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La SARS
Sembra un
argomento lontano dal mondo dello sport, ma in realtà gli sportivi sono una categoria a rischio quando le manifestazioni cui partecipano sono di levatura internazionale. E' parso quindi opportuno dare uno spazio ad un virus che per
molti mesi ha occupato le prime pagine dei giornali. SARS è una sigla con cui si indica una Sindrome Acuta Respiratoria Severa, una malattia infettiva identificata nel febbraio del 2003 nell'Asia Orientale; il virus,
probabilmente nato nella regione della Cina meridionale, deriva da un ceppo che probabilmente infettava solo polli e galline, causando una banale influenza. L'identificazione del virus la si deve ad un medico di prima linea, Carlo
Urbani, caduto sul campo e per questo emblema della medicina italiana nel mondo. Il virus responsabile della SARS è un coronavirus, ad RNA, con forte virulenza e patogenicità, di nuova acquisizione, evolutosi negli anni e capace
di resistere nell'ambiente esterno per periodi maggiori rispetto ad altri comuni virus; l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che in materiale fecale acido il virus persiste per 4-5 giorni (in media gli altri virus
12-24 ore). Come molti altri virus sopravvive in clima freddo e sembra essere sensibile all'azione dei comuni disinfettanti, come la varechina, l'etanolo, la formaldeide e la paraformaldeide.
Il virus della SARS, soprannominato oggi con l'epiteto "Urbani Virus", si può trasmettere in diversi modi:
Clinicamente l'infezione resta silente per circa 3-10 giorni dal contagio, quindi esordisce con febbre maggiore di 38°, che tende a mantenersi elevata, tosse secca e stizzosa, brividi, cefalea, dolori muscolari e
intestinali, questi ultimi spesso associati alla diarrea. Il quadro descritto sembra quello din una influenza, ed effettivamente di ciò si tratta, ma col progredire dei giorni, il quadro clinico peggiora ed il deficit respiratorio
progressivamente può aumentare sino all'exitus del paziente. Attualmente la diagnosi si basa sui dati clinici, sulle radiografie del torace e, soprattutto sui dati anamnestici relativi a viaggi nelle zone a rischio o a contatti con
cose e persone provenienti da zone a rischio (Cina e Canada in particolare); la conferma si ha dall'isolamento del patogeno nei fluidi biologici del malato. La terapia prevede l'uso di antivirali non specifici
(oseltamivir e ribavarina), cortisonici, antibiotici come macrolidi, beta-lattamici e fluorochinolonici (per evitare infezioni batteriche che potrebbero essere favorite); questa, associata con l'isolamento del paziente ed il riposo
assoluto permettono la remissione del quadro clinico. Ad oggi l'OMS riconosce che nell'80% dei casi la malattia regredisce (in media circa 40 giorni), e gli alti tassi di mortalità registrati precedentemente sono da attribuire ad
una mancata iniziale campagna informativa dei paesi in cui il virus è nato, alle scarse condizioni igieniche dei paesi colpiti ed al fatto che il virus può avere la meglio nei soggetti deboli: bambini, anziani, soggetti con altre
malattie in atto (diabete, cardiopatie, broncopneumopatie, eccetera). Lo scenario mondiale oggi sembra più sereno; come atteso le alte temperature estive inibiscono la trasmissione del virus, e probabilmente i quadri apocalittici
immaginati dai media non si realizzeranno mai; in Italia ed in Europa, in particolare, è opportuno sottolineare che non si sono registrati casi derivanti da trasmissione locale, ma solo casi di importazione che mai si sono rivelati
mortali. Tutto ciò deve fare riflettere chi, in ambito sportivo, si muove a livello internazionale. Le normali misure preventive (ne elenchiamo le principali) sono più che sufficienti per evitare il rischio del contagio:
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