Racconterà,
a quasi cinquant'anni di distanza:
la prima volta che lo vidi, a Mosca nel 1921, l'apoteosi era già
cominciata.
Lenin viveva, ormai, tra il mito e la realtà. Erano giorni del
congresso della Terza Internazionale. Lenin partecipava soltanto ad
alcune sedute, così come fa il Papa al Concilio. Ma quando entrava
nella sala, nasceva un'atmosfera nuova, carica d'elettricità. Era un
fenomeno fisico, quasi palpabile: si creava
un contagio di entusiasmo, come in San Pietro quando dai fedeli
intorno alla sedia gestatoria si diffonde un'ondata di fervore fino agli
orli della basilica. A vederlo, a tu per tu, a parlargli, altre
impressioni- i giudizi taglienti e sprezzanti, la capacità di sintesi,
il tono perentorio delle decisioni - prevalevano su quella della
lsuggestione mistica, Ricordo che mi folgorarono come uno choc, per la
loro brutalità, alcune sue brevissime frasi che mi capitò di ascoltare
in quel soggiorno moscovita del '21, durante una seduta di una
commissione del congresso. Parlava di Bela Kun, il capo della
rivoluzione ungherese: "Quando sento in giro ripetere una
corbelleria - diceva - come prima reazione penso che venga da Bela Kun".
Come poteva liquidare così una delle maggiori figure del comunismo
europeo?
"Leggeva ogni giorno (o meglio quando arrivavano) un paio di
giornali francesi e il Corriere della Sera: mi ricordo che decifrava le
notizie italiane aiutandosi con le assonanze col francese e col tedesco.
Ma leggeva con i paraocchi: quando noi italiani avemmo l'occasione di
parlare con lui della situazione del nostro paese traemmo impressione
che egli catalogasse le varie tendenze italiane, le varie possibilità
di sviluppo storico, secondo il rigido canone dell'esperienza russa,
come se Roma fosse a cento chilometfl da Mosca, come se la Chiesa
cattolica fosse quella ortodossa, come se non esistesse in Italia una
differente articolazione di classi. Ma la delusione logica, politica,
della conoscenza di Lenin veniva rapidamente riassorbita dal suo fascino
ormai religioso dal carisma del vincitore".
Ma non c'è solo l'impatto con la figura di Lenin in quelle giornate
moscovite. Solo tre anni prima il giovane Silone era totalmente,
esclusivamente immerso nel microcosmo della sua Marsica e dei suoi
"cafoni".
Ora è chiamato a confrontarsi con una realtà enormemente più vasta.
Quel congresso dell'Internazionale pone formidabili problemi.
Il regime
bolscevico non vive un buon momento. In marzo i marinai e gli operai di
Kronstadt, sul Baltico, sono insorti per ristabilire il potere dei
soviet contro la dittatura comunista e 1a loro rivolta è stata domata
nel sangue. Ma, di fronte al dilagare del malcontento, Lenin ha deciso
di dar corso a una nuova politica economica (Nep) in cui le piccole e
medie industrie private, reintegrate nei loro diritti, possono far
concorrenza all'industria statale e ai contadini è restituita la libertà
di commerciare. Lo stato sovietico ha bisogno di uscire dall'isolamento
in cui si trova e (anche in considerazione del non brillante risultato
ottenuto nelle elezioni di maggio) la linea di intransigenza dei
comunisti italiani non è vista con gran favore, tant'è che al
congresso, oltre alla delegazione del PCI guidata da Terracini, è stata
inviata anche una delegazione socialista della quale fanno parte
Costantino Lazzari, Fabrizio Maffi ed Ezio Ribaldi.
La nuova linea
che Lenin e Trotzkv suggeriscono
è quella del fronte comune: lottare insieme con i gradualismi, pur
mantenendo le critiche di principio nei loro confronti. In parole
povere, per i comunisti italiani, ciò vuol dire porre fine alle dispute
con il Partito socialista o, quantomeno, attenuare la polemica. |