nulla di male...". Altre due frustate lasciarono la loro
impronta su quelle tenere carni.
"Chiedi scusa se vuoi che smetta".
"Ahahah come mi brucia...vi prego smettete"
"Se vuoi che smetta devi chiedere scusa" e giù altri due colpi
"Tanto quella tovaglia era anche brutta..."
La suocera lasciò partire un colpo proprio in mezzo al solco di quella
conchiglia di corallo. E poi un altro. Ormai era diventata tutta rossa in
volto, la camicetta le si era un po' sbottonata e a ogni colpo il seno le
sobbalzava mettendo in mostra un invidiabile turgore nonostante l'età.
Silvia pian piano era scivolata con la faccia lungo le gambe del marito.
Mentre il suo povero sedere prendeva fuoco sentì sotto i pantaloni di
Filippo qualcosa che si gonfiava e induriva.
"Brutto porco" pensò, ma poi subito ripensò che non era il caso di dar
lezioni di moralità. "Ti fa male eh, ma basta che tu chieda scusa e io
smetterò...."
"Si mi fa tanto male"
"Dove ti fa male...qui" e lasciò partire una scudisciata.
"Sì, lì...ma anche più in giù"
"Dove...qui" e giù un altro colpo
"Sì, proprio lì, ma anche più in basso"
La suocera ansimava ed emetteva gridolini d'eccitazione. Sembrava che
anzichè frustare, qualcuno la stesse sottoponendo ad insinuanti attenzioni.
Insomma stava palesemente godendo. Come totalmente arrapato era il bravo
Filippo, che con le mani premeva la testa della moglie contro i propri
pantaloni.
"Ti fa male anche qui?" E il frustino colpì ancora.
"Aahh sì, come mi brucia lì". Silvia divaricò le ginocchia ed inarcò il più
possibile la schiena, così da porgere alla suocera la sua figa dischiusa. La
suocera non se lo fece ripetere e affondò l'attrezzo fra quelle labbra
madide di umori. Silvià urlò, ma non ritrasse quel dono offerto, come su un
altare sacrificale, alla spietata punizione della suocera. "Sì, lì mi brucia
tantissimo...sì, lì, lì...ancora". Donna Vittoria, sbavando di delirante
lussuria, le aprì le natiche con una mano e colpì ancora. E Silvia si
contraeva e si apriva ad ogni sferzata. Il supplizio stava ormai dispiegando
le ali dell'estasi. Finchè fu scossa da convulsioni, singhiozzò "scusa" e si
accasciò sfinita.
Rimasero tutte e tre abbandonati e ansimanti per un bel po'. Poi Filippo
disse: "Questa volta Silvia è stata davvero brava, merita un premio, vero
mamma?"
"Sì hai ragione" rispose la suocera e andò in un'altra stanza. Ritornò con
un flacone in mano. Si inginocchiò dietro Silvia, che era rimasta immobile
dondolando leggermente nell'aria il suo bel culetto martoriato, e versata un
po' di crema nel palmo della mano prese a massaggiarla. Lo faceva con tale
delicatezza, che pareva impossibile fosse la stessa persona che poco prima
menava fendenti. La crema era fresca e le sue mani sfioravano con dolcezza
la pelle dolente. Era una sensazione stupenda, come quando dopo mesi di
siccità, sulla terra spaccata dal sole, scende una leggera pioggerellina.
Le mani della suocera senza alcun imbarazzo, l'accarezzavano amorevolmente,
spingendosi pian piano all'interno del solco infuocato. Silvia ad occhi
chiusi si godeva quel delizioso massaggio, quando sentì contro le sue labbra
qualcosa di caldo e umidiccio. Aprì gli occhi e vidi il cazzo del marito
ergersi davanti al suo naso, come un grande biberon. Chissà poi perchè le
fece quell'effetto. Lì sotto gli occhi della madre-suocera. Ma che cazzo
stava succedendo. Pensò di alzarsi, ma il pensiero la sfiorò solo per un
attimo. Ormai c'era poco da vergognarsi e da fare la schifiltosa. Richiuse
gli occhi e dischiuse le labbra. Prese il biberon in bocca e iniziò a
succhiare, mentre le mani della suocera non si fermavano. La crema emanava
uno squisito profumo di cocco. La suocera massaggiò ogni punto che era stato
colpito. Silvia ormai non capiva più niente. Non sapeva se concentrarsi
sulle carezze che le deliziavano le parti posteriori o sul cazzo che
deliziava la sua bocca. Non capiva neppure quante mani la stessero toccando.
Scivolavano dappertutto su quel lubrificante profumato. Affondavano e si
insinuavano ovunque. Era in un tale stato di deliquio che non capì, nè del
resto volle capire, se la suocera la stava scopando con le dita. Capì solo
che un getto di liquidò caldò le inondò la bocca. E che poco dopo un secondo
lunghissimo orgasmo la fece sussultare come mai le era successo.


Donna Vittoria si annodò attorno al collo un foulard di Hermes, si infilò la
giacca del tailleur e salutò. Era sempre la prima ad arrivare in tribunale.
Pochi minuti dopo anche Filippo prese la sua borsa e uscì. Silvia rimase da
sola, seduta in cucina con la tazza del caffelatte di fronte. Con un dito
raccoglieva le briciole dei biscotti sparse sul tavolo e se le portava alla
bocca. Ovviamente marito e suocera si erano comportati come se la sera prima
non fosse accaduto assolutamente nulla.
Il copione era sempre lo stesso. Due ore di depravazione, di follia e poi
ognuno rientrava nella sua rispettabilissima facciata come niente fosse. Ma
qual era il vero marito e la vera suocera? Il giovane avvocato,
l'irreprensibile giudice o i due incestuosi armati di frustino? Silvia si
interrogava e si arrovellava disegnando col cucchiaino labili cerchi nel
caffelatte. "E io chi sono? La signorina di buona famiglia innamorata di
Ridge? O una ninfomane masochista e lesbica?" E già, perchè ora c'era dentro
anche lei e senza alibi a cui aggrapparsi. "Ma no, io lo so chi sono. E' da
venti anni che sono io. Cioè è da venti anni che sono una ragazza
normalissima, seria e per bene. Non posso essere cambiata di colpo".
Il punto era proprio questo, che aveva sperimentato su sè stessa quante
pieghe, quanti angoli inesplorati e avvolti nella penombra possa nascondere
l'animo umano. Quanta doppiezza possa esserci in ognuno di noi. Ma non una
doppiezza nel senso di una facciata dietro la quale si nasconde la vera e
inconfessabile natura di una persona. Ma proprio nel senso di dr Jekhyil e
mister Hide. Di come nella stessa persona possano convivere più persone. O
meglio di come una persona assomigli a un libro che nasconde tante pagine
diverse. Sua suocera, per esempio, probabilmente era davvero un giudice
esemplare, ma allo stesso tempo, nell'intimità domestica, era anche un
amante di raffinate perversioni. E le due cose, in fondo, convivevano
benissimo, nel senso che riusciva a fare bene il giudice e l'amante sadica e
l'una attività non danneggiava l'altra.
Insomma, di una cosa ormai Silvia si era convinta: che gli uomini (e le
donne ovviamente) sono un bel casino, che si può essere onesti, intelligenti
e probi e allo stesso tempo, coltivare qualche perversione e che è sempre
meglio non trinciare giudizi. In fondo se lei avesse voluto avrebbe potuto
rifiutare quella situazione, ma non l'aveva fatto. "E poi, che significa
perversione? Tra adulti consenzienti non esistono perversioni - concluse a
voce alta Silvia - se uno prova piacere a farsi frustare, perchè non
dovrebbe farlo? Chi danneggia? E' molto più perverso chi non paga le tasse".
"Come dice signorina?" Chiese Antonia, la cameriera, che si era affaciata
sulla porta di cucina.
"Niente, niente...me la prendevo con gli evasori.."
"Chi è evaso?"
"Come chi è evaso?...No, fa niente Antonia, ne parliamo un'altra volta".
Silvia mise sul giradischi la Sesta di Ciaikovskj e si sdraiò sul divano a
occhi chiusi. Ma le sorprese non erano certo finite.
Qualche giorno dopo, erano circa le quattro del pomeriggio, donna Vittoria
dormiva nella sua camera al piano superiore. Quando tornava dal lavoro
riposava sempre per un ora e guai a chi faceva rumore o la disturbava.
Silvia stava sdraiata sul solito divano e leggeva i racconti di Isabelle
Allende, quando sentì la suocera che la chiamava. Salì nella sua camera. Di
fronte al letto d'ottone pieno di riccioli e pomelli dorati stava lei, con
indosso una vaporosa vestaglia di voile e raso e sotto una camicia da notte
violettina, tutta ricamata sul davanti di pizzo di S.Gallo.
Silvia fu molto sorpresa nel trovarsi di fronte la suocera così desabillèe,
quasi discinta. In oltre un anno di convivenza non le era mai capitato;
anche in casa girava sempre chiusa nei suoi vestitini da esercito della
salvezza. Sentì il cuore batterle più forte. Donna Vittoria aveva alle
spalle la finestra e la luce faceva trasparire, attraverso le stoffe
leggere, il profilo del suo corpo. Era massiccio, ma anche flessuoso ed
energico. Su tutto dominava il petto imponente e un sedere sontuoso, anche
perchè il resto era coperto da una specie di guepiere scura. Silvia pensò
che sarebbe piaciuta ancora a molti uomini. E rimase colpita dal modo quasi
impudico col quale si offriva ai suoi occhi. E anche da quella insolita
biancheria che indossava. Emanava una forte sensualità, che scaturiva dal
contrasto tra la personalità di quella donna e l'intimità che le concedeva.
Era inutile nasconderlo, quella donna, con la sua doppia natura, l'aveva in
qualche modo stregata. Forse era la paura che le incuteva, forse la stessa
assurdità della situazione, ma a Silvia sudavano le mani e il respiro le si
spezzava come al primo incontro con l'innamorato.
La suocera le chiese di aiutarla perchè voleva riporre nei ripiani alti
dell'armadio dei vestiti. "Tu sali sulla scala e io ti allungo la roba".
Uscì nel corridoio e prese la scala. Ma nel girarsi urtò il lampadario e
ruppe una specie di palla di vetro. Si voltò verso Silvia, si guardarono
come interrogandosi a vicenda. L'aveva fatto apposta? Silvia non ebbe il
tempo per rispondersi, perchè fu come folgorata. Non pensò neppure a quello
che stava per fare. Agì come guidata da un impulso irresistibile.
"Guardi cos'ha combinato - sbottò alzando la voce - un bel disastro
davvero....Non si potrà neanche riparare....Dovrebbe stare più attenta...non
è mica che, perchè questa è casa sua, lei possa rompere quello che le
pare...E' facile sgridare gli altri...ma poi...". Si fermò ed ebbe paura di
quel che aveva fatto, ma la suocera non reagì, stava zitta e a capo chino.
Rimase qualche frazione di secondo senza sapere cosa fare. No, non era
possibile quello che stava pensando, eppure quel silenzio era più chiaro di
cento parole. Smise di pensare, in una situazione come quella pensare non
serve proprio a nulla. La suocera rimaneva lì, la guardava come se stesse
aspettando qualcosa.
Silvia si decise: "Io credo che abbia bisogno anche lei di una bella
lezione". Si guardò intorno e vide su una sedia una specie di frustino. Era
lì per caso? Non c'era tempo per chiederselo.
L'afferrò. "Si giri" le disse con un tono imperioso che non aveva mai usato
in vita sua. Donna Vittoria sfarfugliò qualcosa del tipo: "Ma cosa vuoi
far...è stato un banale incid...ma come ti permetti...stai
scherzando...potrei essere tua madre...". Ma erano parole di pura messa in
scena, perchè mentre parlava si girò, si piegò in avanti e si appoggiò con
le mani sul letto. Silvia ebbe l'ultimo attimo d'indecisione, poi le sollevò
vestaglia e camicia da notte. Era senza mutande. Ancora per caso? Ma che
senso aveva farsi tutte quelle domande.
L'unica cosa certa era che aveva di fronte la terribile suocera con il culo
nudo per aria e la vendetta stretta forte in pugno. Era un sedere
sconfinato, una mongolfiera di ciccia pallida, ma era ancora discretamente
sodo. Le parve un magnifico sedere, ma ebbe il sospetto di essere ormai
obnubilata da quella donna. Assestò il primo colpo, ma aveva troppo timore
e, più che una frustata, sembrò un buffetto. Del resto era proprio alle
prime armi. Prese più coraggio e assestò il secondo, un po' meglio ma ne
uscì un rumore fiappo, che non le diede alcuna soddisfazione. La suocera
protendeva il suo culone implorante verso di lei. Capì che doveva fare di
più. Chiuse gli occhi e ce la mise tutta.
Prese a picchiare con forza. Ora la cintura emetteva un suono pieno e
vibrante, accompagnato dai mugolii della suocera. Da come si mise a dimenare
il culo e a sussultare tutta, capì che stava prendendoci la mano. Ogni colpo
lasciava su quelle due montagne lattee un'impronta vermiglia. E ad ogni
frustata donna Vittoria smaniava sempre più. Muggiva, rantolava, emetteva
urletti soffocati. "Più forte...più forte...non avere paura". Silvia picchiò
con tutta la forza che aveva. Ogni timore e imbarazzo era ormai scomparso.
Ad ogni colpo che assestava si sentiva palpitare tra le gambe. Le stava
piacendo incredibilmente frustare quel sedere. Vedere sua suocera godere
senza ritegno sottoposta a quelle frustate. Da in mezzo alle gambe della
suocera spuntò una mano, che prese a frugarsi furiosamente nella figa. "Più
forte...più forte...continua..." ripeteva Donna Vittoria masturbandosi.
Una voce, alle loro spalle, le bloccò.
"Ma brave...Proprio una bella scenetta. Non ho mai visto suocera e nuora
andare più d'accordo. Ma vi sembrano cose da fare? Non vi vergognate?"
Sull'uscio, ancora con l'imperbeabile addosso e la borsa in mano, c'era lui,
il figlio e marito Filippo. Tutti e tre si fissavano. La suocera non si era
nemmeno rialzata, aveva solo girato la testa e se ne stava lì con il sedere
flagellato in esposizione. Silvia avrebbe voluto fuggire. Ma Filippo,
stranamente imperioso ed energico, continuò: "E questo sarebbe il magistrato
tutto d'un pezzo e quest'altra la fanciulla pura come un giglio? Siete solo
delle depravate che meritano una bella e sacrosanta lezione". La commedia
non era finita, ora cominciava il secondo atto.
"Avanti spogliatevi". Silvia guardò la suocera: "No, no. Qui si sta
esagerando, il gioco ora deve finire". Avrebbe voluto dirlo a quei due, ma
le parole le si seccarono in gola.
"Filippo non essere troppo severo. Sono pur sempre tua madre". E mentre
diceva così donna Vittoria si slacciava la camicia. Rimase nuda con la sua
guepiere nera. Silvia non ne aveva mai viste di fatte così. Non copriva il
seno, ma lo sosteneva solo. Era come se quelle due tettone fossero offerte
su due vassoi e così sorrette sembravano ancor più grosse e ..........Le
venne in mente il regalo che le aveva fatto per l'anniversario di nozze.
Dunque quella roba se la comprava anche per lei. Chi l'avrebbe mai pensato
che sotto quei vestiti impeccabili e serissimi...
"E tu cosa aspetti" le intimò il marito. La suocera l'accarezzò con uno
sguardo d'incoraggiamento. Si spogliò. Donna Vittoria finalmente poteva
vederla completamente nuda, risplendere in tutta la sua bellezza. Sentì
quegli occhi sbavargli addosso. Ma ancora una volta la voce del marito le
interruppe. "Mettetevi sul letto...ecco così a quattro zampe...più
vicine...più vicine, in modo che i vostri sederi si tocchino". Sentì la
pelle bollente della suocera contro la sua. E poi sentì il morso della
frusta. Silvia cacciò un urlo che rimbombò nella stanza, inarcò la schiena,
ma non accennò ad alzarsi. Filippo, ancora con l'impermeabile, iniziò a
traffiggerle con frustate secche, distribuendo equamente i colpi. Uno al
culone della madre e uno al culetto della moglie. Si stringevano uno
all'altro come per proteggersi. Ma appena Filippo preso dalla foga dava due
frustate dalla stessa parte, l'altro si protendeva per avere la sua razione.
Silvia guardò la suocera, carponi come un animale, che emetteva gridolini di
piacere. Vide i suoi seni che, sotto i colpi, sussultavano e dondolavano
come grandi onde. Non avrebbe mai creduto che le tette di una donna
potessero piacerle tanto. "Fai come me, masturbati, sentirai meno male" le
sussurò la suocera con voce alterata. Come un automa le obbedì.
"Cosa state facendo - gridò Filippo - ricominciate con le porcherie? Adesso
vi sistemo io" e cominciò a colpirle in mezzo alle gambe. Ma loro non
smisero affatto di torturarsi la figa. Mentre il frustino si aggiungeva alle
loro dita nel martirizzare quei poveri clitoridi, non si capiva se più gonfi
per il piacere o per le frustate. Silvia chiuse gli occhi e si morsicò le
labbra. Sentì un fiato caldo sulla sua bocca. Aprì gli occhi. Sua suocera le
leccò le labbra. Che fare? Socchiuse la bocca. La suocera le spinse dentro
la lingua. Che fare? Silvia spinse la sua dentro la bocca della suocera.
Stava baciando un'altra donna, ma quale altra donna...stava baciando sua
suocera. E che bacio...Richiuse gli occhi e non volle neppure pensarci. Anzi
no, una cosa la pensò: "Baciano meglio le donne". Ad un certo punto donna
Vittoria fu colta da convulsioni. Ansimava, rantolava e  ansimava:
"Oddio..oddio...così...così, muoio...oddio vengo aaahhh....uuuhhh...è
stupendo...più  forte...odddiooo.. picchia... straziami....ooohhooho... dio
mio...dio mio...picchia... più forte ... sulla figa...scopami con quella
frusta...squartami....aaahhh... aaahhh... ooooooohhhhhhhhhh". E si accasciò.
Silvia non aveva mai visto un orgasmo simile. E, a essere proprio sinceri,
provò un po' d'invidia.
Passarono un paio di minuti, che servirono a tutti e tre per riprendere
fiato, poi la suocera si alzò e diede inizio al terzo atto della commedia.
"Ma come ti sei permesso di picchiare tua madre". La recita, a Silvia
cominciava ad apparire un po' ridicola. Ma i due la interpretavano in modo
così serio e convinto, che era costretta a stare al gioco. "In tribunale
applico la legge dello stato, ma a casa mia vale la legge del taglione. Ora
spogliati". Filippo, evidentemente era abituato a tutta la messa in scena,
perchè passò dal ruolo del torturatore a quello della vittima con grande
disinvoltura. Donna Vittoria prese da un cassetto un altro frustino e lo
diede a Silvia dicendole: "Avanti diamogli una bella lezione".
Filippo si era tolto impermeabile, pantaloni e mutande. Ed era rimasto lì in
piedi, con scarpe e calzini neri fino al ginocchio, con cravatta e giacca da
cui spuntavano due natiche biancastre e pelose. Sembrava  un paziente in
attesa che il medico lo visitasse. A Silvia parve assolutamente goffo e
vagamente comico, con quell'aria da bancario a culo nudo, se non fosse che
l'aggettivo mal si inseriva nel contesto. Le considerazioni estetiche di
Silvia furono comunque troncate dall'aspro sibilo della prima staffilata,
che la suocera e dolce-mammina rifilò sulle chiappe del reprobo.
Quella donna era davvero assatanata e insaziabile. "Avanti, diamogli quel
che si merita......facciamolo pentire di quel che ha fatto..non si frustano
due donne indifese".  Incitava la suocera che, ogni volta che brandiva una
frusta o qualunque cosa le assomigliasse, si trasfigurava. Filippo con le
mani si teneva appoggiato al bordo del cassettone e incassava in silenzio e
ad occhi chiusi i colpi. "Avanti che fai, hai paura del tuo maritino?
......Guarda che a lui piace farsi punire".  Nel reticolo di neuroni
cerebrali di Silvia continuavano a giungere impulsi raziocinanti, che
cercavano faticosamente di farle ricollocare nella loro corretta dimensione
e significato il quadro di avvenimenti in cui si trovava coinvolta. Ma che
cosa è razionale? La norma o l'istinto? Non ebbe nè il tempo, nè la
necessità di rispondersi. Perchè senza accorgersene il suo frustino stava
già accarezzando il sedere del marito.  Una da una parte e l'altra
dall'altra, guardandosi in faccia con un sorriso complice e compiaciuto
presero a colpire, la moglie la natica di sinistra e la madre quella di
destra. Filippo rispondeva con un lamento sordo e cupo, stringendo le due
mani con forza attorno ai bordi del mobile, che aveva un ripiano di vetro,
su cui le dita sudate lasciavano piccoli aloni appannati.
Ogni colpo sul sedere era come se azionasse una specie di elevatore alla
base dell'inguine. Dopo pochi secondi, Silvia, con la coda dell'occhio, vide
ergersi tra i lembi della camicia il cazzo del marito in tutta la sua
prorompente vitalità. Probabilmente era solo un'illusione ottica dovuta alla
circostanza, il trovarsi lì, nuda, a frustare il culo del marito, di fronte
alla suocera (l'illustrissimo giudice Vittoria Massado) in guepiere nera con
le tettone che sobbalzavano libere, che faceva altrettanto.  Ma il membro
coniugale, che le era sempre parso assolutamente il linea con tutto
l'insieme del suo uomo, cioè rientrante nella più banale normalità, le
apparve di dimensioni stupendamente interessanti.  Evidentemente le frustate
avevano un potere maieutico eccezionale su quell'uomo. La vista di
quell'ammiccante turgore illuminò il viso della madre-suocera. Col frustino
vibrò un leggero colpo sul membro. "Cosa fai porco, ti ecciti anche...
quando ti puniamo.....allora dovremo rincarare la dose".  E prese ad
assestare colpi sul cazzo del figlio. Filippo urlò sommessamente, quasi
temesse di far arrabbiare di più la madre. "No vi prego, lì no" . Ma essendo
che non si spostò neppure di un millimetro per evitare i colpi, la sua era
chiaramente una preghiera che auspicava a non essere esaudita.
Così fustigato quel cazzo, contrariarmente a quanto ci si sarebbe potuti
aspettare,  pareva ergersi e ingrossarsi ancor di più. Vampate di sangue e
adrenalina pompavano dentro le sue vene. Silvia strabuzzava gli occhi e la
bocca le si riempiva di saliva. Inutile negarlo era eccitatissima, aveva
smesso di frustare e si godeva attonita lo spettacolo di quella specie di
sabba domestico.  Filippo dolorante e in preda a un delirante arrapamento.
La suocera che con fredda determinazione, continuava ad assestare colpi, su
quel povero cazzo ormai color porpora.  Fu scossa dalla voce della suocera,
che continuava a dirigere le operazione con sapiente e consumata regia.
"Avanti, non vedi come soffre, sei o non sei sua moglie....fai qualcosa per
alleviare le sue pene". Silvia non sapeva bene cosa fare. Prese ad
accarezzare con qualche titubanza quel membro ormai paonazzo e solcato da
vene contorte e gonfie come radici. "Avanti, un po' più di dedizione" le
disse donna Vittoria con voce mielosamente bavosa. La scostò leggermente.
"Si fa così...ti debbo proprio insegnare tutto". Si chinò col viso
all'altezza del pube di Filippo. Dischiuse le labbra, estrasse la lingua in
tutta la sua lunghezza, vi depositò sopra il cazzo rovente del figlio. Quasi
lo avvolse con la lingua, come in un pietoso sudario, poi lo fece scivolare
lentamente all'interno della bocca, stringendolo con le labbra bagnate. "No,
questo è troppo" pensò Silvia. "L'incesto no. La madre, anzi l'illustrissimo
giudice Vittoria Massado, che succhia il cazzo a suo figlio, anzi a mio
marito. Questo è troppo, qui siamo diventati tutti pazzi. questo è un
sogno". Avrebbe voluto dire queste cose ad alta voce. Ma la bocca le si era
talmente inondata di saliva, che come la aprì un filino di bava le scese dal
labbro inferiore, proprio come ai lattanti. Capì che l'inferno l'aveva ormai
ighiottita e che poteva lasciare ogni speranza, non ne sarebbe più uscita.
"Avanti, fai tu ora". Le disse con un sorriso luciferino la suocera. Con una
mano sulle spalle, la fece piegare in avanti. Con l'altra le porse il cazzo
del figlio-marito. Silvia aprì incredula le labbra e lei le spinse dentro
quell'enorme membro. Vibrava come la canna di un organo e pulsava che
sentiva il rimbombo nella gola, fin giù nel petto. Quel cazzo scuro, nodoso,
quasi ferino creava uno stupefacente contrasto con il viso delicato e
pallido di Silvia. Quanto il suo incarnato opalescente pareva quasi
angelico, tanto quel pezzo di carne che vi si piantava dentro aveva un che
di animalesco. Un contrasto stupendo e incredibilmente eccitante pensò donna
Vittoria.
"Brava...vedi che sei proprio brava....su ora un po' più di trasporto". E
per incitarla le affibbiò una frustata sul sedere. Poi si spostò e ne rifilò
una a Filippo. Così, come se stesse incitando due cavalli a correre, prese
di nuovo a infliggere colpi, ora alla nuora, ora al figlio. Silvia, che si
era sempre cimentata con una certa timidezza nel sesso orale, a sentire il
morso della frusta sulla sua carne, a sentire gli incitamenti osceni della
suocera, fu travolta da una foga sconosciuta. Prese a leccare, a succhiare e
a divorare quel cazzo ansimando e sbavando. Lo estraeva completamente dalla
bocca accarezzandolo con le labbra. Poi glielo rituffava dentro, emettendo
gemiti di soddisfazione. Poi lo riestraeva e lo leccava con tutta la lingua,
partendo dalla base, su su fino al glande lucido. Poi se lo riaffondava in
bocca, spingendolo  fin quasi in gola, nel tentativo di farcelo stare tutto.
La saliva le colava agli angoli della bocca. Con gli occhi seguiva la
suocera nella sua danza torturatrice. Guardava infoiata il suo culone e
avrebbe voluto morderlo, percuoterlo a sangue. E forse anche lei lo avrebbe
voluto.
Poi donna Vittoria le girò dietro e sparì alla sua vista. Smise anche di
frustarla. Senti il calore del suo corpo avvicinarsi al suo. Sentì le sue
mani farsi improvvisamente delicate sul suo morbido culetto paffuto. La
accarezzava con un tocco lieve quasi materno. Con una leggera pressione le
fece aprire di più le gambe. Sentì le dita che le dischiudevano la carne.
Sentì qualcosa che premeva. Non ebbe il tempo per capire cosa fosse, che si
sentì aprire, penetrare e riempire da qualcosa di grosso e duro. Essendo che
l'unico membro maschile a disposizione in quel momento stava comodamente
alloggiato nella sua bocca ed essendo che un dito di quella donna per quando
alta e massiccia non poteva avere quelle dimensioni, cosa poteva essere che
cominciava nella mano della suocera e terminava ormai in fondo alla sua
vagina? Guardandosi attorno, lo sguardo cadde sul manico del suo frustino,
rimasto a terra.  Prima non vi aveva fatto caso, ma aveva una forma
significativamente fallica. E capì.
In bocca aveva il cazzo del marito, nella figa un aggeggio di gomma nera che
la suocera faceva entrare e uscire con mano esperta, accompagnando
l'operazione con considerazioni del tipo: "Che carne tenera hai.... E che
fighettina stretta e rosa.........però sei bella bagnata. Ti piace farti
scopare dalla tua suocerina eh? Piccola troietta mia". La situazione era
decisamente difficile da definire. Che dire?!?!  E' bello vedere una
famiglia così unita.
C'è anche da dire che mi accorgo ora che questo tipo di trittico l'avevo già
descritto qualche pagina fa. Per cui sarebbe meglio variare un po' posizioni
e combinazioni. La ripetitività uccide la pornografia. Dunque allora
vediamo. Donna Vittoria si alzò, lasciando il frustino appeso tra le cosce
della nuora e disse: "Mica vorrai goderti tutto tu". Tirò per un braccio il
figlio, lo fece alzare dal letto, raccattò da terra l'altra frusta e prese
il suo posto. Senza quasi accorgersene Silvia si trovò sotto il naso, al
posto della virilità maritale, un irsuto vello scuro, con propaggini
ricciute che risalivano lungo le pieghe dell'inguine e su fino all'ombelico;
e scendevano verso il basso nel solco del sedere. Quant'era pelosa. Davanti
agli occhi di Silvia comparve una di quelle immagini del diavolo
rappresentato dalla vita in giù come caprone. Ricordò gli insegnamenti delle
suore: state attente il diavolo si nasconde sotto molte sembianze, a volte
le più insospettabili. Guardò istintivamente dentro le scarpe della suocera
per vedere se scorgeva  qualcosa che assomigliasse a uno zoccolo. No, non
c'era.
Sentì armeggiare nelle sue parti intime. Dal variare della temperatura capì
che il posto del manico era stato preso dal marito. Il manico dell'altro
frustino invece le fu posto in mano dalla suocera. "Avanti sù, ti ho fatto
vedere come si usa". La prima cosa che venne in mente a Silvia fu: "Come
farò a trovare l'entrata in mezzo a questa selva... una selva oscura che la
diritta via era smarrita". Dante. In quella situazione a lei era venuto in
mente Dante. Era assolutamente assurdo, ridicolo. ..... E di nuovo
l'inferno. Un altro segno. E se una coincidenza è una coincidenza, due
cominciano ad essere un indizio. Sembrava che la suocera leggesse nel suo
pensiero. Perchè affondò le dita delle due mani  tra i peli e si aprì la
figa.  Avanti dunque.. Ancora con qualche incertezza appoggiò quel coso di
gomma nera al centro di quella carnosità madida e pulsante. E premette.
Scivolò dentro senza nessuno sforzo. L'incertezza fu presto messa da parte.
E il suo posto fu preso da movimenti decisi. Poi da una vera e propria foga.
Quasi rabbia.... o entusiasmo. Vendetta.... o liberazione.

La vecchia Antonia era andata in pensione e da qualche giorno era arrivata
una nuova domestica, anzi la nuova collaboratrice, come la chiamava donna
Vittoria, molto rispettosa delle forme e della dignità del lavoratore. Il
tutto si era risolto in una grossa perdita sotto il profilo  gastronomico,
ma un notevole  guadagno sotto quello anagrafico. Barbara aveva 24 anni ed
era una sana ragazzona di campagna. Non era bella, ma il suo aspetto emanava
un'allegra vitalità, una sensualità primordiale e semplice. Capelli neri con
un taglio decisamente fuori moda, occhi neri e grandi, una fitta peluria
scura sul labbro superiore e poi un corpo che, anche quello, sembrava preso
fuori da un film neorealista degli anni 50: carnoso, formoso, procace.
Faceva venire in mente aggettivi un po' antiquati. Indifferente a diete e
mode: bello, genuino, forte, succoso, turgido, peloso, ignaro ....
Barbara viveva in un paesino non lontano. Era stato un parente di donna
Vittoria a suggerire di assumere la ragazza, che era rimasta sola per la
morte del padre e della madre in un incidente (poverella, sembra quasi una
favola). Non aveva nessuna esperienza nel lavoro di domestica, ma si
trattava di fare un'opera buona e allora....donna Vittoria di certo non si
tira indietro di fronte alla possibilità di compiere gesti caritatevoli. E
così era venuta a vivere in casa con loro.
Chiusa e timida, come era logico, aveva un vero e proprio terrore di donna
Vittoria. Con Silvia invece era entrata rapidamente in confidenza. Durante
le lunghe ore che passavano in casa da sole non facevano che chiaccherare.
La semplicità disarmante di quella ragazza, così diversa da lei, le dava una
grande serenità.
Ma un sospetto, col passare dei giorni, si insinuò in Silvia. Le nacque
notando l'abbigliamento che la suocera aveva imposto alla ragazza. Un
vestitino nero allacciato davanti, con grembiulino bianco e colletto di
pizzo anch'esso bianco. Proprio come le cameriere nei film. La cosa le
pareva un po' ridicola, ma fin qui niente di male, il tutto era abbastanza
in linea con il tono generale della casa e della padrona della stessa. Le
case sono rivelatrici quasi infallibili della personalità di chi le
abita...per chi le sa leggere. Quello che invece non la convinceva era la
taglia della divisa, almeno di un paio di misure più piccola del dovuto. Il
primo bottone era a metà dello stomaco, l'orlo della gonna ampiamente sopra
il ginocchio, cosicchè le forme prosperose della ragazza venivano esaltate
in tutta la loro giovanile e casereccia esuberanza. E con quali occhiate
madre e figlio la radiografavano.
Barbara non ci faceva assolutanente caso. Del resto come mai avrebbe potuto
sospettare qualcosa. Neppure se Silvia l'avesse messa in guardia ci avrebbe
creduto. Ma quegli sguardi insistiti sul di dietro di Barbara, non appena
questa voltava le spalle, a Silvia sembravano proprio dei sopralluoghi per
saggiare il terreno su cui si dovrà compiere un misfatto. E quelle occhiate
fra madre e figlio cos'erano se non la lubrica intesa di chi sta pregustando
il fiero pasto?
Un giorno Barbara portò in tavola una minestra decisamente salata. Donna
Vittoria le disse che una volta per le domestiche responsabili di mancanze
gravi erano d'uso anche punizioni corporali. La suocera disse questa cosa
con aria serafica, quasi sorridendo. E la cameriera pensò scherzasse. Ma
Silvia non ebbe più dubbi: la nuova vittima era già stata designata.
La sua reazione ancora una volta la sorprese. In lei si alternarono in
rapida successione: un sentimento di ripulsa, poverina era così innocente e
indifesa; poi di gelosia, finchè a lei e al marito si aggiungeva la suocera,
rimaneva tutto in famiglia...ma un'altra donna no. Infine di impudica
attrazione, l'idea di assistere e fors'anche di partecipare alla sadica
iniziazione, era inutile negarlo, l'eccitava alquanto. Seppure gli altri
sentimenti continuassero a dire la loro.
Il fatale destino di Barbara si compì, come al solito, nel corso di una
cena. L'ignara cameriera si era presentata sconsolata in sala da pranzo, per
annunciare che l'arrosto si era trasformanto in un pezzo di carbone. Donna
Vittoria non aspettava altro, mai arrosto bruciato era stato accolto con
tanta nascosta gioia. Si mantenne molto calma e si limitò a dire: "Dopo cena
faremo un bel discorsino". I tre finirono la cena, semza arrosto
naturalmente. Mentre mangiavano Silvia non staccava gli occhi di dosso a
suocera e marito. Studiava ogni loro gesto, ogni espressione, ogni sospiro.
Cercava di leggere nelle loro facce, nei lampi obliqui dei loro sguardi,
nell'increspatura beffarda delle loro labbra, nei movimenti lenti delle loro
mani, le tracce dei loro pensieri, qualche frammento leggibile dei loro
torbidi progetti. Perchè era sicura che le menti e le parti intime di
entrambi erano attraversate da identici impulsi, che lei conosceva sin
troppo bene. La loro perversa libidine stava pulsando all'unisono.
I due si erano accorti che Silvia li stava studiando. Ma non per questo
cercarono di sviare la sua attenzione. Anzi sembrava che la cosa fosse di
loro gradimento. E anche Silvia si era accorta che loro se ne erano accorti.
Ma non per questo smetteva di fissarli. Tutti e tre sapevano perfettamente
cosa ognuno di loro stesse pensando. E tutti e tre continuavano a recitare
la parte. A guardarsi, a lanciarsi messaggi muti e quasi impercettibili, ma
ormai chiari ed espliciti. In un gioco di specchi opachi, che univa tutti e
tre in una incofessata e inconfessabile complicità. Ancora quella turpe
complicità che eccitava tutti e tre terribilmente.
Quando ebbe raccolto col cucchiaino i residui di zucchero dal fondo della
tazzina di caffè e le sue labbra ebbero reso il cucchiaino ripulito da ogni
particella di criistallo zuccherino, donna Vittoria si alzò. Figlio e nuora
fecero altrettanto. Il giudice si diresse verso il salotto e gli altri due
la seguirono. La suocera si sedette al centro del divano, Filippo
all'estremità. Silvia su una poltroncina un po' discosta. Il tribunale era
insediato. Donna Vittoria, con voce forte, ma abbastanza cortese, chiamò:
"Barbara puoi venire qui in salotto, per favore...finirai dopo di
sparecchiare". La ragazza si presentò con una faccia un po' preoccupata, ma
non troppo.....
Nel ruolo questa volta di spettatrice, Silvia ebbe modo di apprezzare
meglio, di quanto non gli era stato possibile nel ruolo di vittima, la
stupefacente esibizione del diabolico potere di cui quella donna era  in
possesso. Il copione tutto sommato era quello già messo in scena altre
volte, ma l'interpretazione fu davvero magistrale. Da applausi a scena
aperta. Anche il male può suscitare ammirazione quando è messo in pratica
con la sublime creatività di cui donna Vittoria era capace.
Prese a parlare a quella povera ragazza come avrebbe fatto dall'alto del suo
scranno in tribunale. Il tono calmo, pacato, severo, quasi solenne.
L'eloquio forbito, a tratti ricercato. Quello che Silvia trovava abnorme e
geniale era la serietà e l'autorevolezza con cui quella donna argomentava le
sue considerazioni tese in realtà ad uno scopo bassissimo: la soddisfazione
dei suoi sconci desideri. La cameriera era indubbiamente intimorita, le dita
le tremavano leggermente. Ma più che paura, quella che scendeva sul suo capo
chino, assieme alle parole di donna Vittoria, era una sensazione di
impotenza, di ammaliamento. Barbara era come ipnotizzata da quella donna.
Non capiva neppure bene quello che stava dicendo, ma non aveva il minimo
dubbio che fossero cose giustissime. Che qualunque cosa quella donna avesse
fatto e o le avesse ordinato di fare era sacrosanta. Anche la più strana e
impensabile.
Donna Vittoria tenne una specie di lezione sul rapporto che deve esserci tra
padrona di casa e servitù, sulle regole di questo rapporto, sulla grande
cultura  inglese in questo campo e sulla buona tradizione, sempre inglese,
delle punizioni corporali. Quando usò queste due parole Barbara ancora una
volta non capì dove stava andando a parare, né avrebbe mai potuto
immaginarlo. Era ormai in uno stato di totale sottomissione, anzi di
incosciente adorazione verso il proprio giudice. Per Silvia non furono
ovviamente una sorpresa. E neppure fu una sorpresa sentire il suo cuore che,
a quelle parole, ebbe un'improvvisa accelerazione e il respiro che le si
affannò nel petto. Notò che sul divano, di fianco alla suocera, c'era una
spazzola larga e con un lungo manico. Riconobbe subito un nuovo inatteso
strumento di piacere, per di più double face. Dovette ammettere con sè
stessa che stava pregustando il rito sacrificale che presto avrebbe avuto
inizio. Come un lampo attraversò la sua fantasia l'immagine succulenta del
candido sedere di Barbara esposto e indifeso e delle innumerevoli
combinazioni che tutti e quattro avrebbero potuto sperimentare. Un lampo nel
quale si riconosceva l'inequivocabile uncino della dannazione, che ormai si
era conficcato nella sua anima.
Donna Vittoria dette un'improvvisa svolta alla sua concione con queste
parole: sollevati la gonna e scopri il sedere. La reazione di Barbara fu
davvero incredibile. Rimase qualche secondo incredula, guardò prima Silvia
poi il marito. Trovò nella loro espressione un'implicita conferma
dell'ordine ricevuto. Senza neppure tentare una qualche obiezione, una
seppur timida protesta, si sollevò lentamente lo stretto grembiulino fino a
scoprire le mutandine di cotone bianco che avvolgevano una rotonda e
splendente cornucopia di delizie.
Sul volto di donna Vittoria si intagliò un sorriso sulfureo.
 Barbara rimase ferma, con le mani a sostenere la gonna che, vista
l'aderenza, non avrebbe avuto comunque possibilità di scendere, girata di
tre quarti rispetto al divano e con la testa timorosamente girata verso la
signora, in attesa di ulteriori ordini. Donna Vittoria rimase in silenzio
diversi secondi. Era una tecnica studiata e a Silvia già nota. Una attesa
protratta sia per godersi appieno i suoi concupiscenti e depravati
propositi; sia per aumentare l'incertezza e lo spaesamento della vittima di
turno, che riempiva quel vuoto con l'illusione che tutto si sarebbe risolto
in un'innocua messinscena.
Ma il vuoto fu riempito dalla voce inturgidita della signora, che ordinò:
<Ora calati anche le mutande>. La ragazza ebbe un impercettibile moto di
reazione. Pronunciò un <ma>, che fu quasi un soffio. Lo sguardo della
suocera la trapassò da parte a parte, infilzando come un ferro da calza il
suo risibile tentativo di obiettare qualcosa. Barbara prese con due dita
l'elastico dello slip e lo calò fino all'incavo delle ginocchia. Silvia si
sporse dalla sua sedia, che era un po' defilata, per vedere meglio quel
sedere bianco e solido <come ce l'hanno le ragazze di campagna> pensò. La
suocera che, da consumata regista, teneva tutta la situazione sotto
controllo, se ne accorse subito e girò appena lo sguardo. Il messaggio era
chiarissimo: <Non credere che io non sappia che stai sbavando per goderti
questo magnifico sedere, ma qui sono io a dettare le regole e ad assegnare
le parti>. Più o meno.
<Ora chinati in avanti...appoggia le mani lì, su quella sedia>.
Barbara si girò e si chinò sino ad appoggiare le mani sull'imbottitura
damascata della sedia.

 

 

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By Zicky