gli insediamenti rupestri medioevali

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Le grotte di Dio

Il terreno di quest’area geografica si presenta in più parti costituito da calcareniti: tufo e silicio, materiali facilmente friabili. Questo tipo di pietra fu usata nei tempi passati come arena e fu scavata per ricavarne rifugi e abitazioni.

La felice posizione geografica, i boschi di querceti, la presenza di acqua e le calcareniti tufacee, offrirono, quindi, un agevole insediamento ai primi indigeni pugliesi. Non è facile trovare una collocazione temporale a testimonianza di tutto questo, è certo però che l’uomo cercò nelle grotte di questa terra un rifugio e un riparo sicuro per difendersi dalle intemperie e dalle belve feroci. Dalla caverna-rifugio si passò allo scavo migliorando l’habitat con l’avanzamento dell’età del bronzo e poi del ferro.

Anche in epoche successive queste caverne furono sfruttate dall’uomo, infatti in tutta questa area territoriale si svilupparono nuclei abitativi definiti Villaggi Rupestri o Casali Rupestri. Essi sorgono in crepacci profondi, dalle pareti ripidissime, che prendono il nome di Gravine.

Nel periodo della seconda dominazione bizantina, nelle nostre campagne, si diffuse la consuetudine, forse alimentata dai religiosi orientali, di fare scavare nella roccia numerose chiese e monasteri rurali. Spesso il devoto o il benefattore, si ritirava in penitenza o in preghiera in quelle cappelle o “grotte”, fondando piccole comunità monastiche, anche perché, fino all’XI sec., i monaci non dovevano necessariamente prendere i voti. Questi piccoli monasteri rupestri furono utilizzati dai conquistatori normanni, nell’XI sec., in accordo con la Chiesa romana per riportare al cattolicesimo questi territori.

Dopo alterne vicende, durante il primo periodo della dominazione bizantina, le gravine si popolarono di monaci greci. E, proprio grazie a queste immigrazioni di Greci, sorsero anche nelle campagne cripte ricche di dipinti bizantini, arte di monaci di cui ancora oggi restano tracce. Le alterne vicende storiche hanno fatto sì che a più riprese questi territori fossero prede di barbari e saraceni, sconfitti, poi, definitivamente dall’imperatore Basilio I che, alla fine, stipulò un patto con i principi longobardi.

La religiosità orientale quindi, aveva lasciato preziose tracce culturali sia in campo religioso che economico-sociale. Basti pensare all’opera degli amanuensi, i monaci che ricopiavano a mano gli antichi codici. Grande importanza in questo processo di recupero religioso ebbero i monasteri benedettini guidati dall’abate (nome di derivazione aramaica) che significa “Padre” e che, presso i monaci greci, corrisponde a quella di “Igumeno”, cioè “colui che guida”. I monaci benedettini, ai quali i Normanni fecero ricche donazioni di chiese e monasteri rurali, con il loro motto “ora et labora” (prega e lavora), contribuirono allo sviluppo religioso, politico, economico e civile delle campagne e al ritorno alla cultura occidentale. Infatti intorno a questi luoghi religiosi si organizzarono, nel periodo medioevale casali e villaggi ripopolando così queste terre.

 

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