[recensioni]
Ha detto degli altri
Splendore e ricerca
Silvana Alliri è artista poliedrica, che accomuna l’uso della semplice penna a
quella del ben più sofisticato computer. I suoi versi, spesso intensamente
indirizzati al sociale e alla denuncia dell’ingiustizia, si mescolano a immagini
virtuali splendenti ottenute con la rielaborazione fotografica al computer. La
scelta dei colori intensi e vivaci denotano una grande vitalità intellettuale,
che non si lascia immalinconire dalla realtà, ma piuttosto intende battagliare
con essa alla ricerca del meglio e del bello.
Albe e tramonti
Il linguaggio poetico di Roberto Tore non
è fra i più semplici. Egli stesso dice di usare il cuore e il dizionario, quando
intraprende una nuova avventura creativa. Confessa di limare e rifinire le sue
composizioni all’infinito, mai soddisfatto del risultato. Comunque sia il
prodotto finale è sempre estremamente raffinato, confinante a volte ma mai del
tutto con l’ermetismo.
Anche lui si rivolge alla natura per trarne ispirazione ma il risultato non è
mai banale nemmeno quando si adagia nei ricordi, come spesso capita ai poeti.
Spuntano fra le rime le case di Sant’Olcese, suo paese natale, le albe i
tramonti dell’entroterra ligure brillanti e pieni di ansie ma anche di pace e di
serenità: uno strano miscuglio meditativo in cui emerge il suo carattere
riflessivo ed insonne. Nella sua poesia spesso si parla della notte, dei suoi
confini, dei suoi abitanti e dei suoi prodotti: i sogni. Il tutto con una
pacatezza che raramente s’incontra nell’animo umano, sempre così contrastato e
arrogante per sua natura intrinseca. C’è un ottimismo di fondo sempre lucido di
fronte ai problemi esistenziali, una constatazione degli eventi senza mai alzare
il tono della voce, rivolto com’è ai grandi respiri delle cose silenziose, la
cui esistenza è solitamente data per scontata nella frenetica vita di tutti i
giorni.
Nelle sue ultime composizioni, questo intimismo diventa ancora più profondo,
sconfinando nella meditazione sugli argomenti fondamentali della vita e della
morte e scoprendo un profondo sentimento religioso.
Una strada di sogni
Alcune composizioni di Angelo Guarnieri sono perfette nella loro brevità e nella
loro limpida poesia. Sempre c’è un accento particolare, qualcosa che distingue
l’autore dagli altri autori. A volte si trovano delle invenzioni veramente
originali, frutto di un pensiero accorto. Ma alcune sono veramente splendide,
come quel Ho paura, che chiude una composizione più lunga e ch’è il grido
di tutti i giovani alle prese con la vita, con gli ormoni e con se stessi. In
quella composizione, in poche parole, è concentrata tutta l’angoscia di chi si
ritrova buttato a capofitto nel marasma senza pace dell’essere persona umana,
marasma dal quale ci si comincia a districare solo quando è quasi ora di morire
e tutta l’abilità del mondo non serve più.
Ci sono frammenti di sentimenti che vagolano fra le rime come in Fragments,
una delle sue più belle poesie d’amore; come le immagini contenute nella poesia
dedicata A Marko Vesovic’ ; come la metafora della nave Nel porto di
Genova…; poi va raccogliendo Sorrisi da collezionare e parole da
masticare; nel turbine dei pensieri c’è sempre una metafora brillante, un sogno
inaspettato, una realtà che pesa… Ognuno riconoscerà la sua realtà, i suoi
sorrisi, i suoi sogni qua e là sparsi nella sua poesia, preferendo questa o
quella che gli parrà più bella, più fresca, più incalzante a specchio della
propria anima. Questa è la strada del poeta, lastricata d’intoppi e di
difficoltà, di sogni e di passioni, una strada che non si può interrompere una
volta intrapresa. Buon viaggio, Angelo!
Un brivido di vita
Angela Torchia è persona di carattere aperto ed esuberante. Questo è il
messaggio che passa attraverso le sue opere. Colori sgargianti, accostamenti di
complementari, tratti di materia decisi e larghi. Forme sostanzialmente semplici
ed elementari. Si ritrova in ogni sua opera l'ansia d'identificarsi con gli
avvenimenti, con le bellezze e con i dolori del mondo. Ogni oggetto
rappresentato ha un significato. Ma è nelle sue opere più astratte che si
realizza l'emozione più pura. I colori si rincorrono in ampi colpi di spatola,
che prendono ispirazione dalla materia ma s'identificano con le corde dell'anima. Il viola, il giallo, l'arancio o il blu non sono solo tonalità più o
meno pure sono sentimenti. Spesso l'azzurro s'illumina di amore per la sua
terra, per il mare amico o nemico che sia, il giallo si trasforma nel ricordo
delle ginestre di primavera. Qualche volta il fondo si mescola con la figura
principale, dando a quest'ultima un'idea chiara dell'ansia che la percorre, ma
nella maggior parte dei casi sono le ingiustizie del mondo che entrano
attraverso i colori come i blu e i rossi che invadono il fondo di Oro Nero,
i viola e i verdi di Tsumani, gli arancio di Macchie solari e di
Mare d'estate oppure i verdi scompigliati e arruffati dei Gabbiani. Nel complesso una pittura forte e invadente che gioca sulle tonalità
contrapposte per dare allo spettatore un brivido di vita. Una pittura che non
passa inosservata.
Immagini e sentimenti
La raccolta di Paola Carroli, Capriole Poetiche, è una raccolta di poesie
giovani. Non poteva essere diversamente vista l'età dell'autore. Sono
giovani nella loro freschezza non priva però di un senso profondo, di una
introspezione acuta che ancora non soffre dei danni provocati da quel terribile
lavoro a tempo pieno che è vivere la vita. Ci sono, mescolate ad altre, le
poesie per un anno (l'autore ha dedicato infatti una lirica a ogni mese),
nelle quali s'incontrano acute osservazioni della natura e dei sentimenti umani.
Ci sono immagini limpide e serene quasi a non permettere che il reale entri a
disturbare il sogno. Vi sono sentimenti universali che affiorano fra parole mai
banali.
Essendo un primo libro ha tutti i difetti e i pregi delle prime edizioni:
raccoglie e convoglia in esso tutte le ansie e le aspettative di un autore alla
prima esperienza. Ci sono accenti montaliani, tentativi di poesia in lingue
diverse dalla propria. Poesie che io non sono in grado di giudicare, non
conoscendo a sufficienza i linguaggi scelti. Posso quindi dare una valutazione
solo della versione in lingua italiana. Anche lei, come tutti i poeti, si batte
e si dibatte con il solito gabbiano in bilico sull?onda, con le mimose e con la
luce delle stelle. Inoltre si cimenta con la grafica, componendo poesie in forma
di calligramma come Scala di parole e Primavera. Qualche volta,
nella migliore tradizione ligure, l'autrice si dilunga nelle descrizioni dei
paesaggi, ma la cosa importante è che anche nelle liriche dove predominano
questi elementi paesaggistici, si trovano sempre accenni a ripensamenti ed
introspezioni, il che fa ben sperare nelle prossime elaborazioni e maturazioni
di stile e di pensiero.
Paola dimostra di essere persona riflessiva e attenta ai sentimenti ma anche
alle vicende della vita che hanno su di lei un impatto emotivo acuto. Come ogni
buon poeta tende a rifugiarsi nel sogno per riuscire a sfuggire in un qualche
modo alla realtà che è sempre troppo dura e troppo aspra. Coglie qua e là un
profumo, una immagine, un sentimento. Si cimenta anche con la metrica e con le
rime, non soltanto utilizzando quella classica di cuore-amore. In
effetti, spesso, sembra che lei dia molto più importanza ai sentimenti piuttosto
che alla razionalità, in sintesi preferisca il cuore al cervello,
ma dalle sue rime appare chiaro che è proprio quest1ultimo il motore di tutte le
ricerche. Poteva essere diversamente?
Nella prefazione ci sono acute riflessioni sull'arte poetica, che lei descrive
come puro atto d'invenzione bello in se stesso grazie al quale si apre un
orizzonte infinito. Lei stessa descrive le sue opere come schizzi di
pensieri lungo il cammino della vita. Una specie di arma che l?aiuta a
vivere nella bolgia infernale del mondo. Questo concetto traspare anche in
Giornata d'evasione, soprattutto nella seconda parte, dove la folla serve a
riposare i pensieri è dimenticarmi del tempo e sfiorare l'ala di un
sogno?
A mio parere, però, le migliori composizioni sono quelle brevi, perché in esse
Paola riesce a sintetizzare il suo pensiero e a fornire al lettore un input per
continuare a sviluppare a modo proprio il tema iniziato e lasciato in bilico,
come accade in Brevissima.
Un primo esperimento ben riuscito di comunicazione poetica, l'arte più antica
del mondo.
Merletti e fiori di luce
Di fronte alle opre di Luigia Brignani Griffini non si può che restare
meravigliati.
Sul fondo blu intenso delle sue porcellane spiccano arabeschi di pizzo di color
bianco abbagliante, minuziosamente riprodotti nella loro integrità. L'artista
non si accontenta di decorare tazzine, piatti o vasi e non si accontenta nemmeno
del merletto. Reinterpreta forme antiche come gli scacchi o il gioco dell'oca,
perfino un violino, con la sua tecnica individuale, unica nella perfezione delle
forme, che riproducono gli antichi temi del pizzo di Cantù, rinomata arte
lombarda. Anche il blu
non è il solito blu di Albisola: è un blu notte intenso e caldo, ottenuto dal
rimescolamento di più ossidi. Ogni pezzo è finemente decorato, perfetto nelle forme in una
interpretazione all'apparenza serena e metodica. Ma neppure questo è vero fino
in fondo, perché ogni pezzo nasconde e tradisce allo stesso tempo profonde
emozioni. A mio parere, il suo personale capolavoro rimane a tutt'oggi il
violino sia per la scelta del supporto sia per la delicatezza del merletto
scelto come decorazione, sebbene vi siano molti pezzi che meritino l'attenzione dell'osservatore, come il grande vaso con farfalle ed orchidee dedicato alla
Zia Cesira, personaggio che per l'artista ha rappresentato un importante
legame elettivo.
I merletti spesso si alternano o si mescolano con fiori e farfalle dai colori
sgargianti: elementi questi legati al vissuto dell'artista che, con questi si
collega sentimentalmente ai ricordi di persone care perlopiù appartenenti alla
sua famiglia ma anche amici con i quali ha stabilito rapporti intimi profondi ed
intensi. Tutte le immagini sono quindi ricche di simbolismi che legano reale e
irreale, materia e sentimento con un lungo filo ideale, che nei quadri si
materializza in cuciture vere e proprie effettuate sulla tela con i materiali
più disparati e stravaganti, la tecnica di attuazione delle quali è spesso
segreta.
Già, perché Luigia non si occupa solo di porcellana. Fra le sue molteplici attività c'è anche la pittura su tela, portata a termine con tecniche miste che
comprendono oltre alle cuciture anche il collage e l'uso dei più tradizionali
oli. Contrariamente alla porcellana nella quale si esprime con tecniche
metodiche e calligrafiche, almeno nei risultati, nelle pitture Luigia si lascia
andare con larghe pennellate informali che ricercano nella confusione delle
linee soprattutto ed essenzialmente la luce. Partendo dall'immagine fotografica
di una delle sue porcellane blu e bianche applicata a collage, illumina di
gialli e bianchi il fondo della tela sulla quale si materializzano evanescenti
forme di fiori surreali, che sembrano fatti esclusivamente di luce.
Un poeta da scoprire
Raramente ho trovato
un poeta originale come Venanzio. Non sono gli argomenti a detenere il primato
dell'originalità: Venanzio scrive sul sale da cucina, sul suo cane, sul suo PC,
sugli affetti e su tutto quello che io gli
suggerisco di volta in volta! Se ancora non si è capito, è una delle mie vittime
preferite! Lui stoicamente si adatta e scrive, ma sempre con un linguaggio
originale, spesso anche divertente. C'è sempre un volo di fantasia, una trovata
stravagante, un modo di esprimersi unico e distinguibile dal marasma dei
linguaggi sempre un po' sciapi e malinconici che spesso s'incontrano
nelle antologie ecumeniche. Non per niente, la composizione di maggior successo,
inserita nel mio Polenta e caramelle di menta, è stata proprio quel suo
Oggi ho lavato i piatti, così ricco di humor e di fine analisi della
società che, nella semplicità apparente del linguaggio, attirano l'attenzione e
suscitano l'ilarità del lettore. Non sempre le sue composizioni sono allegre, ma
anche nella malinconia il suo linguaggio riesce ad essere pregevole e
particolare. Insomma, quello che ci si aspetta da un vero poeta.
Fantasia e ingegno
Salvatore Aiosa ha saputo maturare un gusto tutto suo particolare per l'arte
contemporanea, per la ricerca delle forme sia nella pittura sia nella scultura.
Messe da parte le stranezze e l'originalità esasperata delle sue prime
creazioni, poco comprese dall'ambiente culturale in cui vive, con la scultura ha
ben presto individuato un linguaggio alternativo che gli ha permesso di
dialogare con la realtà della tradizione locale ma anche con le idee innovative dell'arte contemporanea.
I primi quadri, quasi informali, denotano un senso della novità e uno studio
degli spazi, che finirà per approdare alla scelta scultorea del tutto tondo,
ottenuto con la manipolazione dell'argilla. In questo campo, la preferenza per
il corpo umano, perlopiù femminile, lo ha costretto a uno studio anatomico, a un
attento esame dello scheletro e della muscolatura nell'intento di riuscire a
definire esattamente i volumi delle sue opere. Nei suoi dipinti, le atmosfere
inquietanti indotte dalle tonalità ocra, marrone e nero delle vernici
industriali e delle terre, con le quali aveva tentato le sue prime
sperimentazioni, hanno lasciato il campo agli acquarelli più prettamente
figurativi, ai ritratti di donna, impreziositi dagli inchiostri a spruzzo e,
alla fine, alla ceramica, talvolta sostituita con assemblamenti di materiali tra
i più disparati sia reperiti in natura sia rintracciati nelle officine
meccaniche della sua attività lavorativa.
Salvatore Aiosa è una di quelle persone che parlano poco ma bene, si esprimono perlopiù con la loro arte e vanno sempre all'essenza delle cose. Anche le sue
opere mantengono sempre codesto criterio di semplificazione delle linee, questo
andare al nocciolo della questione, rappresentando le forme nella loro essenzialità, trasformandole in sentimenti di terracotta. Possiede un innato
senso artistico, un occhio attento per tutto ciò che riguarda colore e forma,
una propensione per la sperimentazione, tanto da ricercare il contatto con tutti
coloro che, come lui, provano e riprovano nuove tecniche e nuove espressioni,
non limitandosi alle arti figurative ma allargando il campo dell'associazione a
forme d'arte più evanescenti come la musica e la poesia. Gli scambi d'esperienze
dal punto di vista artistico sono per lui fondamentali, sebbene con fatica gli
riesca d'uscire dai luoghi della sua infanzia e della vita quotidiana, luoghi
così poco propizi per tradizione alle innovazioni del gusto estetico. Questa è
la principale causa dei suoi frequenti disamoramenti e del suo lasciar cadere la
ricerca artistica a favore d'interessi più terreni e concreti, per riprendere
poi di quando in quando le attività sulla spinta della collaborazione con amici
pittori, fotografi, poeti, musicisti, realizzando alcune mostre come quella del
Chiostro insieme a Liviana Trucco o la collettiva di Mioglia con gli Amici di
Mario. La discussione e il confronto sono, dunque, l'anima della sua ricerca
continua: trovare nel dialogo nuovi elementi, che permettano lo sviluppo d'idee
e ispirazioni. Cercare per creare. Vedere per immaginare.
I suoi ultimi, nuovi esperimenti si configurano nella realizzazione del
Cavaliere Geometrico, ottenuto con l'unione di due diversi tipi di argilla
di colore differente, della dea Chalchultlicue, d'ispirazione
precolombiana, seduta in un atteggiamento che ricorda vagamente l'Astronauta
della lastra di Kin-Pacal a Palenque, delle Bagnanti sedute su blocchetti
di marmo bianco. Non dobbiamo però dimenticare la Vergine in verde,
realizzata in cemento, le Atlete a riposo e Brughiera, dedicata a
Mario Arena, che nella figura della donna distesa prona sull'erba aveva
riconosciuto lo spirito della sua lirica omonima, ambientata nei boschi della
cara Mioglia. Tutte codeste opere hanno in comune la ricerca dell'essenzialità
delle forme, lo studio attento della composizione, l'equilibrio tra gli spazi,
l'armonia del movimento, in un insieme che andrebbe giustamente definito poesia
di creta.
La sua arte, come il suo carattere del resto, riveste un carattere scarno ed
essenziale, privo di ghirigori e fronzoli, più incline alla geometria che all'abbellimento fine a se stesso, e nasconde un simbolismo più o meno evidente,
destinato a suscitare domande e perplessità nell'osservatore. La sua arte
incuriosisce, qualche volta sconcerta ma con l'intento di esplorare l'animo
altrui e stabilire un dialogo creativo. In definitiva, Salvatore Aiosa intende
partecipare a quel processo di ricerca e innovazione, che la nostra civiltà sta
con fatica cercando di sviluppare, con lo scopo di mettere a punto nuove vie di
comunicazione tra gli individui e nuovi metodi per rappresentare se stessa.
La poesia sintetica di Luigi Golinelli
Apprezzo molto il suo linguaggio, un bel linguaggio poetico fluido, semplice e
originale, che è a mio giudizio la componente migliore di quanto scrive. Una mia
cara amica è solita dire che poeti si nasce, letterati si diventa. Io credo che
Luigi Golinelli sia poeta nello spirito, perché nella semplicità delle cose che
scrive il senso poetico è immediatamente percepibile. E permettetemi, non è poca
cosa.
Altro è invece il discorso sui contenuti. Io penso che le sue composizioni
migliori siano le più brevi, quelle che rasentano l'aforisma. Ce ne sono alcune
veramente ben centrate, perfette nella loro brevità, come Vivere insieme,
Ricordi, Insieme, Amici, La pittrice. Altre mi paiono un tantino superficiali,
troppo paesaggistiche e descrittive, ma è un mio giudizio personale, perché a me
piace la poesia ragionata, d'introspezione, quella maledetta che scava e rivolta
l'animo umano, i vizi della gente, le porcherie del mondo. Luigi mi pare di
amino troppo gentile per mettersi a fare tali ragionamenti e quelle che
accennano alle attualità mi danno l'impressione d'essere un poco stiracchiate. A
volte, mi sono domandata come mai non sia riuscito a smettere (succede spesso
anche a me), come nel caso di Mi sorprendo, dove l'ultimo verso mi sembra lì
appiccicato per caso. Ce ne sono altre, però, che mi piacciono moltissimo come
Briciole d'amore e soprattutto Incomunicare. Entrambe hanno un
buon ritmo, seguono una linea poetica chiara e si concludono nei tempi giusti,
trasmettendo emozioni da una parte e concetti approfonditi dall'altra. Ma l'interpretazione della poesia
è strettamente individuale e
ognuno ci vede quello che vuole vedere, legge quello che avrebbe voluto
scrivere. Ci tengo comunque a concludere dicendo che il suo libro Accado in
generale mi è piaciuto molto, ma trovo la seconda parte più interessante e
stimolante delle prime pagine.
Varuna
Varuna non è solo l'ultimo pianeta del Sistema Solare, quello mai visto, quello
solo calcolato matematicamente, è il dio dell'universo, lo spazio profondo, il
cosmo nella religione degli Arya, il popolo che conquistò l'India agli albori
della storia. Varuna è lo stesso dio che i Greci chiamano Urano, i Romani
Saturno, gli Egizi Ra, i Semang Karei, i Cinesi T'ien, è il dio del cielo, dello
spazio profondo, ma anche dell'inconscio inesplorato.
Ecco, questo è il significato di questa raccolta di poesie: esplorare
l'inconscio, il proprio inconscio profondo, come un astronauta che si avventura
nello spazio alla ricerca di risposte senza tempo, alla caccia dell'ultimo
pianeta inesplorato. Una introspezione profonda alla caccia delle proprie
radici, del malessere del proprio io, perché solo nella poesia c'é vita,
sentimento, speranza. La poesia che è Il fiore selvaggio, che cresce a dispetto
di tutti e di tutto, anche delle città piene di veleni.
Nella sua raccolta di poesie intitolata Varuna, Luigi Golinelli esterna tutti i
suoi più profondi sentimenti di fronte alla realtà del mondo a confronto con il
suo io. Lancia messaggi con le sue brevi poesie, così sintetiche da rasentare
l'aforisma ma così condensate da richiedere una lettura più che attenta. Ci sono
tutte le sfumature dell'animo umano alle prese con il disinteresse,
l'indifferenza, l'arroganza dell'ambiente che ci circonda, ma anche la
tenerezza, la gioia, l'amore. Una ricerca attenta e continua che viene
evidenziata nel breve testo di Nella mia vita, quasi una conclusione della
ricerca, un fermarsi un momento prima di riprendere la strada, mentre in Senza
volto l'autore sembra navigare al di sopra delle persone e degli eventi, poi in Varuna
si guarda e si confronta con l'immensità dell'infinito alla ricerca di un
piccolo spazio per esistere. La raccolta si conclude con Collage, una specie
d'agenda per appunti da sviluppare forse in un prossimo futuro: uno strano
esperimento ma certamente molto interessante proprio per la sua stranezza.
Varuna è una raccolta di poesie che vale la pena di rileggere più volte, perché
solo così sarà possibile coglierne la miriade di sfumature che corrono tra le
sue righe, le luci e le ombre che s'annidano in poche parole pensate e meditate
con cura.
Insospettate presenze
Luigi Golinelli ha le mani robuste del modenese, i baffi celtici del modenese,
il viso rubicondo del modenese, la corporatura solida del modenese a cui
piacciono tortellini e culatello. Quando, però, apri uno dei suoi libri scopri
un mondo che non avresti mai sospettato. Non è uno di quei poeti che si piangono
addosso né la sua poesia è triste, incompresa, solitaria o magari
incomprensibile, ma per fracassamento (quello sì) anche lui non scherza affatto!
Nei suoi versi c'é una ricerca interiore, una introspezione profonda.
Solitudine, tristezza, malinconia aleggiano fra le parole robustamente
contrastate da una mentalità che è fortemente positivista. Luigi non nega
l'esistenza di rivalse o scoramenti di fronte alle brutture della vita, ma
sempre qua e lì occhieggia la speranza, la gioia, il riscatto, la certezza che
il meglio sia sempre possibile nonostante tutto. Luigi è uno di quei talenti
naturali che si nascondono in mezzo alle miriadi di persone che poesia non hanno
niente a che spartire. La professione lo porta da tutt'altra parte, ma lui è uno
di quelli con la gobba, uno di quelli che non mollano, che non possono fare a
meno della poesia, perché lui la poesia ce l'ha nel sangue come una malattia, un
virus, un gene dispettoso.
La sua ultima raccolta non fa che confermare quest'immagine: poesie perlopiù
brevi, sintetiche, ispirate dai fatti della vita quotidiana, che però inducono
l'autore a considerazioni più generali, alla ricerca d'idee e di sentimenti.
Luigi Golinelli s'esprime al meglio, come sempre del resto, in quelli che io amo
chiamare quasi aforismi, perché in quelle occasioni sa concentrare in poche
parole tutta la folla dei pensieri, anche loro sempre in bilico fra sogno e realtà, verità e utopia, ragione e desiderio, come capita spesso ai poeti,
quelli veri.
Le favole di Marina
Una patata lessa è pur sempre una patata lessa, ma se ci si aggiunge aglio,
prezzemolo, olio, aceto, sale e pepe finisce per avere tutt'altro gusto. La
stessa cosa accade per i miti, che in genere raccontano un avvenimento realmente
accaduto, ma lo presentano ben condito di eroi, mostri, indovini,
predestinazioni, interventi divini e quant'altro la fantasia umana riesce a
generare. Le favole di Marina Salucci hanno la stessa genesi del mito, seguono
sempre questo schema. Si tratta, perlopiù, di un fatto reale o quanto meno
verosimile, che poi viene animato da maghi, fate, elfi, gnomi, folletti: una
specie di impersonificazione spiritistica, come quella che i Celti attribuivano
alla Natura, intesa come un grande unico organismo, vivificato dal Grande
Spirito, di cui alberi, pietre, animali erano un piccolo frammento parlante. Ci
si aggira sempre in un mondo buono, in cui il dolore non ? mai fine a se stesso,
come nella realtà, ma piuttosto il mezzo per ottenere la conoscenza. Come Wotan,
ci s'impicca al frassino Yggdrasill per ottenere l'illuminazione.
È lo stesso
concetto, presente nella mitologia cristiana, secondo il quale la sofferenza
purifica e aiuta a raggiungere la felicità. Io, che sono scettica per natura, mi
permetto di manifestare alcuni seri dubbi sul meccanismo qui esposto: preferirei
capire senza soffrire, ma in effetti sembra che non sia possibile.
I testi dei miti sono sempre rapidamente riassumibili nelle loro squallide
realtà. Nell'Iliade imperversano soprusi e malmenamenti, giustificati dalla
volontà divina, perché nessuno vuole ammettere che in realtà si andava a menar
le mani per impossessarsi delle ricchezze altrui. L'Odissea racconta la storia
di un tipo, che non sapeva come giustificare alla moglie vent'anni di
scorribande dietro le gonnelle di mezzo mondo. L'Eneide, poi, è la squallida
avventura di un pugno di profughi, guidati da un pusillanime. Eppure tra mostri,
sibille, naufragi, spinelli, magie tutto si fa più interessante, meno coerente
ma decisamente più attraente. La realtà pura e semplice non è mai piacevole,
tanto che tutti tendono a un riaggiustamento significativo delle loro personali
esperienze. Insomma di raccontano quella dell'uva. La storia di Gialmiro,
dunque, presenta le stesse caratteristiche dei grandi poemi omerici. Riassunta
semplicemente ci dice: - Occhio a violentare la natura, altrimenti finiremo
tutti fritti! - ma questo ce lo dice in 60 pagine di elfi, fate, cavalli alati,
alberi musicisti e c'è posto anche per Peter Pan. La nera realtà del degrado
ambientale diventa più digeribile, ma soprattutto apre una finestra alla
speranza, che un giorno l'umanità possa divenire meno sporcacciona.
La concezione dell'esistenza di Marina Salucci è, comunque, caparbiamente
positiva. Tra vicissitudini e scontri con il parentado di certi racconti e la
blanda atmosfera delle favole, ne esce una visione della vita tutto sommato
imbevuta di speranza e di buone intenzioni. Un ottimismo latente che lascia qua
e là brandelli d'illusione da succhiare come le caramelle. I suoi personaggi si
scontrano solo superficialmente, le atmosfere non risultano mai roventi, non ci
sono cattiverie o vendette. Leggendo Cinque Piccole Stelle, io mi aspettavo che Gialmiro, a furia di salire, precipitasse a capofitto dall'abete magico. Invece,
eccolo a cavallo di una bestia alata: la fantasia che salva dalla realtà.
Evadere per non morire, per non annegare nella disperazione.
È l'antica lezione
dei Micenei, dei Sumeri, dei Dravidi della Valle dell'Indo autori del Panchatantra, la raccolta di favole dove gli animali parlano e agiscono come gli
esseri umani, con gli stessi difetti e le stesse debolezze che agitano ancora il
cervello dell'Homo Tecnologicus, nonostante i computer, gli aerei a reazione e
le navette spaziali. La ricetta è antica ma sempre valida.
I pensieri nascosti di Sandra
Le donne annaspano nel quotidiano, cercano dignità di essere umano attraverso i
ruoli sociali dei loro mariti, coltivano amore e sesso di nascosto e non si
danno credito. Sandra Zanone è una di quelle donne che macinano sentimenti
occultamente, che non osano uscire scopertamente dalla vita di tutti i giorni,
così pericolosa nei suoi equilibri instabili, che non osano esplorare più in là,
o forse si vergognano di farlo e non lo dicono, contorcendosi tra domande diogni
tipo, a cui nemmeno i filosofi sanno rispondere. Lo s'intuisce da alcune mezze
frasi, da riflessioni buttate là, come per caso, e poi ritirate, quasi a
conferma del pudore indotto dal suo essere femminile a tutti i costi. Eppure tra
una rima e l'altra si distinguono i tormenti del pensatore, di tutti coloro che
annaspano, soppesano, s'arrovellano e non arrivano a definire i fini ultimi che
si celano dietro i misteri della nascita, della morte e del frattempo.
S'intuiscono, nelle sue poesie, rapporti difficili, sentimenti amorosi mal
riposti, sopravalutazioni sentimentali, che sono la base della sua vita
interiore, ma inframmezzati da ripensamenti e considerazioni su tutto ciò che
ruota intorno ad un'anima, tutta la vita esteriore, che spinge, incalza, bastona
con la sua cattiveria, la sua realtà sempre alla ricerca di vittime e carnefici.
Spuntano qua e là le ingiustizie sociali, le guerre, la vecchiaia, la morte,
come un peso che ognuno si porta sulle spalle da sempre, condannato prima ancora
d'esser nato.
Storia di un libro
Il libro di poesie Amore Oceano di Sandra Zanone nasce dalla collaborazione di
più artisti che per lei hanno pensato, scritto, disegnato. Come sempre, ognuno
ha visto una parte, una sfaccettatura, un coriandolo dell'anima dell'autore: ha
visto ciò che voleva vedere, ciò che più si adattava al proprio modo di vedere
la vita, al proprio spirito. La poesia è in tutti i casi l'espressione di un
pensiero buttato come un sasso in uno stagno piatto. Dice e non dice ma spesso
dice più di quello che l'autore avrebbe mai pensato di dire. Quelle poche
parole, quelle immagini mettono in moto la mente del lettore. Fanno pensare. Per
questo è poco amata dai dittatori politici e casalinghi.
Anche se io, in genere, non amo la poesia d'amore, evidentemente e solo per mie
ragioni personali, devo dire che nel libro di Sandra si manifesta attraverso di
essa una ricerca serrata, un'ansia di cresce, maturare, uscire dagli schemi; un
arrovellarsi continuo sulle ragioni della vita e dei suoi malesseri a cui non
sono per niente estranea. Per Sandra, potrebbe essere questo il primo gradino di
una piramide da scalare con costanza alla ricerca di una filosofia di vita che
non è rassegnazione ma piuttosto ricerca, confronto con gli altri e crescita
mentale. Bisogna anche considerare che questa raccolta è il frutto di una vita
di ansie, ripensamenti e meditazioni. Non può dunque che rappresentare
l'evoluzione della mente dell'autore, che da sensazioni semplici ed elementari
come l'amore, passa prima allo studio dei recessi dell'anima e poi a uno sguardo
sempre più attento ai marasmi della vita e alle sue ambiguità.
Resta per tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di codesto
progetto il piacere di aver collaborato con una persona disponibile e gentile,
che nella sua attività culturale ha cercato di coinvolgerci tutti in quel grande
abbraccio collettivo che è il suo libro, non dimenticando il suo e nostro caro
amico Mario Arena, che non potendo partecipare di persona al suo progetto è
diventato l'editore del libro, perché fu proprio in ricordo di Mario che si ebbe
l'idea di raccogliere tutte le parole, le poesie, i disegni, le sculture che a
lui e alla sua poesia furono dedicate. Allora fu troppo tardi perché il
protagonista ne potesse godere, ma ora abbiamo potuto farlo con grande gioia e
speriamo che cos? possa avvenire con altri amici autori, perché non c'è niente
di più gratificante che lavorare in armonia, anche se la stesura di un libro,
pur se un piccolo e semplice libro di poesie, è un lavoro titanico ed
estenuante.
Mario Arena
Mario ci ha lasciati il 19 maggio 2000, alla chetichella, senza dirci niente, ma
ci aveva giù mollati tutti quanti molto tempo prima. Si era buttato per terra ed
era sparito dalle nostre vite così come c'era arrivato senza fare troppo rumore.
E noi, quasi tutti, gliene abbiamo voluto, perché non ci ha permesso di capire
che cosa gli stava succedendo. Io sono arrivata a codesta interpretazione degli
avvenimenti solo dopo aver letto i suoi ultimi scritti attentamente, senza
quella distratta superficialità, con cui di solito si subiscono le cose che
scrivono gli altri. Così ho deciso che, se non mi era stato possibile fare
qualcosa per lui prima, forse avrei potuto provare a fare qualcosa per lui dopo.
Questo antilibro è il prodotto di questa mia impuntatura, anche se non è stato
facile lavorare sui suoi scritti, e alla fine mi sono resa conto che, nonostante
qualche verso zoppicante e la punteggiatura di difficile interpretazione, alla
base delle sue opere c'è una meditazione profonda, una saggezza che poggia sull'esperienza, un desiderio di libertà contrapposto agli affetti terreni che
lo hanno tenuto legato alla realtà, come il filo d'un aquilone.
Mario era qualcosa di diverso per ognuno di noi, perché s'adattava ai nostri
contorni. Stava ad ascoltare e non diceva mai nulla che l'altro non fosse
disposto a sentirsi dire. Forse per questo noi tutti lo abbiamo amato tanto ma
poco ascoltato. Il suo testamento ce l'ha lasciato nelle sue meditazioni
poetiche, dalle quali si comprende come si sentisse solo in tutto quel turbine
di sentimenti, di pensieri, di tormenti, che riusciva ad esternare solo con la
poesia. E forse nessuno di noi ha veramente capito quest'uragano, se non troppo
tardi, quando ce lo siamo trovato davanti, scritto in bella grafia sui fogli a
righe formato protocollo. Non so, forse non ho capito che cosa Mario volesse
arrivare a comunicarci, ma forse non lo sapeva neppure lui.
Io non so se ho fatto bene o male, se ho compreso tutto quello che si doveva o
non si doveva fare. Ho cercato di interpretare al meglio i suoi segni e suoi
segnali, anche se so che, dopo la terza media, fare del proprio meglio non
basta. Per questo, ho scelto la veste dell'antilibro, che forse sarebbe piaciuta
anche a lui, perché si tratta di una forma non definitiva, che lascia spazio a
correzioni, aggiunte e aggiustamenti in ogni momento.
L'arte di Mario
Di solito si parla di Mario come uomo, descrivendone il carattere e la
disponibilità verso gli altri. Io penso, invece, che meriti qualche cenno anche
la sua arte, forse proprio perché il mio rapporto d?amicizia con Mario era
principalmente basato sullo scambio d'idee e d'informazioni nell'abito più
tecnico della nostra rispettiva attività artistica. I miei dipinti e quelli di
Mario non avevano niente in comune. Allora io diguazzavo nell'astratto più
totale, mentre lui seguiva la sua linea prettamente figurativa. Spesso si
rammaricava di non possedere una tecnica più raffinata, per riuscire ad
esprimersi al meglio, per mettere sulla tela tutte le idee che gli passavano per
la testa. Andava dagli amici chiedendo consigli in tutta umiltà, perché da
persona intelligente ricercava continuamente nuovi elementi da aggiungere alle
proprie conoscenze. Mario si è sempre rifiutato di organizzare una personale, perché riteneva di non esserne all'altezza e solo con gli amici Corrado Puppo e
Salvatore Aiosa, riuscimmo nel 1995 a coinvolgerlo nell'unica manifestazione in
cui si presenta da protagonista con il suo antilibro Nessuno avrà mai per sempre
il cielo. E, anche in quella occasione, ci volle del bello e del buono per
trascinarlo nell'impresa, che forse risultò una delle più significative tra
quelle approntate dalla Via del Sale, circolo culturale a cui apparteneva fin
dai primi momenti, anche se non faceva parte dei fondatori. Fu una bella
esperienza e Mario, che si era presentato nelle vesti di poeta, riuscì a mettere
in luce tutte le sue capacità e le sue doti nel campo letterario.
Come ebbe a dire, Anna Mazzei, più o meno negli stessi anni:- Poeti si nasce e
letterati si diventa- Non posso che concordare con lei quando concluse che Mario
era nato poeta. E il fatto che fosse soprattutto e principalmente un poeta lo si
legge anche nelle sue pitture, che sono sempre e soltanto delle poesie dipinte:
i due amanti che si baciano in piedi nell'angolo destro del quadro; il mare in
tempesta; la scia di una nave; la finestrina di v. del Casone; il germoglio e
l'albero antico: tutto dice di lui, che poeta era nato.
Non era mai riuscito, o forse non aveva mai voluto farlo per cultura o per
scelta, a superare il figurativo. Non aveva mai provato a cimentarsi con le
geometrie e le astrazioni. Non faceva parte del suo carattere, del suo modo di
essere. Lui cercava l'approvazione degli altri, voleva comunicare loro qualcosa
e ce lo dice anche nella sua poesia l'Aquilone, senza vergogna di essere un
artista che cerca il confronto e la lode, cosicché le sue indagini e i suoi
tentativi erano indirizzati alla ricerca di un messaggio visivo più legato al
simbolismo che al sentimento prodotto dalla tavolozza dei colori, pensati in se
stessi come vibrazione comunicante. I colori per lui erano solo un mezzo per
tratteggiare figure, visioni e sogni. Non gl'importava che la critica e gli
intellettuali lo apprezzassero, cercava l'approvazione della gente semplice,
degli amici di sempre, quelli che come lui avevano navigato, lavorato in
acciaieria. Anzi degli uni aveva quasi soggezione, perché gli sembrava di non
essere mai abbastanza bravo, mentre sentiva gli altri parenti e fratelli, perché
affrontavano con lui i problemi di tutti giorni. A Corrado aveva chiesto lezioni
di pittura, perché voleva imparare ancora e ancora. A me chiedeva consigli di
punteggiatura e ortografia e poi, perché non si fidava, li richiedeva a
Francesco Magnanego, a Marina Salucci, ad Anna Mazzei.
Questa sua continua ricerca, questa sua inquietudine lo aveva portato a lasciare
la scuola per andare a navigare, per trovare nuove concezioni di vita e nuove
esperienze ma poi, dopo aver sperimentato il calvario dell'acciaieria, aveva
voluto riprovarci con quello spirito che solo lui riusciva ad avere. Si era
iscritto alle 150 ore con gioia ed emozione, scrivendo sull'argomento una delle
sue più belle poesie. E all'acciaieria aveva dedicato, quello che io ritengo il
suo capolavoro, la poesia più originale e nel contempo terribile, ma centrata in
tutte le sue parti, perché vissuta fino all'ultima goccia di sudore. Lui sapeva
dire le cose che la maggior parte delle persone non riesce nemmeno a pensare.
Questa era la vera anima della sua poesia scritta e dipinta.
Analisi di un fotoamatore
Nicolò Lesevic ama definirsi un fotoamatore, a causa della sua grande passione
per tutto quello ch'è immagine. Passa buona parte del suo tempo libero con la
macchina fotografica qua e là alla ricerca di quell'attimo fuggevole, che la
fotografia rende immortale. Tutto questo ricercare ha fatto di lui un
documentarista, che ha collezionato paesaggi, ritratti, dettagli di fiori,
animali, graffiti, stravaganze? Nico però è un
cercatore che non accontenta più di trovare quello che la natura e l'umanità
hanno costruito nel tempo, vuole provare a fissare sulla carta impressioni e
sentimenti e lo fa trasformando lo strumento meccanico in un mezzo di
trasmissione del pensiero, del sentimento, attraverso colori e forme. Vuole
dipingere con la luce, costruire un'immagine, adattare le cose all'esigenza
del sentimento. È la materia che si adatta e si presta alla trasformazione, che
lavora per lui, regalando sprazzi di gioia con la frutta colorata, tranquillità
nei riflessi diluiti sull'acqua di un mare senza tempo, pace nella neve e nella
rugiada del mattino. Una finestrina ricamata di gerani sorride da un muro
sbrecciato, invitando alla semplicità della vita contadina: emozioni chiare,
momenti catturati da un occhio attento al particolare.
Brio e personalità
Ivana
Trevisani Bach è una signora gentile, serena, disponibile, che mette le persone
che la circondano a loro agio. Parlare con lei da un senso di energia,
d'equilibrio, d'allegria. è quello che si dice una personalità positiva senza
contorcimenti e affanni, che affronta le difficoltà pacatamente ma
perentoriamente. Tutto questo si legge nei suoi scritti, nelle sue poesie. Con
un linguaggio lineare, semplice, comprensibile Ivana racconta le sue storie di
gatti e d'altri animali, da brava ecologista convinta. Dai suoi scritti spunta
il gatto pensatore, sempre indeciso davanti a una porta aperta; un ragno che
tesse una tela di speranza sottile sottile; una luna che ondeggia fra sentimenti
e logaritmi; il tonfo di un albero abbattuto nella foresta; una farfalla che
sbatte contro un vetro? Spesso si rivolge al paesaggio per ottenere effetti e
metafore ma, nonostante la scelta possa sembrare scontata, il risultato finale
non è mai banale. C'è la ricerca di un equilibrio naturalistico che è anche
equilibrio interiore. C'è la voglia di capire ed essere capiti per la via più
spiccia, quella di un linguaggio traducibile in tutte le lingue del mondo, per
poter allargare sempre più i confini dei rapporti umani aldilà di ogni barriera
linguistica e fisica. Eccola, perciò, alle prese con internet e i suoi meandri,
intenta alla creazione di siti che l'aiutino a dialogare con il resto del
mondo.
Maschere di parole
I calligrami di Gabriella De Gregori nascono dal connubio pensiero-tecnolgia.
Sono poesie passate attraverso lo schermo del computer, che ne diventa lo
strumento indispensabile, una sorta di matrice feconda nella quale l'estro dell'autore trova la soluzione della sua espressività. E nel contempo sono
maschere, che nascondono dietro il loro primo acchito, intrigante e visivamente
piacevole, significati complessi, meditazioni ansiogene, ricerche interiori, di
cui le parole sono solo ombre scure, barlumi di pensiero, temi da svolgere e da
allargare. Sono un seme che germoglia nella meditazione del lettore. Sono lo
specchio dell'animo dell'autore che, sotto quella sua aria qualche volta dimessa
qualche volta trasognata, cela una complessa ansia di ricerca, una impietosa
analisi del mondo reale che la circonda. I suoi calligrammi sono maschere di
parole. Alcuni artisti usano il pennello, altri si esprimono con altre tecniche
fra le più strampalate e diverse, Gabriella De Gregori usa le parole trasformate
per l'occasione in caratteri dalle forme più varie e strampalate, quelle che il
mezzo tecnico oggi fornisce all'invenzione e alla fantasia umane con il solo
semplice atto di pigiare un tasto. Basta avere nella testa la creatività
artistica necessaria, quella che a Gabriella certo non manca.
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