Via dalla sala insegnanti di Faint

 

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Mi sento irrequieto. Sto facendo delle cose che mai, mai, e ancora mai
avrei dovuto permettermi di fare: come insegnante ho una grande
responsabilità, prima di tutto morale.
La sala insegnanti tra un cambio dell'ora e l'altro è quasi vuota, e i
pochi occupanti - donne avanti con l'età, uomini consumati - mi spingono
ad uscire fuori, dove c'è aria da respirare. Non posso buttare il tempo
così, diventare come loro. Abbandono sul tavolo libri aperti e penne
senza tappi. La mia è una fuga.
Mi siedo sul banco che c'è appena fuori della sala. Accendo il cellulare
e con le dita febbrili scorro la rubrica: arrivo a Patrizia. Patrizia,
vieni a salvarmi! Mando tre squilli, poi spengo. Trascorrono quattro
minuti, ancora non la vedo. È passata una bidella col camice blu e i
capelli gialli, poi due professori che senza neanche guardarmi
(stronzi!) sono entrati in sala insegnanti. Spero che non ci sia troppa
gente che gironzola per questo scuro e lungo corridoio che si stende
davanti a me.
E poi arriva lei, Patrizia, proprio in un momento che non c'è nessuno:
scende dal piano superiore e affronta l'ultima rampa di scale come se
fosse una modella che sfila, solo per me. Sa dove trovarmi: vede che
sono proprio dove dovevo essere, e allora fa lo show. Scende lenta,
ancheggia, mi sorride maliziosa piegando la testa e inchiodandomi con i
suoi occhi neri. E a dir la verità della modella le manca solo
l'altezza. Il resto c'è, con il corpo magro e i seni non certo da
maggiorata. Della modella le manca anche il vestito: indossa una felpina
bianca, e dei jeans consumati di moda. Poi scarpe rosse da ginnastica.
Eccola, arriva, vorrei subito allungare le mani e catturarla, ma sono
costretto a subire la tortura di percepire unicamente il suo profumo
mentre mi passa davanti senza più guardarmi. Che profilo straordinario,
con i giovani seni vigorosamente dritti che le gonfiano la felpa e quel
culo pieno e rotondo che è l'ultima cosa che passa davanti a me! Lo
fisso, ipnotizzato, mentre sparisce dentro la porta dei servizi
femminili.
L'abbiamo organizzata così: io le mando i tre squilli, lei chiede
all'insegnante di andare ai servizi, ci entra, e poi se non c'è nessuno
arrivo io. Se dentro c'è qualche altra ragazza, mi fa uno squillo e io
mi fermo. La parte più difficile però è l'ultima: devo entrare nel bagno
delle ragazze, e io sono prof e pure maschio. Quello che mi salva è la
fotocopiatrice piazzata quasi dirimpetto alla porta dei servizi
femminili: faccio finta di trafficare con la macchina, e intanto mi
assicuro che non ci sia nessuno nel corridoio. Alla mia destra ho la
sala insegnanti e aule, alla mia sinistra laboratori, segreteria e
ingresso. Non sempre la manovra riesce. Oggi però deve riuscire, per
forza. Solo a guardarla scendere quelle scale il sesso mi si è gonfiato
nelle mutande, anzi credo che mi fosse diventato duro già al primo
squillo che le ho fatto.
Ho le guance rosse per l'eccitazione mentre di sottecchi spio verso la
sala insegnanti: nessuno. Ora è sufficiente che non venga nessuno da
destra e...invece c'è la segretaria che ha delle carte in mano. Ma non
basta, dietro a lei si accoda la madre di qualcuno e si piazzano a
parlare giusto a pochi metri. Le imprecazioni dentro di me si sprecano,
mentre scatto fotocopie casuali di un libro casuale. Ormai i minuti
stanno passando e ci stiamo giocando la pausa-bagni: mi immagino
Patrizia che come le due volte precedenti mi attende seduta sul water,
con i jeans e le mutandine calate. Visto che non arrivo si starà
passando il medio sul clitoride gonfio per poi affondare nella vulva
bagnata. Queste due vecchie bastarde non se ne vogliono andare dal
corridoio, e io schiumo pensando a Patrizia e al suo latteo corpo
diciottenne che emana odorose voglie dai pori più segreti, mentre
arrovescia i lunghi capelli indietro e chiudendo gli occhi con la mano
si dà il piacere solitario che la sua giovane vagina reclama.
Ormai è tutto perduto. Mi accorgo che sta passando un altro prof: lo
conosco ma fingo di non vederlo. MI farebbe perdere tempo e poi come
fare a nascondere il pacco gonfio sul davanti dei pantaloni? E poi il
miracolo: il prof entra in sala insegnanti, le due schifose si separano
e una sale per le scale (la segretaria) e l'altra se ne esce dalla
scuola. Nessuno nel corridoio! Ne va di me, della mia vita, della mia
reputazione, di tutto. ma è come se una gigantesca calamita mi attirasse
e io fossi un grosso pezzo di ferro privo di volontà. Un'ultima occhiata
e ed entro nel bagno. Nessuno. Busso all'unica porta bianca chiusa, il
cuore ormai ha le pulsazioni triplicate.
Mi apre subito, ed è come l'ho immaginata, ancora più bella forse. È
seduta sul water, a gambe aperte, con i jeans e le mutandine bianche
arrotolate alle caviglie. La felpa le copre ancora i seni, ma intravedo
i peli neri del pube e più sotto il polso comanda le dita che si agitano
a contatto della vulva.
- Ma quanto ci hai messo?!? - mi rimprovera mentre io mi chiudo svelto
la porta dietro, serrandola a chiave.
- Amore, amore! Scusa! C'era un sacco di gente..- la imploro, mentre mi
chino a  baciarle i capelli e mi beo del loro profumo.
- C'è rimasto pochissimo tempo... dovrei già risalire, quella stronza
della Bugassi lo sai che mi fa osservazioni...
- Ci parlo io con la Bugassi..adesso basta..- sussurro per calmarla. Le
prendo il braccio con cui si sta masturbando e lo tiro su. Le serro la
piccola mano fra le mie, individuo l'indice e il medio bagnati della sua
linfa appiccicosa e chiudendo gli occhi li lecco da sotto in su, e poi
li accolgo tutti in bocca succhiandoli estasiato. Sa di cose buone, di
cose pulite. Ho rischiato tutto, sì, ma per qualcosa che vale.
- Come sei buona..- le dico riaprendo gli occhi e lasciandole andare la
mano.
- Ora lasciami fare, prof - mi dice sorridendo.
Io mi appoggio con le mani e le braccia tese sulle fredde mattonelle
azzurrine, mentre lei, sempre seduta sul water, mi sgancia con dita
febbrili la cintura e poi mi abbassa i pantaloni. Non avrebbe quasi
bisogno di abbassarmi le mutande, perché metà del mio sesso fa già
capolino, paonazzo e umido, oltre l'elastico... guardo le mutande e
capisco che cos'era quel senso di fresco... sono fradice!
Ora lei fa una cosa che le altre due volte non ha fatto, una cosa che mi
manda in estasi ulteriore e che testimonia la potenzialità della sua
fantasia perversa: con la mano tiene schiacciato il glande sul mio
ventre, e poi mi lecca il cazzo da sopra le mutande bagnate, più volte.
- Amore..- mormoro con gli occhi chiusi, quasi appoggiato con la testa
alle mattonelle.
Appena mi abbassa le mutande fino alle ginocchia e sento il calore umido
della sua bocca chiudersi attorno al mio sesso tesissimo, smetto di
ricordare chi sono e dove sono. Sento la sua mano impugnarmi il sesso
alla base, e le labbra imprigionarmi mentre la lingua si arrotola sul
glande e mi lecca anche più sotto. Vorrei già godere adesso, vorrei: mi
viene da piangere e non so dire altro che: - Amore, amore, così -
La sento inspirare profondamente, e i suoi sospiri mi eccitano ancor più
(ma è possibile?)... la sento sforzarsi per me, sento le sue labbra
avanzare lungo il cazzo, spingersi oltre ogni umana possibilità, sento
la sua lingua non smettere di lambirmi i lati pulsanti del sesso. Poi
ritorna indietro un po', mi afferra le natiche a mani piene e si mette a
fare su e giù con la testa. Sento il glande che le sprofonda nelle
guance e voglio vedere questo spettacolo. Alzo la testa  e guardo: ecco
là i suoi capelli di susina che si scuotono sulle spalle mentre la sua
piccola testa scorre avanti e indietro sul mio pene, ecco le sue guance
lattee colorate di fragola che testimoniano lo sforzo, e le sue labbra
di ciliegia chiuse come un piccolo cuore attorno al centro dei suoi
interessi. E poi vedo ancora la mano, quella di cui ho leccato le dita,
tornata in posizione a frullare dentro e fuori le labbra gonfie e
bagnate.
Non resisto più, lo so.
Poi questa tortura inflitta col piacere si ferma un instante, perché
Patrizia si sente osservata. Guardandomi con i suoi ridenti occhi neri
lascia scivolare fuori lentamente il mio sesso dalle labbra: l'osceno
rumore del risucchio mi eccita, la saliva e i miei succhi mescolati
formano fili che collegano la sua bocca al cazzo, e mi eccitano ancor
più.
- Ti piace, professore? Te lo succhio bene? -
- Muoio, amore, io muoio..- le dico, e ora sento i lucciconi agli occhi.
-  Non morirai, anzi... - mi dice. Poi non mi bada più. Lo riprende in
bocca, tutto vibrante, tutto rosso, tutto offeso per essere stato
lasciato sul più bello, ma pronto a perdonare quella piccola bocca e il
suo calore morbido e bagnato.
Ora con entrambe le mani lo tiene fermo alla base, e con la bocca scorre
veloce, con le labbra aspira e serra, con la lingua accarezza e batte. È
tardi e bisogna andare. I capelli sono una nuvola che si agita nera. Io
piango. Le prendo di nuovo la mano con cui si è toccata la fica e le
succhio tutte le dita di nuovo: vorrei gettarmi fra le sue gambe e
divorarla, per ore, facendola impazzire orgasmo dopo orgasmo..ma non si
può, merda non si può, non si può mai niente a questo mondo del cazzo!
Lei si fa succhiare le dita e intanto mi succhia il cazzo, poi riprende
possesso della sua mano e se la riporta in mezzo alle gambe, dove la sua
piccola vulva grida e grida che vuole la sua parte di piacere. E ha
ragione!
Perdo quasi conoscenza quando sento arrivare l'orgasmo: ormai la
conosco, non si sposterà con la bocca, così perderemo meno tempo a
ripulire. Mi masturba e succhia, sento ancora liquidi eccitanti rumori,
poi i suoi sospiri profondi, con il naso, i suoi polmoni reclamano aria
per vivere, perché la bocca è invasa, fino in gola, dal mio sesso.
Stacco le mani dalle mattonelle, devo avere un contatto col suo corpo
mentre sto per venire. Le metto le mani una sulla spalla e un' altra sul
collo, dietro, poi le carezzo i capelli sulla nuca. Sento le sue spalle
avanzare e retrocedere veloci, mentre i miei testicoli gonfi sono sul
punto del non ritorno. Il pensiero che mi acceca, che mi fa esplodere e
morire uscendo da me, è suo padre che crede che quel bocciolo di rosa,
la sua stellina, sia a scuola a studiare, e invece è chiusa in un cesso
a spompinare invasata il suo giovane professore, con due dita conficcate
nella vagina. La vedo a casa, a cena, mentre mangia con gli occhi bassi,
con il padre alla sua destra, e sembra una santa. Vorrei che lui mi
vedesse, adesso, mentre con il cazzo durissimo le invado la bocca, la
tengo ferma per le spalle, le spingo la testa contro il mio pube, in
modo che non si perda un centimetro del mio sesso, e non perda una
goccia del seme che... oh, adesso, ecco... le spruzzo in bocca, sulla
lingua, sul palato, a fiotti densi, violenti e corposi. La sua glottide
deglutisce, e mentre divento cieco per l'orgasmo, penso solo al mio seme
che le scorre nella gola.
Poi tutto finisce.
Riapro gli occhi, come se avessi vissuto il più bello dei sogni, e
faccio in tempo a udire gli ultimi rantoli della sua gola e gli ultimi
sussulti del suo pube preda dell'orgasmo che si è data. Ha gli occhi
chiusi e siede con la schiena appoggiata indietro, sulla vaschetta
dell'acqua. Pian piano si calma.
Ci guardiamo. Credo di amarla. Io sempre in piedi, lei seduta:
l'abbraccio, la tengo stretta contro il mio ventre ancora coperto dalla
camicia.
- Non c'è tempo - mi dice. Più saggia di me, e ha quindici anni di meno.
Si rialza e si tira su le mutandine, poi si sistema i jeans. Intanto io
ho cominciato a ricordare dove sono, chi sono e con chi sono. E mi viene
il terrore.
Ma lei ha in serbo un ultimo regalo.
- Un bacio - mi sussurra. E mi abbassa la testa tirandomi giù con una
mano sul collo: ci baciamo, con le lingue innamorate, come le altre due
volte, perché io ricordi, come lei, per tutta la mattinata, il nostro
incontro, salato, sul palato.
Poi esce. Se c'è gente mi avvertirà con uno squillo. Non arrivano
squilli, esco dandomi una passata con la mano ai capelli scomposti.
Di lei intravedo solo un piede, mentre fa l'ultimo scalino per ritornare
alla sua classe di segretarie aziendali. A volte, quando i sensi di
colpa mi assalgono più numerosi, mi dico che qualcosa le sto insegnando,
che le segretarie devono imparare come comportarsi. Ma è solo una
stupida battuta, che nasconde il baratro in cui mi sono cacciato, il più
dolce, però, fra i baratri che si possano immaginare.
Ritorno in quella misera e miserabile sala insegnanti, attendendo solo
il suono della campanella, tra più di venti minuti, quando mi delizierò
vedendola parlare con le sue compagne, bella come una piccola dea, con
un sorriso soddisfatto a differenza dei finti sorrisi annoiati delle
compagne, e saprò che quella Girella che sta mangiando sarà impastata
con il succo del mio amore che ancora lei conserva nella bocca.

 

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By Faint