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Enrico Deregibus

 

VENDO ANCH'IO? NO, TU NO

 

C’è un bambino dentro ad uno che nella vita fa il giornalista musicale, ed ha l’aggravante di occuparsi quasi solo di musica italica e più che altro di canzone d’autore. Chiaramente un caso clinico.

Il pargolo, di quelli un po’ meditabondi/pallosetti, ha l’insana inclinazione a collezionare perché. Ma, e qui viene il peggio, non ti chiede perché il sole è giallo; no, in attesa che gli vengano i brufoli e si metta a pensare ad altro, ti sbatte in faccia interrogazioni tutte sue. La preferita è: perché in Italia ci sono una decina di cantautori che vendono tanti dischi e un migliaio che fanno fatica a fare quello successivo?

Certo, il problema c’è (quello dei cantautori, oltre a quello del piccolo rompiballe). Ma converrete che, tra l’in-globalizzazione, l’effetto guerra, il DNA della famiglia Bush, il presidente-operaio et similia, le faccende serie di cui occuparsi sono altre, e molto probabilmente sul problema avanzato dal fanciullo si può tranquillamente dormire la notte, a meno che non si sia uno dei mille cantautori di cui sopra o al limite le relative famiglie, che magari devono ancora passare loro la paghetta settimanale. E capita che quelli abbiano quarant’anni.

E invece no, il bambinetto non dorme, ci pensa su, si tormenta, e al mattino te lo richiede di nuovo. Non provate con “perché uno su mille ce la fa”, non gli piace Morandi, non ci casca e vi guarda male. E allora perché?

In effetti De Gregori, Guccini, Fossati, Battiato, Conte, De Andrè (quando c’era) e pochi altri vendevano e vendono centinaia di migliaia di copie, avevano e hanno quasi sempre i concerti pieni. Quegli altri no. Anzi, se arrivano a qualche migliaio di Cd venduti è già tanto.

In mezzo, tra la serie A a dieci squadre e la serie C a mille, non c’è quasi più la B. Quelli di sopra difficilmente retrocedono e quelli di sotto difficilmente salgono di categoria.

Uno può dire: sarà che i primi son più bravi. Ma non è così, giura il giornalista, è da quando ce li aveva lui, i brufoli, che ne è convinto. In Italia sono tanti i grandi misconosciuti e gli emergenti mai emersi che hanno tutte le carte in regola, ed è un peccato che le loro canzoni le conoscano quattro gatti. Perché ce n’è bisogno, di quelle canzoni. Ce n’è bisogno anche per l’in-globalizzazione, per l’effetto guerra, per il DNA della famiglia Bush, per il presidente-operaio, ce n’è bisogno per capirci qualcosa, di quel che ci succede attorno, e/o dentro.

Questa rivista le cartucce che ha quando può le spara: lo fa mettendo tutti sullo stesso piano, l’ha fatto poco tempo fa con la copertina a Van de Sfroos e ora con quella a Lolli. Ma il giornalista può fare molti altri nomi, e due li fa subito, non del tutto a caso: Pinomarino  (romano dalla vena originale e traboccante) e Max Manfredi (genovese di gran levatura, che ci ha anche suggerito il giochetto di parole che intitola questa pagina in occasione di un convengo sullo stesso tema). Chi non li conosce se li ascolti e poi dica se non è vero che valgono tanto quanto gli incoronati suddetti.

E allora - risbotta il pischelletto - perché c’è tanta differenza di pubblico?

Per la promozione, dirà qualcuno. Si, ok, è evidente che quelli hanno giornali copiosi (triplo senso), persino un scampolo di radio, e quegli altri no, ma è anche vero che in tv ci vanno poco o niente ed anche loro all’inizio non se li cagava nessuno, la promozione è arrivata dopo. Son cambiati i tempi, dirà qualcun altro. Ma – prorompe il pargolo - in che senso?  Che una volta c’era bisogno di certe cose e ora no? E allora perché quelli continuano a vendere? Vuol dire che c’è bisogno di parole e musiche e voci solo se son quelle di De Gregori e c.?

Al giornalista non pare sia così. I mostri sacri son diventati icone, certo, vendono e riempiono anche per quello, hanno un valore aggiunto, è vero. Ma quegli altri perché non lo posson diventare?

Il piccolo moccioso non si fa convincere. E i mille continuano giustamente a lamentarsi e a far dischi che vendono poco o niente.

Su questo però una cosa va detta, ai mille cantautori della porta accanto. E cioè che sarebbe meglio, tanto per cominciare, se iniziassero ad ascoltarsi l’un altro, onde evitare di conoscere solo il proprio ombelico, oltre a quello dei dieci eletti, credendo magari di essere dei geni unici: geni non sappiamo, ma unici sicuramente no.

Va bene che, di solito, qualcuno i dischi prima o poi glieli fa fare. Lunga vita agli indipendenti, anche perché sicuramente un pezzetto della spiegazione sta nella miopia delle grosse case discografiche che non danno possibilità a questi garibaldini senza approdo.

E qui il giornalista vuol fare un nome che poteva fare anche prima, tra i copertinati dell’Isola: Sergio Cammariere. Il suo disco, che contiene canzoni che in alcuni casi hanno dieci anni, è arrivato al primo posto in classifica, e - su ragazzi, bando alle invidie - sarebbe bello prenderlo come un buon segno per tutti, questo, visto che da parecchio tempo nessun nuovo cantautore riusciva a sfondare il muro del suono delle vendite. Lui per anni si è sentito dire dalle major/pejor “bravo, ma non venderai mai nulla”, e ora si scopre che duecentomila persone la pensano diversamente. Ci sarebbe da fare un giretto da quei signori con sottobraccio i tabulati dell’hit parade.

Ma, diciamoci la verità, la soluzione dell’arcano non può stare solo nella vista corta e nelle poltrone traballanti dei colossi multinazionali. C’è anche altro. Ma cosa?

Il giornalista da questo numero ha la sua bella rubrica e la prima volta ha voluto usarla per porre il quesito. Chi ha idee si faccia sotto. Gli diamo in affidamento il bambino (e magari anche qualche cantautore in attesa di popolarità).

Se volete intervenite sul nostro forum all’indirizzo 

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