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Se si volesse identificare il filo rosso che lega, ormai da alcuni decenni, l'attività di Wanda Nazzari caratterizzata da una continuità dettata dal rigore della coerenza, lo si potrebbe individuare in una fusione di due momenti creativi: quello iniziale, costituito dallo scavo della materia, e quello successivo nel quale dalla ferita che si è inferta esplode una composizione che il colore rende tattile e ne svela luci ed ombre. Una costante: il colore viola. Le ricerche sui simboli hanno messo in luce la valenza dell'aspetto cromatico poiché il viola, come è noto, è ottenuto con la fusione di due colori, il rosso e il blu: il primo, simbolo delle forze della terra, naturali, ctonie, il secondo di quelle celesti, spirituali. Il risultato è quello di una complementarità o, piuttosto, di una sintesi di forze contrapposte, sintesi che dà luogo ad una razionalità non fredda, ma temperata da elementi frutto di sentimento: il viola costituisce, infatti, il simbolo della Temperanza. Nella carta dei tarocchi che la rappresenta, essa è raffigurata da un angelo che tiene nelle mani due vasi, uno blu, l'altro rosso, tra i quali scorre un fluido incolore, l'acqua vitale. Il viola, invisibile in questa rappresentazione, è il risultato dello scambio perpetuo tra il rosso della forza impulsiva e il blu della immaterialità del sogno.

L'aspetto cromatico è sempre presente nell'opera della Nazzari, a partire dalle sue prime sperimentazioni ove il bianco acquista un valore assoluto. E' questo significato simbolico del colore, da lei ben assimilato e vissuto nel corso della sua attività, che, nel tempo, ha attirato l'attenzione di artisti e letterati. Si può ricordare che già Leonardo dava al viola il valore di armonia universale nella quale trovavano conciliazione forze apparentemente contrastanti. Per la nostra epoca basterà far riferimento al noto film Il colore viola di Steven Spielberg, che ha tratto la sua ispirazione dal romanzo, con lo stesso titolo, di Alice Walker, dove l'espressione, attribuita ad uno dei personaggi: &laqno;Credo che Dio si arrabbi se, per esempio, uno passa vicino al colore viola in un campo senza notarlo», diventa la chiave di lettura del libro, le cui pagine, percorse dal brivido della disperazione, si chiudono col sorriso della speranza in una vita migliore: la vita, per la protagonista, cambierà colore...

Wanda Nazzari guarda soprattutto dentro se stessa ed in questa ricerca interiore, quasi un viaggio nell'anima, tenta di rispondere ai perché della vita, si sforza di penetrare l'essenza delle esperienze anche dolorose e di trarre dal profondo la forza dell'esistere che trasmette anche a noi, spettatori, attraverso le sue opere: esse costituiscono un percorso di solitudine, di fatica, percorso che, tuttavia, tende sempre a condurci verso una meta illuminata dalla luce della speranza. Tutto questo è alla radice della sua ricerca: l'artista, partendo da esperienze vicine alla tecnica grafica, ha affinato le sue capacità con un uso sapiente della materia che, anche quando è cartacea, rivela un'applicazione razionale e logica, tesa ad ottenere effetti ottici i quali rispondono ad una concezione tridimensionale che, già dagli inizi della sua attività, la avvicinava alla scultura. Pensando, infatti, a Wanda Nazzari ci si può chiedere se il termine più appropriato che ormai contraddistingue il suo operare artistico non sia quello di scultore, anche se per lei, sempre tesa verso nuove sperimentazioni, dotata di notevoli, poliedriche capacità, la definizione rischia di assumere una valenza generica e convenzionale, atta solo a distinguere l'artista che opera sulle tre dimensioni. La sua materia prima non è il bronzo, né il marmo, ma lo spazio entro il quale elabora le sue creazioni: uno spazio trasformato in immaginazione che avvolge chi lo penetra, facendolo precipitare in un non luogo dove la mente perde i suoi riferimenti alle familiari e tranquillizzanti tre dimensioni della scultura tradizionale.

I materiali usati sono i più semplici ed elementari: solo apparentemente, però, perché il modo in cui essi vengono impiegati e, fra questi, soprattutto, il legno che nelle opere in mostra acquista un valore quasi paradigmatico, produce un'immagine percettiva complessa. Le mani dell'artista scavano, con piccoli attrezzi da incisore, minuscole ferite nella materia lignea controfilo, ferite che sembrano aperte dalla lenta erosione degli agenti atmosferici o, quando si schiudono in spaccature più ampie e profonde, paiono procurate dal calore del fuoco che ha arroventato la materia senza, tuttavia, distruggerla. La ricchezza delle forme espressive che possono essere ottenute da una materia prima come il legno, è stata ampiamente messa in luce da un'interessante ricerca, condotta sulle tecniche nel 1992 in Francia, La sculpture sur bois con citazioni di opere di artisti di varie nazionalità.

I legni dei Polittici vivono forti e fieri delle loro ferite come gli alberi sopravvissuti al fulmine, i quali trovano nelle riserve di cui la natura li ha abbondantemente dotati, la capacità di continuare a vivere. Avvicinandoci alle "stele", costruite ed assemblate con una grande intensità partecipativa e creativa, si ha la sensazione di essere attratti da una corrente destabilizzante il nostro reale, attraverso la quale si entra in un universo onirico, carico di un senso di ignoto e di infinito. In questo universo non si percepisce, però, l'ineluttabilità di uno spazio fagocitante e distruttivo, ma la serenità di un nascondiglio accogliente, luogo di memoria, di riflessione, angolo di meditazione e, perché no, di preghiera che ognuno di noi potrebbe adattare, spostando i singoli pezzi, alla propria realtà esistenziale. Guardando quella scheggia di materia infuocata, staccatasi dal nucleo centrale, la quale vive ora di vita propria su una parete, ne abbiamo una impressione rassicurante, come di un astro caldo e luminoso: il pensiero corre ai Nidi, una pagina a parte, ben delineata nell'attività dell'artista, a partire dai primi anni Novanta. Con una sensibilità che porta ad una partecipazione umana al dolore singolo e cosmico, la Nazzari trova nel "nido" una costruzione ­ rifugio dove chiudersi, meditare, per poi aprirsi con una percezione cosciente del flusso della vita quotidiana.

Le ali, cariche di significati simbolici, diventano il mezzo indispensabile per muoversi con leggerezza negli spazi dello spirito: si chiudono lungo il corpo quando ci si rannicchia nei propri pensieri, si aprono in tutta la loro ampiezza quando si vola in alto, leggeri verso una dimensione che trascende la condizione umana, memori, però, della propria limitatezza, come già ci rivelava il mito mostrandoci tragicamente l'avventura di Icaro. Nei pannelli lignei della Nazzari, sempre caratterizzati dalla lavorazione a scaglie, i Frammenti assumono la valenza di polarità che si attraggono e solo alla fine si toccano, in uno spazio che viene interiorizzato sempre attraverso un colore, il viola, evocativo di una forza profonda e lontana che assume una sua fisicità nella materia rude e fine al tempo stesso: rudezza e finezza, analizzate nel profondo, costituiscono anch'esse polarità apparentemente in contrasto le quali trovano, però, nella loro forza di attrazione, la possibilità di congiunzione.

Non è facile fare raffronti, accostamenti, fra l'opera della Nazzari e quella di altri artisti, soprattutto contemporanei. Comunque, gli avvicinamenti sono sempre discutibili e vanno inseriti in un quadro di reciproche esperienze non sempre documentabili. Ma se un nome può farsi, è quello di Emilio Vedova che fin dagli anni Sessanta con i suoi Plurimi in legno rompeva lo spazio antico dei quadri per ribaltarlo attorno all'uomo che vi si trovava immerso e, al tempo stesso, colorava i suoi legni di un nero grumoso e profondamente cupo dove emergevano il bianco e, talvolta, alcune lacerazioni di rosso a denotare la rabbia dell'artista contro la società capitalistica. Ma non c'è rabbia nella Nazzari, c'è una poeticità interiore, una speranza profondamente vissuta di un mondo migliore; il pensiero non può che fermarsi su un confronto: Chi brucia un libro brucia un uomo è un'opera in ferro di Vedova del 1993, destinata alla Biblioteca di Sarajevo, colma di dolore, ma foriera di speranza. Una speranza che appare in tutta la sua promessa e la sua luminosità, pur col carico di sofferenza che porta con sé, in una grande installazione della Nazzari, dello stesso anno, il presepe A Sarajevo ancora.


Maria Luisa Frongia

WANDA NAZZARI

Cagliari (Italia), 1935

Wanda Nazzari compie la sua formazione artistica e culturale a Cagliari, città nella quale vive ed opera. Dopo le prime esperienze pittoriche che risalgono agli anni Cinquanta, l'artista rimane a lungo lontana dalla scena dell'arte. E' solo negli anni Settanta che la Nazzari riprende la pratica della pittura dedicandosi, al contempo, a definire e ad approfondire i termini della sua indagine estetica. Nel 1980 allestisce a Cagliari la sua prima personale e si avvicina allo studio delle tecniche incisorie e calcografiche tradizionali e sperimentali. Da questa esperienza la Nazzari ricava una felice intuizione e orienta la sua ricerca verso una dimensione sempre più decisamente spaziale. Dalle tele ai legni, dal colore alla texture materica di un segno scavato: l'avvio di un percorso che porterà alle opere tridimensionali degli anni Novanta, ai Polittici, presenze plastiche che interagiscono con l'ambiente e definiscono il carattere oggettuale dell'opera. Nei lavori più recenti, installazioni di grandi dimensioni, all'indagine sullo spazio fisico l'artista accompagna un'approfondita riflessione sui problemi dello spirito. A partire dal 1988 si impegna nell'attività di scenografa e consulente artistica in campo pubblicitario, come dimostrano numerose pubblicazioni e produzioni video. Nel 1993 ha tenuto un seminario di tecniche calcografiche nella Facoltà di Lettere e Filosofia di Cagliari, in collaborazione con la cattedra di Storia del disegno, dell'incisione e della grafica. Dal 1995 cura la direzione artistica del Centro Culturale Man Ray di Cagliari, spazio polivalente dedicato alle sperimentazioni contemporanee.


 

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