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Vicario

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La contrapposizione, o la conferma come meglio ci si vuole convincere, alla storia di Opineddu e a questa tesi appena enunciata, si trova nel racconto de Su ForsasdeNois. Qui si ha una visione assolutamente pitagorica dei numeri e dogmatica dell’aritmetica. La Scuola pitagorica aveva assunto le caratteristiche di una setta segreta politico-religiosa. I suoi adepti, che erano tenuti al segreto assoluto dei risultati conseguiti in matematica e geometria, pretendevano di spiegare il mondo attraverso le proprietà quasi magiche dei numeri. Numeri figurati, che con le loro possibili composizioni aritmetiche costituivano l’Universo: il matematico doveva scoprire queste proprietà e attraverso di esse spiegare i fenomeni naturali, e anche quelli sovrannaturali. Tra numeri triangolari, quadrati e pentagonali pervennero comunque a risultati notevoli, tra cui il celebre teorema e la scoperta dell’irrazionalità di radice quadrata di 2.

Tanto erano settari i pitagorici che quando un allievo della scuola, Ippaso di Metaponto, rese pubblica questa scoperta non esitarono ad assassinarlo. La scuola ebbe un inevitabile declino e gli aderenti propendettero sempre di più nelle loro ricerche verso la numerologia e l’astrologia. È evidente che l’interpretazione della stringa di 6 quale numero satanico sia un tardo rimasuglio pitagorico. La ulteriore forzatura nella interpretazione dei simboli numerici, piuttosto che l’indagine del loro comportamento aritmetico, porta alla rovina del povero prete. L’eccesso di indagine matematica nella storia di Opineddu si contrappone in questa ad una assoluta carenza di indagine: le proprietà cicliche di certi numeri scritti in forma decimale non sono difficili da indagare né sono sconosciuti i numeri primi o il passaggio al loro reciproco.

Il personaggio Su Vicariu è quello de Sos Contos più esposto alle insidie del ragionamento matematico. Egli vive in un mondo antiscientifico nel quale prevale la magia e la stregoneria, nel quale non si hanno strumenti né di difesa né di attacco contro chi trama e mette in atto veri e propri soprusi contro il prossimo. Chissà quante volte nelle prediche ai suoi parrocchiani avrà illustrato il passo del Vangelo di Marco sul perdono: Pietro chiese: ‘Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?’ Gesù gli rispose: ‘Fino a settanta volte sette’. Non è il valore morale del Comandamento che si vuole discutere, ma l’uso figurato che viene fatto dei numeri. Settanta volte sette: ma non sarebbe stato più facile rispondere 490? Invece abbiamo questa insistenza sul sette e le sue potenze, che Sant’Agostino interpreta come una metafora dell’Infinito. Su Vicariu conosce questa lezione e sa anche che la circonferenza e il suo percorrerla sempre in un verso, come un cane che insegue la sua coda, sono anch’essi una metafora dell’Infinito. E allora elabora una parabola tutta personale, e la lancia come sfida culturale nelle sue prediche domenicali, al ladro delle offerte: Bisogna perdonare settanta volte sette, ma alla fine il ladro ci casca, ditemi voi come si chiama. E saputolo, magari dietro il confessionale, è si, disposto a perdonare, ma certamente non a far perdurare l’incresciosa situazione. E così si mette nei guai. Pestato, torturato, umiliato, condannato a morte, quasi pieno di rancore verso Dio gli chiede: Tu che sai tutto, come mai non ti sei accorto che derubavano il tuo servo? Ed è in questo momento che ha la grande illuminazione intellettuale: prima furon le cose e poi i loro nomi. 142857 non è il nome del cane, è il cane stesso. Non il significato figurato del numero, (come pretendevano i pitagorici, come ha preteso Satana, come hanno preteso i Santi Padri dell’Inquisizione), ma il numero stesso ha una sua esistenza reale e un suo modo di comportarsi e rapportarsi verso gli altri numeri e le altre cose. Questo bisogna indagare. E ci piace pensare Su Vicariu avviarsi al patibolo, quasi a celebrare il suo trionfo, meditando queste parole di un suo contemporaneo: ‘La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi, (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. (Galileo Galilei, Il Saggiatore).

Anche in questa storia, l’utilizzo che il potere fa delle conoscenze matematiche è quello di legittimarsi e giustificarsi. E qui sorge il secondo problema, (in qualche modo opposto alla domanda se la matematica sia una scienza autoritaria): la matematica è un insieme di linguaggi e metodi per descrivere il mondo, o ciò che si vuole, ma l’uso e l’abuso che si fanno di essa sono autoritari, antidemocratici e poco trasparenti?

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