Generalmente a Mandas
pochi abitavano in case d’affitto, molti erano infatti i
possessori di una propria abitazione. Tutti i giovani che volevano,
costruirsi una famiglia, avevano la mentalità di costruirsi la casa prima delle nozze
anche perché pochi erano i possessori di seconda casa e nel caso
veniva tenuta disabitata per un figlio. Tutti i giovani una volta
finito il servizio militare, si preoccupavano di "iniziare la casa" dove
avrebbero fatto crescere la loro famiglia. Se non si possedeva un
terreno fabbricabile lo si acquistava anche a costo di grandi
sacrifici. Si prendevano successivamente
accordi coi cavapietre circa la quantità necessaria per costruire,
dopodiché esso le disponeva tutte assieme in una catasta.
Successivamente, assieme al genitore e “su maist’e muru” si
stabiliva la forma e le quantità dei vani che si dovevano
realizzare. La casa classica si articolava su un piano terra, unu
“staulli” (solaio) e una “lolla” (loggia) anteriore;
vicino al fabbricato principale veniva costruito “su forru de su
pañi” (il forno del pane). Separato dall’edificio principale, ma
comunque non lontano da esso, veniva ubicata il locale dove fare gli
agi corporali; nessuna
casa era fornita di bagno al suo interno, fino alla metà del secolo
scorso. Nel cortile, cui si accedeva attraverso un portone in legno,
c'era il pozzo da cui si attingeva l’acqua che generalmente veniva
usata per le faccende domestiche, ma mai per bere. L’acqua da bere
veniva infatti prelevata da sorgenti, che a Mandas erano diverse.
Generalmente si aveva un cortile piuttosto ampio, ove venivano edificati i
locali a servizio delle propria attività, cioè “sa
domu de sa
palla, sa lolla de appalliai, sa domu de su proccu, sa lolla de su
cuaddu, s’acculliu de is puddasa e de is cunillusu” (il
pagliaio, il loggiato ove si dava da mangiare al giogo di buoi, il
porcile, la stalla del cavallo, la stia delle galline e dei conigli
domestici), inoltre di lato a “sa prazza” (cortile) vi erano
“s’ortu e s’accorru dei is brebeisi” (l’orto e il recinto per
le pecore). In tutte le case inoltre c'era la legnaia e il
letamaio, in quest'ultimo spazio andava a finire l’immondezza
prodotta nell’abitazione e gli escrementi degli animali. Il letame
si lasciava a macerare per un anno e poi veniva usato come concime
per l’orto e per i terreni in campagna. Il corpo principale
dell'abitazione si distendeva su un piano terreno ed su di un
mezzo piano soppalcato.
Al piano terra c'erano:
“Sa
coxiña”
(cucina), che fungeva da luogo ove si svolgevano tute le attività
domestiche. Nella cucina non poteva mancare il camino ed era
il vano più ampio di tutto il fabbricato. Ovviamente era il luogo in
cui la famiglia soggiornava per più tempo nell'arco della giornata,
essendo anche il più riscaldato visto il diretto contatto col
caminetto.
“Sa
lolla”
(veranda) antistante la altre stanze, aveva la funzione di
collegamento dei vari ambienti che vi si affacciavano. Spesso
all’interno della “lolla” era ubicato il pozzo e “su laccu
de sciacquai” bacino in pietra, dove veniva fatto “su
stresciu de coxiña” e la piccola biancheria.
“Is
cameras de is mascus e de is feminas”
(le camere dei maschi e delle femmine), erano in solaio.
All’occorrenza i maschi più grandi dormivano nelle camere di
passaggio.
“S’apposentu de lettu”
(camera da letto), in esso dormivano i genitori ed i bambini fino
all’età di tre anni circa. Dopo i tre anni i bambini andavano in
camera con le femmine, fino a dieci/ undici anni.
“S’apposentu bellu”
(salotto) era la stanza utilizzata per ricevere ospiti e
per le cerimonie importanti quali il battesimo, cresime,
fidanzamenti, matrimoni.
“S’apposentu”,
essa serviva per l’accesso a “su staulli” (soffitta), quindi
vi era posizionata la scala in legno, e nello spazio restante
venivano conservate le scorte di cereali che servivano per
l’alimentazione, la frutta secca, le marmellate, il lardo e le altre
parti del maiale che venivano utilizzati per l’alimentazione
invernale. Spesso anche questa stanza era in legno.
Staccati e all’intorno
dell’edificio principale vi erano le costruzioni e gli spazi di
servizio:
“S’omu
e su forru”
(il forno) Spesso contigua alla casa di abitazione, era il locale al
cui interno vi era un forno capace di contenere in un'unica
infornata le varie qualità di pane necessarie per la famiglia.
“ladixeddas, civraxiu ,coccoisi".
“Sa
prazza”
(il cortile), ampio spazio antistante la casa, generalmente fatta a
“impedau” (acciotolato).
“S’ortu”
(Orto),
generalmente nella parte posteriore della casa, dove venivano
coltivate le erbe utilizzate in cucina, “su perdusemini”
(prezzemolo), “s’allu” (l’aglio), “sa cibudda” (la
cipolla), e stagionalmente venivano coltivate le verdure,
“s’arreiga” (i ravanelli), “sa patata” ( le patata),
“sa lattiedda” (la lattuga), “s’appiu” (il sedano), e
“su caulli e frori” (i cavolfiori). Spesso nell'orto c'era una
pianta “de arenada” (di melograno), e di limone.
“Su
comudu”,
(latrina), era costituita da una piccola costruzione, spesso solo un
recinto in muratura, dove all’interno era stato scavato un piccolo
pozzo (pozzo nero). Nelle case non vi era l’acqua corrente.
“S’accorru de is puddasa e de is cuñillusu”
(stia per galline e conigli), costituito da una piccola costruzione
ove le galline deponevano le uova e di un cortile per razzolare, che
veniva tenuto pulito costantemente, adiacente a quest'area vi era
anche quella per i conigli domestici.
“S’accorru de is brebeisi”
(recinto per le pecore), questo recinto, spesso “impedrau”
(acciottolato) ,veniva utilizzato per il ricovero notturno delle
pecore non stavano in campagna, solitamente quelle che avevano
partorito da poco.
“Sa
domm'e sa palla”
(pagliaio), locale adiacente a “sa lolla de appallai” qua si
conservava la paglia di grano che serviva per dare da mangiare al
bestiame. Inoltre sa domm'e sa palla serviva anche come deposito
delle sementi.
“Sa
lolla de appallai”
(stalla del giogo dei buoi da lavoro), di notte e nei giorni di
cattivo tempo invernali, il giogo dei buoi veniva ricoverato in
“sa lolla de appallai” dove veniva alimentato con paglia,fave e
foraggio: l’alimentazione avveniva subito dopo il rientro dal lavoro
e tre ore prima della partenza per il lavoro della giornata
successiva. Quindi il contadino si alzava generalmente, nei periodi
invernali, intorno alle quattro di mattino “po onai a pappai a su
bestiamini” (per dar da mangiare il bestiame). In “sa lolla
de appallai” si tenevano anche i finimenti degli animali: giogo,
lacci e tutto l'occorrente per il lavoro nei campi.
Nel museo comunale "I
lollasa de is ajajusu" è fedelmente riprodotta la casa contadina
mandarese. |