Luciano Sopelsa

Sarebbe impossibile, nei limiti di una nota di presentazione, tentare di incasellare l’opera di Luciano Sopelsa in una categoria estetica. Diremo subito che la sua pittura oltre che essere frutto di una lunga esperienza tecnica e umana (e se si vuole anche di necessità interiore) prende avvio sempre da uno “stato emozionale” che si traduce in forma, in segno, in colore; si concretizza in visioni tra noi e la realtà.

da uno scritto del critico Mario Gorini

 

 

Presentazione

 

..Omissis…

Mio padre dipingeva, da buon veneziano, eleganti acquerelli (alla Fragiacomo) ma il suo interesse si manifestava soprattutto per la grande pittura del ‘500 Veneziano, e la visita domenicale all’Accademia o a qualche chiesa o museo, rientrava nell’ambito delle “cose da farsi”. 

Venezia, 1950 – La famiglia Sopelsa

(da sinistra: Annamaria, il padre Enrico,

‘Ciani’ Pier Luigi, la madre Lucia, Teddy,

Luciano, Liana)

La famiglia Sopelsa

 

Tra le varie persone che frequentavano la nostra famiglia c’era un cugino di mio padre, certo Duillio Corrompaj, pittore, noto per essere il ritrattista delle belle donne veneziane. Veniva spesso per casa e, un giorno si interessò molto a me quando vide i miei primi tentativi di pittura e disegno, tanto da invitarmi nel suo studio.

Ricordo perfettamente la forte impressione che ricevetti da quella visita, quell’ambiente pieno di colori, di persistente odore di acquaragia, di manichini in strane posizioni, lampade schermate, luce proveniente da un grande abbaino sul soffitto, fiori secchi in vasi antichi dalle forme sinuose, drappi di broccato appoggiati su cavalletti… tutto era insolito, affascinante e colpì molto la mia fantasia di ragazzino Formulai allora un preciso desiderio: “da grande, farò il pittore!” e da quel momento dedicai sempre più tempo ed energie in quell’attività..

  Mio fratello Pier Luigi, in famiglia Ciani, più vecchio di me di tre anni, aveva già intrapreso gli studi all’Accademia con maestri di grande prestigio, come gli scultori Martini, Bellotto e Baglioni, interessandosi anche alla pittura, e sviluppando una vera passione maniacale per il teatro e la musica.

Naturalmente portava in famiglia i fermenti delle nuove espressioni artistiche e, questo, scatenava vivacissime polemiche con nostro padre, più tradizionale. Così i dopocena (per fortuna non c’era la televisione) si trasformavano in vere e proprie dispute appassionate tra chi difendeva le diverse posizioni: mio padre arroccato nel suo mondo classico-romantico e mio fratello ed io che volevamo scoprire i valori delle realtà allora attuali.

Nel frattempo, anche il mio altro fratello Teddy, il più giovane, che aveva iniziato a studiare canto al conservatorio, entrò a far parte delle nostre dispute serali, che si ampliavano specialmente grazie alla presenza frequente di quanti avevano fatto della nostra casa, un punto di riferimento. Ho particolare gratitudine per l’autorevole guida nel campo musicale, che la presenza del maestro Amendola, musicista autentico, compositore e allora direttore del Benedetto Marcello, ha saputo stimolare in me.

Venezia, 1942 Luciano Sopelsa

  nella sala centrale della casa di

famiglia

Venezia, 1942 - Luciano Sopelsa

La sua competenza e la sua delicatezza, hanno saputo ordinare e dirigere in maniera costruttiva, il mio amore per il mondo musicale. Questo suo importante insegnamento mi ha permesso di affrontare la poetica del mondo artistico partendo dall’educazione progressiva e tecnica, dove il non saper fare diventa una remora insormontabile. Già suonavo il pianoforte, distribuendo il mio tempo, tra lo strumento ed il pallone, altra mia grande e mai trascurata passione e, l’incontro e la frequentazione del maestro Amendola, mi ha portato ad approfondire le mie tendenze, quelle rivolte alla musica! Ovviamente!

Inoltre il grande palazzo dove abitavamo alla Madonna Dell’Orto, aveva grandi capacità ricettive e molti furono i musicisti e gli artisti che si unirono al gruppo. Più aumentavano i personaggi, più le discussioni diventavano accese, istruttive e interessanti. Purtroppo anche nel vivo di una disputa accesissima, dovevamo controllare l’orologio per evitare che mio padre arrivasse, come un sergente inflessibile anche se in camicia da notte, a mostrarci che il tempo a nostra disposizione era scaduto: a mezzanotte c’era la ritirata obbligatoria e inderogabile!

Era tutt’un’altra storia, e succedeva spesso quando, in occasione di qualche serata alla Fenice, dove tutto il gruppo partecipava, al rientro si tirava tardi, tra soste in osterie aperte, o negli accoglienti campielli deserti. Non vi erano allora limiti di tempo alle discussioni anche se, oggi, più degli argomenti discussi ricordo la magia e il fascino stupendo di una Venezia silenziosa e solenne nelle sue splendide e sempre suggestive scenografie.  

Spesso ritornavamo quando albeggiava e, giunto al Campo dei Mori, a pochi passi da casa, non potevo trattenermi da qualche minuto speso in raccoglimento al pensiero che su quelle stesse pietre aveva passeggiato il mio grande maestro ideale. Nella casetta d’angolo era nato infatti il grande Jacopo, lì era vissuto e, a pochi passi e un ponte, aveva lavorato ed era morto, nella magnifica chiesa di Madonna Dell’Orto.

Anche i miei genitori, molto religiosi, frequentavano per altri motivi, la stessa chiesa e avevano stabilito un rapporto molto vivo con i frati, in particolare con uno giovane che mi aveva preso in simpatia e che, approfittando dei ponteggi allora eretti all’interno della chiesa, mi ha dato l’opportunità di esaminare da vicino le opere del grande pittore ricevendone un’impressione che mi è rimasta vivissima ancor oggi.

Grazie alla confidenza instauratasi con frate Andrea, diventato quasi un amico, potei affrontare, su un piano più approfondito, un argomento che mi appassionava e che mi lasciava pieno di dubbi e interrogativi.

I miei genitori, con amici e parenti, praticavano con quotidiana naturalezza, lo spiritismo, accettandolo come fatto normale, mentre io, dall’atmosfera che si era creata in famiglia, restavo profondamente scioccato anche se incuriosito dai fenomeni inspiegabili che accadevano.

Con padre Andrea affrontai l’argomento degli spiriti perché, in una delle ultime sedute era “arrivato” il mio idolo: Jacopo Robusti detto il Tintoretto.

Purtroppo alcune sue risposte ai miei precisi interrogativi circa la sua arte e la sua produzione, ad esempio se aveva dipinto prima la presentazione della Vergine al tempio o La Cena a San Giorgio Maggiore, furono vaghe o, addirittura, non ci furono.

Mi sarebbe piaciuto arrivare a delle certezze, purtroppo ancora oggi i dubbi rimangono, anzi lo scetticismo è più accentuato, ma non posso negare che una traccia, forse inconscia, è rimasta dentro di me.

 ..Omissis…

da  A tu per tu con Jacopo di L.Sopelsa

in “Artisti in famiglia” ed. Terra Ferma s.r.l., 1999 Vicenza

 
           

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