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Enrico Deregibus

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RECARSI. AD ASTI


Inconscio e informatica combinano cose strane insieme: sarà capitato anche a voi di sbagliare incessantemente a scrivere (pardon: digitare) sulla tastiera del PC una certa parola. Lapsus, atti mancati, errori che, ci ha spiegato il buon Sigmund, significano qualcosa nelle nostre testoline farraginose. L’autore di questa rubrica, da quando ha iniziato a seguire l’ultima edizione del Premio Città di Recanati - encomiabile concorso che si tiene ogni anno nella città del poeta per segnalare nuovi cantautori - continua a incagliarsi sullo stesso: “Recanati” gli vien fuori perennemente “Recanti”.
*** Oibò. Non sarà che l’inconscio ci sta dicendo: questi novelli De André che vincono Recanati
poi, dopo, dove si recano? Ovvero Recanati serve a qualcosa? Li lancia? Farà di loro delle stelle, baby? Ci spiace veramente dare la risposta. Che sostanzialmente è no. Ci spiace perché Piero Cesanelli, Ezio Nanniperi, e tutti gli altri organizzatori si fanno un mazzo così durante l’anno per portare otto ragazzi ad esibirsi nella città del poeta quando l’estate sta per cominciare. Però poi, stabiliti i vincitori, i vincitori lì restano. Come laureati in scienze politiche, continuano ad aspirare e aspettare.
Certo qualcuno che è passato da lì e poi di strada ne ha fatta c’è: Avion Travel, Gianmaria Testa, Pacifico. Ma forse l’avrebbe fatta anche senza Recanati. (Ora speriamo nei superlativi Acustimantico o in Patrizia Laquidara, che era l’anno scorso a Recanati e che, dopo esser passata da Sanremo, esce in questi giorni con il suo primo album che siam curiosi di sentire).
È difficile smuovere le acque, lo sappiamo. Però si deve trovare il modo, i modi, perché il Premio Recanati sia anche un punto di partenza oltre che di arrivo, e questo vale anche per tutti gli altri concorsi e concorsini che pullulano in Italia.
*** Riguardo ai dischi quest’anno una novità c’è: Elleu Multimedia pubblicherà un CD di uno dei finalisti di Recanati. Bene, bravi, bis. Ma è anche il fronte live che ci preoccupa: occorre farli girare, questi ribaldi giovani (anche se anagraficamente magari non lo sono più), dar loro dei posti dove suonare e della gente davanti a vederli. Tempo fa ci è venuta un’idea originalissima, salvo poi scoprire che in Italia ce l’avevano avuta altri mille: creare una circuitazione, una serie di locali ammodo dove i vincitori di questo ed altri concorsi possano andare a far vedere di che pasta, di che parole, di che musica son fatti. E magari trovare un punto di partenza comune, una rassegna dove - con l’esca di qualche nome grosso - si possano esibire. E dove magari gli organizzatori di tutti i concorsi si possano ritrovare e guardarsi negli occhi.
*** E adesso, lettori cari, facciamo una deviazione. Perché vi vogliamo parlare di un libro che non c’entra (nulla ?) con quel che abbiam detto finora. Si intitola “Hobo- una vita fuori giri”, scritto da Massimo Cotto (Editori Riuniti 2003, pagine 164, euro 12,00) e che parla ben poco di musica italiana. Cita qua e là Fossati, Conte, Silvestri e forse qualcun altro che non ci siamo appuntati. Parla di rock, tanto, di gente con passaporto inglese o americano. Ma è un libro di uno dei migliori giornalisti musicali italiani, uomo di radio e di carta, di prontezza e preparazione, che fino a poco tempo fa aveva un bel programma nel dopopranzo di Radiouno. E ora non ce l’ha più. Portava il titolo che porta questo volume e spaziava e dava spazio alla musica bella. Anzi no, alla musica vera. E a tanta musica italiana, compresi i ragazzi senza sbocchi dei vari concorsi italici. Parliamo volentieri di questo volume anche per solidarietà.
“Hobo” è un romanzo, il primo romanzo di Cotto, rimasto qualche anno in un cassetto con dubbi e timori. Di libri ne ha fatti tanti, il signor Hobo, ma erano biografie, era mettere le mani su una materia già esistente, era avere dei paletti e dei segnali indicatori da cui non si poteva prescindere. Qui la materia è invenzione (forse non tutta, ma non importa), mentre resta intatto il piacere di raccontarla. A partire dall’incipit: “La prima volta che io e Terry abbiamo scopato, lei aveva 15 anni, io 16, Tom Waits 29” che ha già dentro, come un bocciolo, tutto il libro.
“Hobo” è il racconto dei quarant’anni di un uomo rimasto all’epoca del vinile, di un uomo “fuori giri” come recita il sottotitolo che doveva essere il titolo. Di un uomo che ha ricordi vivi e sogni acciaccati, Peter pan o giù di lì. “Hobo” è scritto in forma di diario, dove ogni capitolo è un giorno e un pezzo di puzzle di una vita scalcagnata. Non vi diciamo altro di quel succede dentro queste per niente lineari pagine - se non che ci troverete ironia, dolcezza e una valanga di sesso, oltre alla musica - anche perché l’intreccio è la cosa minore.
Ma vogliamo invece dirvi di come sono scritte. Ecco, anche se a volte i cori ci fanno venire l’orticaria, stavolta ci uniamo anche noi: Massimo Cotto sa scrivere bene, sa mettere in fila le parole e i periodi da farli lievitare dalla pagina. C’è un capitolo su Genova che è splendido, e ce ne sono tanti altri notevoli, in un libro che da qualche parte sicuramente vi porterà. Purtroppo non più ad accendere la radio dopo pranzo.
Ma Cotto, oltre a scrivere e a far radio, fa anche altro, il presentatore o il direttore artistico di festival. Ora è tornato ad occuparsi di Astimusica nella sua città. E quest’anno tre serate della rassegna, che si svolge nei giorni in cui questo giornale è in stampa, saranno dedicate proprio ai novelli De Andrè, vincitori dei vari concorsi. Organizzate insieme al Diavolo Rosso, assai prestigioso locale della città di Paolo Conte, si chiameranno “Festival dei Festival”. Ci pare che la cosa parta troppo in sordina, forse senza la necessaria determinazione (e la circuitazione non c’è ancora). Ma intanto parte. Non sappiamo cosa verrà fuori ma il vostro rubrichista la sostiene comunque. Cogli la prima mela, diceva Branduardi. Proviamo ad essere meno fuori giri, tutti.
p.s. al p.s. Grazie al correttore di bozze che ha corretto tutti i
“Recanti” di questo pezzo.

 

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