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Interpretamus sa brulla

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Ma, e Sos Contos nostros,sos chi torrana e sos chi non torrana, davvero pretendono di inserirsi in questo dibattito? In tempi di globalizzazione certamente si. Collocandosi ambiguamente, a seconda del punto di vista e della predisposizione del lettore e dell’umore contestuale alla lettura, essi parteggiano spudoratamente per l’una o per l’altra parte in causa: il paradosso di Epimenide, d’altro canto, non è mai stato risolto definitivamente in modo del tutto soddisfacente.

Alan Sokal e Jean Bricmont nel loro libro Imposture Intellettuali elencano i seguenti quattro casi in cui si può parlare di abuso del linguaggio matematico:

discettare a lungo di teorie scientifiche di cui non si abbia, nel migliore dei casi, che un’idea molto vaga. La tattica consiste nell’usare una terminologia pseudo scientifica senza preoccuparsi troppo di cosa significhino in realtà i termini impiegati.

Importare concetti dalle scienze matematiche a quelle umanistiche, (in un trattato di scienze sociali, per esempio), senza fornire la benchè minima giustificazione concettuale o empirica.

Esibire una erudizione superficiale sciorinando senza vergogna termini tecnici in contesti in cui questi siano del tutto irrilevanti. Lo scopo è quello di impressionare e soprattutto di intimidire il lettore.

Manipolare locuzioni e periodi che siano di fatto privi di senso: In alcuni autori si riscontra una vera e propria intossicazione di parole, combinata con superba indifferenza per il loro significato. Possiamo aggiungere un quinto caso di abuso:

Importare dai linguaggi artificiali brani che eseguono dei compiti che sono assolutamente al di fuori dal contesto. Lo scopo è quello di meravigliare il lettore e distraendolo, portarlo a confondere l’immagine con lo sfondo.

Il racconto Interpretamus cerca quindi di realizzare consapevolmente questo programma. Consapevolmente perché lo dichiara da subito: unu tentativu de sokalizzare. E’ evidente che di una lista di nomi, in genere di cose, se ne possa fare un elenco in qualunque modo uno desideri. Le liste, insiemi finiti per definizione, non hanno bisogno neppure che si sia a conoscenza del fatto che l’assioma di scelta di Zermelo sia oppure no corretto o sovrabbondante. Semplicemente si possono sempre formare altre liste scegliendo come uno crede gli elementi, uno per volta ma questo fatto potrebbe essere non necessario, da altre liste.

Ciò che è del tutto arbitrario e non giustificato, al limite inutile, è che una volta scelti da alcuni capitoli del libro Sos Contos, gli elementi titolo, essi vengano ordinati senza stabilire un criterio e ad ognuno degli elementi di questo nuovo insieme venga associato un monomio in x di un certo grado. Non viene assolutamente spiegato perché si consideri la somma algebrica di questi monomi né perché si uguagli a zero il polinomio così ottenuto. Tutti sanno, o almeno intuiscono che si sta effettivamente introducendo nel contesto narrativo un oggetto matematico familiare, una equazione a coefficienti razionali, ma nessuno sa né potrà mai sapere, perché non verrà detto né fatto intuire, a quali fini. Si tratta dell’abuso che abbiamo elencato al punto 2, importazione di concetti e termini dal linguaggio matematico a quello narrativo che nel contesto assolve due scopi: il primo è quello di allontanare l’attenzione dal dichiarato scopo del racconto di voler interpretare qualcosa, e il secondo è quello di preparare con sottile ironia la prima enormità matematica contenuta in questo racconto.

In quasi tutti i moderni testi scolastici di matematica oltre alla pratica deprecabile di dire in cento pagine quello che può agevolmente essere detto in dieci, abuso tre, è invalso l’uso dell’autointerpretazione di quanto si è esposto. E allora ogni tanto nei libri si trovano alcune pagine evidenziate, o delle finestre in alcune pagine, nelle quali si concretizza questa volontà solipsistica: dare l’interpretazione autentica della propria opera. E’ evidente che nel 99% dei casi non si chiarisce e non si interpreta assolutamente niente. E’ piuttosto la concretizzazione della totale assenza di orizzonti e metodi didattici.

Risolvendo l’equazione di decimo grado in x, cosa non impossibile manualmente ma molto faticosa, si stupisce e si impressiona il lettore, abusi tre e cinque, presentando le dieci radici complesse, chiamandole erroneamente immaginarie, e facendone un arbitrario accostamento ai racconti anch’essi immaginari. Si confondono volutamente i due significati della parola che in un contesto narrativo significa frutto della fantasia, dell’autore o del lettore, e che in un contesto matematico è un termine definitorio ben preciso che designa a seconda dell’interpretazione che viene data dei numeri complessi, la seconda coordinata di una coppia di numeri reali o il coefficiente reale di radice di meno uno se il numero complesso viene esibito in forma vettoriale.

Il fatto che si interpretino le radici complesse dell’equazione di decimo grado quali coordinate di punti nel piano cartesiano è un fatto ordinario in geometria analitica, ma l’interpretazione del grafo è assolutamente arbitraria e si è indotti a crederla pertinente a causa dell’abuso di linguaggio evidenziata al punto cinque, importazione di un linguaggio artificiale per eseguire compiti non contestuali. Diventa a questo punto plausibile l’interpretazione del fatto che i punti all’estrema destra del grafo abbiano una distanza reciproca maggiore che non la distanza di qualunque altro punto con i suoi due adiacenti: ma attribuire questa circostanza al fatto che uno viene indicato come l’inizio del racconto e l’altro la fine è un non senso. Il resto del racconto prepara all’ultimo abuso di carattere linguistico. Esso riprende la narrazione di Eduardo de Filippo, che trovandosi in uno studio televisivo ricevette una telefonata. L’interlocutore telefonico chiese: Parlo con la televisione? Rispose Eduardo: No, ma se vuole le passo il frigorifero. E’ evidente la confusione nel linguaggio comune dei termini che in contesti diversi designano oggetti e concetti diversi. Come il termine Contos e contare che vengono usati con una ulteriore e ambigua accezione, diversa da quella di racconti e di conti aritmetici. Issos non contana nudda significa ora che essi sono privi di importanza, al limite di significato. Ma a ben interpretare, tutto l’ultimo capoverso del racconto è completamente privo di senso, nonostante, essendosi fatto precedere da una esibizione di erudizione scientifica, dia l’impressione al lettore di essere una profonda riflessione di carattere filosofico. La frase dice di se stessa quello che emerge dal contesto, e cioè di essere inserita in un insieme di argomentazioni arbitrarie e prive di qualsiasi carattere scientifico e didattico.

Naturalmente non tutto costituisce una beffa, anzi il recupero di motivazione verso lo studio che il racconto propone, massimamente dello studio della matematica, è condivisibile in larga parte ed è un richiamo esplicito al profondo pensiero altrove richiamato di G. Galilei sulla lingua in cui è scritto l’universo.

E poi, se al racconto Interpretamus non diamo nessun significato di carattere scientifico ma lo valutiamo solo da un punto di vista della forza espressiva e della validità narrativa rimane pur sempre una storia riuscita. Anche Sokal è d’accordo che la matematica e l’uso distorto di essa possono trovare legittimamente ospitalità in narrativa, la quale non acquista valenza espressiva e metaforica dall’uso pertinente di una formula quanto piuttosto dalla creatività e dalla capacità comunicativa degli autori.

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