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A ben vedere, la fotografia di nudo non ha una grandissima tradizione nell'ormai lunga storia della fotografia, almeno quanto l'hanno altri generi più saldamente impiantati nella pratica storica, come per esempio il paesaggio, o il ritratto. E non perché - fin dagli inizi della nuova tecnica - non siano state realizzate immagini di nudo (soprattutto femminile, ad alimentare l'immaginario desiderante dell'universo maschile, attraverso stampe clandestine diffuse sottobanco). Il problema è stato a lungo legato alla sconvenienza sociale del genere e all'imperante moralismo ottocentesco: ragioni francamente plausibili per spiegare lo scarso spessore della tradizione fotografica "alta" riguardo al nudo, una pratica quest'ultima che, inoltre, fu costretta a restare per lungo tempo totalmente subalterna ai canoni estetici imperanti nel mondo della pittura.

Se con Muybridge e le sue analisi del movimento, la fotografia cominciò a rivelare il corpo umano al di là sia della manipolazione voyeuristica sia della finalizzazione estetica, fu Edwuard Weston a fondare la moderna fotografia di nudo, con immagini di una solennità statuaria, di una perfezione di dettagli e di una ricerca formale tali che il nudo di Weston fu forse il primo ad offrire una visione che riusciva ad esprimere - insieme con la potenza plastica della forma umana (che Weston scandagliò in sé e che da allora è stata assunta anche come pretesto per ogni libera interpretazione del reale) - quella sorta di ricchezza interiore che in ogni cosa indagata a fondo.

Un'altra "scuola", nel frattempo, ripeteva, almeno come assonanza di esiti, la plasticità statuaria del nudo di Weston, anche se non ne raggiungeva la forza interiore: quella che, in Italia prima, con l'arte fascista, e in Germania poi, con l'arte del Terzo Reich, proponeva il nudo mitico del grande eroe, dell'espressione razziale pura, romana o ariana che fosse, collegata alla concezione del nudo che, dall'antica Grecia attraverso Roma e il Rinascimento, era approdata nell'iconografia fotografica mitizzata del barone Von Gloeden e di tanti "esteti" innamorati della solare spontaneità mediterranea.

La reazione all'Accademia piu' vieta spinse poi le avanguardie storiche ad usare il corpo umano in termini assolutamente disincantati, talvolta provocatori. Dal dada di Man Ray alla forma - struttura di Moholy-Nagy, dal montaggio di John Heartfield agli specchi di Florencie Henri, dall'espressionismo rivisitato di Otto Umbher alle prime immagini surrealiste di Bill Brandt, la fioritura d'immagini di nudo testimonia da una parte il superamento del complesso moralistico ottocentesco e, dall'altra l'assunzione del procedimento fotografico come strumento a pieno titolo della ricerca artistica. In tal modo, il contributo delle avanguardie storiche allo sviluppo della fotografia, e a quella di nudo in particolare, si collocò a fianco del filone "purista".

Dal primo al quarto decennio del Novecento, la fotografia di nudo compì un balzo in avanti decisivo: la figura umana, soprattutto, venne assunta come uno dei soggetti privilegiati dell'immagine (a ciò non era forse estraneo il contributo altrettanto decisivo della scuola psicanalitica).

E cominciarono a diversificarsi i percorsi di approccio al genere: dal reportage a sfondo sociologico di Brassai che - fotografando le notti di Parigi - ci restituì una lettura cronachistica dei corpi disponibili delle "filles de joie", ai nudi femminili derealizzati dal flou sognante e dall'ambientazione mitologica negli stilemi dei grandi fotografi della moda Cecil Beaton e Hoyningen-Huene, Martin Munkacsi o Georges Platt Lynes; dal "gioco" ottico della deformazione esasperata della figura femminile, tra dada e surreale, di Andrè Kertesz, all'ampliamento della visione offerto dal grandangolare di Bill Brandt; dalla ricerca tecnico-compositiva di Sam Haskins al trionfo delle pin-up nella tradizione dei grandi calendari; dalla funzione di "ingegneria creativa" offerta dal corpo femminile nella ricerca strutturalista e costruttivista di Lazlò Moholy-Nagy al grande filone della "fotografia pura" (in una visione dai toni rarefatti fino al misticismo) di Paul Strand, di Alvarez Bravo o di Harry Callahan.

Se è vero, come sostiene l'attore Spike Milligan, che nel 1960 - anno del processo e dell'assoluzione de "L'amante di Lady Chatterley" - è definitivamente morta la regina Vittoria, è altrettanto vero che da allora la fotografia di nudo si è sviluppata con grandissima libertà e disinvoltura, oltre che con una notevole varietà. Essa è oggi pienamente accettata come potenziale opera d'arte, allo stesso livello di un dipinto e di una scultura, per quanto diverse siano le sue convenzioni, rispetto a quelle di altre forme espressive. Anche l'erotismo ha cominciato ad esserne solo un ingrediente episodico e secondario, perdendo parte della sua carica eversiva in tempi in cui un corpo umano nudo è uno spettacolo tutt'altro che raro.

Il corpo della donna è così diventato - almeno nelle forme più consapevoli della fotografia che l'assume come soggetto privilegiato - una delle "forme" più perfette, più poliedriche, più ricche di suggestioni e di "qualità" da esplorare, da rivelare, da esaltare.

Questo lungo excursus, lungo il percorso tormentato della fotografia di nudo, per rendere ragione delle differenti chiavi in cui Stefano Grassi, Joe Oppedisano e Alfonso Zirpoli modulano ciascuno la propria individuale ricerca sul nudo fotografico.

L'eclettismo mi sembra il carattere dominante della serie di Oppedisano, il quale - attraverso una serie di "omaggi" - ripercorre le ultime stagioni del "genere" soffermandosi di volta in volta a ripetere certe ambientazioni oniriche del surrealismo, a ricreare atmosfere alla Newton cariche di lusso calma e voluttà, a giocare con un para-reportage venato di sociologia metafisica, a evocare presenze fantasmatiche di carattere concettuale, ad accarezzare di luce e di ombre vellutate un corpo alla Sieff, a monumentalizzare frammenti di nudo alla Brandt, a "rivelare" - nella serie che più mi è piaciuta - la morbidezza di una forma perfetta con delicatissime pennellate di luce che delineano una plastica sensualità.

Un analogo eclettismo, sia pure declinato su un versante affatto differente, mi pare rivelino i lavori di Zirpoli, che da una parte - quella che personalmente preferisco - mi pare attento alla costruzione scenica di un immaginario recitante e, dall'altra pare, impegnato in un lavoro di de-costruzione in frammenti degli elementi costitutivi del corpo femminile. Le artificialissime geometrie sceniche entro cui le sue modelle recitano il gioco del corpo vestito/svestito - di volta in volta streghe, monelle, Cassandre, Penelopi - trasferiscono moduli desunti dal surrealismo in rarefatte atmosfere metafisiche, che ne attenuano la caratterizzazione individuale incatenandola in fantasmi. Ne scaturiscono "personaggi di scena" che, anche quando sembrano alludere a reminiscenze da Francis Bacon (soprattutto nella negazione dei volti, cui è sottesa anche la lezione di Christian Vogt), risultano molto familiari e docili al nostro immaginario e ci appaiono quindi assai più tranquillizzanti.

In un'altra indagine, Zirpoli applica esasperati moduli di esclusivo stampo fotografico per un'esplorazione quasi anatomica del nudo femminile, indugiandovi con uno sguardo forte, aggressivamente sensuale, molto virile, grazie ad una illuminazione tranchante, che esaspera i toni bassi e incupisce l'atmosfera di questa insistita ricerca di plasticità e di disvelamento.

Quanto al coerente e rigoroso lavoro di Grassi - il cui soggetto mi pare assai più un concetto di fisicità e dinamismo che la plastica bellezza o il fascino erotico del corpo nudo - mi pare evidente che nelle sue fotografie il nudo femminile, altre volte assunto a "misura" e a "chiave di lettura" della natura circostante (quindi del mondo), si è progressivamente prosciugato fino a perdere del tutto le connotazioni del realismo fotografico. Attraverso il mosso (un "effetto" fotografico che si avvale degli elementi costitutivi del procedimento per scardinarne la funzione storica) Grassi si impadronisce dello spazio e del tempo, nonché delle loro mutazioni, trasferendoli in un altro universo, quasi trascendente. Dove il corpo femminile, appena accennato e quasi affiorante dalle intermittenze della memoria, diventa un ideogramma dinamico, fuso con il mondo, ad evocare ed interpretare fantasmi, sogni, desideri.

Lanfranco Colombo