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I PONTI ROMANI:
Per
costruire i ponti di pietra nell’antichità si sono adoperati i sistemi e le
tecniche seguenti: -
Il sistema di travi orizzontali (usato dagli egiziani e dai greci). -
La tecnica dello pseudoarco (sviluppatosi dal sistema precedente e usata in
ponti minoici, micenei, assiri e greci). Per diminuire lo spazio da superare
con i travi orizzontali si fece in modo che
sporgessero i singoli strati sopra lo strato inferiore. Il peso dei
blocchi superiori assicurava la posizione stabile dei blocchi dello strato
inferiore. -
Il sistema dell’arco a conci radiali (testimoniato con certezza soltanto in
epoca etrusca e romana). Sugli archi, costruiti di conci radiali sopra una
centina di legno, per lo più a tutto sesto, ma talvolta anche leggermente
ribassato, si costruì la parte superiore del ponte sia di blocchi rettangolari
(opus quadratum), sia di calcestruzzo
(opus caementicium) fra i muri
laterali in opus quadratum. Gli
etruschi furono i primi a costruire i ponti esclusivamente nella tecnica
dell’arco a conci radiali; comunque l’apogeo in senso tecnico ed estetico nella costruzione di ponti fu
raggiunto in epoca romana. Il
contributo originale e caratteristico di Roma all’architettura antica fu
l’applicazione molteplice dell’arco a conci radiali e la formazione dell’arcata
come motivo estetico. Poiché
i piloni dovevano non solo resistere alla pressione dell’acqua, ma anche
servire come contrafforte per la spinta degli archi e delle masse gravanti su
di essi, erano la parte più delicata e difficile di tutto il ponte. Per questo
evidentemente si cercava di diminuire quanti più possibile il numero dei piloni
allargando la luce dei singoli archi (soprattutto di quelli direttamente sopra
il fiume). Il
massimo di apertura di un arco era di 35m circa, il punto critico per la luce
doveva essere di circa 40m. Siccome
nella costruzione dei ponti romani per lo più si adoperava l’arco a tutto
sesto, con l’aumento della luce il ponte diventava sempre più alto, cosicché
spesso la carreggiata di un ponte risultava più alta delle rive del fiume. In
tal caso rampe inclinate, talvolta anch’esse su archi minori, rendevano
possibile l’accesso al ponte stesso. La
larghezza dei ponti era sempre limitata; quasi mai superava i 7, 8 metri. Si
distinguono quattro maniere di costruzione: 1)
A massi informi o sbozzati rudimentalmente, con giunti di discontinui e rare
schegge di calzatura. 2)
A poligoni irregolari con bugnato rustico e interstizi riempiti con
scaglie. 3)
A poligoni regolari con fronte levigata e lati esattamente combacianti. 4)
A elementi trapezoidali, con tendenza a piani orizzontali che risultano però
discontinui. Nella
quarta maniera l’opera poligonale, quasi imperfetta opera quadrata, fu usata
spesso per costruzioni e ponti nelle ville consolari ed ebbe una ripresa
nell’età di Claudio e di Traiano; ma il suo uso comune non oltrepassa il secolo
II a.C. L’opera a blocchi regolamenti squadrati, il saxum quadratum o opus quadratum della moderna terminologia archeologica rimane a lungo la più diffusa.
Figura A: Le quattro maniere
di costruire L’impalcato
a volta è la classica soluzione adottata per i ponti a struttura muraria in
pietra ed è costituito da una volta larga quanto la via percorribile che deve
sostenere. L’impalcato
a volta è formato da: -
volta: la struttura portante
realizzata in muratura di pietrame o mattoni con configurazione tipologica
della volta a botte a tutto sesto e in alcuni casi a sesto ribassato; -
spalle o imposte: i sostegni laterali della volta; in tale porzione
strutturale si comprendeva anche di volta vera e propria inferiore alla sezione
di rene; le spalle erano costituite da grossi blocchi squadrati di pietra o di
calcestruzzo; -
rinfianco: il prismoide di calcestruzzo
romano a ricarico della sezione di rene onde contrastare la tendenza allo
sfiancamento laterale della volta; -
cappa: lo strato lisciato di malta
con funzioni impermeabilizzanti la volta e il rinfianco; -
riempimento: il volume di materiale
arido che permetteva il conguagliamento della pendenza formata dal rinfianco
fino al piano di sedime della pavimentazione stradale. Il
contenimento del riempimento era realizzato per mezzo di un muro di sostegno
vero e proprio poggiante su un arco laterale di completamento della volta. Il
muro prende il nome di muro andatore e la sua eventuale prosecuzione sopra il
piano viabile costituisce il parapetto; l’arco di sostegno detto armilla, di spessore maggiore della
volta era normalmente realizzato in pietra squadrata variamente lavorata
esternamente. Alla
fine del II secolo a.C. si hanno armille costituite dall’alternanza di un concio unico e di due conci
sovrapposti, che risponde a una disposizione interna di conci disposti per alto
e per lungo. All’
inizio del secolo I a.C. si hanno duplici o anche triplici armille. L’attraversamento
dell’ostacolo corso d’acqua poteva avvenire ortogonalmente allo stesso o
obliquamente; nel primo caso si otteneva una volta ortogonale e l’apparecchio
era di tipo ortogonale anch’esso. Nel secondo caso si otteneva una volta obliqua; l’apparecchio murario era ancora ortogonale se l’obliquità era limitata a dieci gradi circa, conguagliando la stessa con differenti spessori di armilla.
Quando l’obliquità era superiore occorreva ricorrere all’apparecchio elicoidale nel quale i giunti longitudinali fra i conci (in pietra o in mattoni) erano disposti secondo eliche che andavano da un’imposta all’altra, mentre i giunti trasversali si disponevano secondo tratti di eliche compresi tra le due armille.
Figure 2-3:
Apparecchio murario per volte oblique: a) volta con apparecchio ortogonale ed armilla variabile per obliquità. b) volta con apparecchio elicoidale per forti obliquità.
Nel
corso della costruzione occorreva sostenere con armature provvisorie
l’apparecchio murario finché esso non era in grado di autoportarsi. L’armatura
indicata era la centina realizzato in
legno, materiale che permetteva una rapida costruzione, riutilizzazione e
spostamento della centina stessa. I
due tipi principali di centina erano: -
a sbalzo: quando l’armatura si
appoggia solamente alle imposte su strutture lignee verticali o lapidee a
sbalzo dalle pile; - fisse: quando le armature presentano sostegni verticali intermedi, eseguiti in struttura lignea.
Il
primo tipo veniva usato per portate limitate o comunque per curvature a tutto
sesto. Il
secondo per portate maggiori e comunque per curvature a sesto ribassato. La centina dell’arco ribassato era costituita , a seconda dello spessore dell’arco, da una tavola o più tavole affiancate profilata superiormente a curva; la centina dell’arco a tutto sesto ( più complessa) era ottenuta collegando in un piano delle assi, sagomandole poi secondo il semiarco.
Figura 5: Tipologia essenziale di centine in legno: a) a
sbalzo b)
su appoggi intermedi. Se
la volta veniva realizzata in conci di pietra squadrata, questi ultimi erano
conformati a prisma tronco piramidale sulle facce di contatto longitudinali, in
modo da realizzare uno spessore di malta di connessione costante. Se
la volta veniva realizzata con mattoni, a causa della loro forma
parallelepipeda, si verificava l’inconveniente che gli interstizi di malta di
connessione passavano, per volte di spessore elevato, da qualche millimetro
all’intradosso della volta a qualche centimetro sull’estradosso della stessa,
questo fatto determinava un forte calo di resistenza della muratura nonché una
pericolosa deformabilità nel tempo, derivata alla degradazione delle malte. La forte deformabilità della centina sotto carica imponeva altresì di disporre gli elementi in maniera tale da non compromettere la geometria risultante dell’opera muraria.
Figura 6: Volta a conci di pietra.
Figura
7: Volta a mattoni.
Per
sollevare i blocchi si usavano paranchi differenziali, composti di due, tre, o
più carrucole e attacchi a una capra, o altri mezzi, come una grande ruota di
legno fatta girare dal movimento di operai posti nel suo interno. I
blocchi erano imbracati con corde passanti sotto apposite bozze o in
scanalature, con ferrei forfices o
con olivelle, a due o tre elementi immesse in un foro a pareti inclinate. Una volta collocati a posto, con successivi spostamenti a mezzo di leve essi erano imperniati o collegati gli uni agli altri con grappe di varia forma e anche con legni duri foggiati a coda di rondine.
Figura 8: Olivelle a 2 o 3 elementi.
Figura 9:
Sollevamento di un blocco con ferrei fofices. |