I Vitigni

BARBERA


Di sicure origini piemontesi, la barbera è identificata da Giuseppe Aldo di Ricaldone, antichi documenti del Monferrato, con un certo vitigno berbexinis citato in un atto del 1249, nel quale la chiesa di sant'Evasio di Casale affitta un terreno a tale Guglielmo Crova con l' obbligo di inpiantarvi bonis vitibus berbexinis.
Secondo altri il nome Barbera deriva dalla trasformazione del lombardo alberà e del latino albuelis, con accostamento al nome Barberi, frazione di Villafranca Sabauda in provincia di Torino. Il Barbera è citato sul territorio dell'Oltrepò sin dagli inizi del 1800.
E' un vitigno di medio vigore che si esprime con produzioni abbondanti e costanti.
La varietà si adatta alle diverse forme di allevamento e a potature medio-lunghe non ecessivamente ricche. E' sensibile agli attacchi di botrite.
Il germoglio è ad apice espanso, verde biancastro, parzialmente carminato. La foglia adulta è media, pentagonale, pentalobata, con seno peziolare a lira, per lo più chiuso, a volte con bordi sovrapposti. La pagina superiore è glabra; tomentosa quella inferiore.
Il grappolo è medio, molto spesso piramidale, più raramente cilindrico, compatto.
L'acino è medio, ellissoidale, con buccia pruinosa, sottile, di colore blu intenso.
Polpa succosa, dolce e acidula.

 


CROATINA


E' il vitigno base del Bonarda,un vino simbolo dell' Oltrepò Pavese, da sempre legato alla tradizione della zona.
La leggenda fa risalire il primo cenno al Bonarda in Oltrepò Pavese al 22 marzo 1192, a un documento redatto dal notaio Artono del Sacro Palazzo di Pavia.
Si tratterebbe di un censo che il conte Anselmo di Rovescala riconosceva al signor Guascone Beccaria sotto forma di puro vino della migliore qualità tra quello pigiato dalla "Suarum Vinearum de Rovescara". Ma le prime citazioni concrete del vitigno Croatina risalgono alla seconda metà del 1800, quando vari ampellografi hanno provato a "mettere ordine" nei vigneti in particolare tra Croatina, Uva Rara, Bonarda Piemontese e altri vitigni. Se solo in quel periodo si va a concretizare una scheda ampelografica del Croatina, è pur vero che il passaparola generazionale locale identifica questo vitigno come simbolo viticolo dell'Oltrepò Pavese, ben presente sul territorio da tempo, cosi come da tempo in molte colline oltrepadane il vino ottenute già viene chiamato Bonarda.
Alla fine del 1800 il vitigno Croatina è a tutti gli effetti il vessillo della produzione vitivinicola dell'Oltrepò ed e' diffuso in modo abbastanza omogeneo in tutto il territorio.
Le prime descrizioni dell'uva Croatina risalgono alle ampelografie della seconda metà del secolo scorso. Ha un grappolo da medio grande, conico, talvolta alato, di media compattezza. Il peduncolo è lungo circa un terzo rispetto alle dimensioni del grappolo, è semilegnoso, piuttosto grosso, ben visibile. L'acino, di dimensione media, ha una forma sferoidale o leggermente ellissoidale, regolare. La buccia è piuttosto spessa, consistente e coriacea, abbastanza pruinosa, di color turchino regolarmente diffuso.
Il succo è incolore, la polpa succosa, dal sapore caratteristico.

 


 

VESPOLINA
(UGHETTA DI CANNETO)

La prima citazione dell'uva Vespolina risale al novembre del 1798 a opera del conte Nuvolone, che però prende una grossa cantonata assimilandola all'uva Barbera dell'Astigiano e dell'Alessandrino.
Il primo a specificare in Oltrepò il vitigno è l'Acerbi, nel 1825, che parla dell'Ughetta di Canneto, definendo quello della località Solenga come il miglior prodotto della zona.
Successivamente il conte Gallesio dedica a questo vitigno una completa monografia, corredata anche da una tavola a colori, definendolo Uvetta di Canneto. Il Vespolina è noto anche con il nome latino vitis vinifera circumpadana, che, in pratica, comprende tutte le tipologie definite Ughetta nelle valli vercellesi, novaresi, alessandrine e oltrepadane.
Il vitigno è stato quasi totalmente abbandonato nel rinnovamento viticolo post-filosserico anche per l'avvento dei portainnesti, che pare abbiano modificato il prodotto iniziale.
E' un vitigno di buona-media vigoria, a vegetazione regolare eretta. Il fiore ha bottone piriforme di media grandezza, ermafrodita. La foglia è medio piccola, pentalobata con seno peziolare a "U" larga; di norma si presenta molto frastagliata e a volte prezzemolata.
Il grappolo è di media grandezza, mediamente compatto, allungato, sia di forma cilindrica che conica (spesso tronco-conica) con una sola ala di norma ben differenziata e sviluppata.
L'acino ha la forma ovale (ricorda una piccola oliva) e dopo la maturazione ottimale tende ad afflosciarsi.
Ama forme di allevamento tradizionali con una densità di 4500 ceppi-ettaro. E' abbastanza sensibile all'oidio, mediamente resistente a peronospora e botrite.

 


UVA RARA


Questo vitigno, spesso confuso con altre uve dell'Oltrepò e del Novarese, viene di fatto identificato dal Di Rovasenda nel 1878 e da lui descritto nel suo Aureo Saggio, dove è definito come Uva Rara del Vogherese e dove è anche avvallata una definizione locale dialettale già citata a fine '700 (Rairon al Vugherès). Il Molon, nella sua ampelografia, confonde il vitigno con altri (Bonarda di Gattinara) e parlando dell'Oltrepò lo segnala con nomi diversi: Uva Rara sulle colline Vogheresi, Rairon a Casteggio, Martellana a Stradella.
E' un vitigno dalla vigoria medio-buona, presenta vegetazione regolare ed eretta a bottone fiorale piriforme-cilindroide ermafrodita. Ha foglie di grandezza media dalla forma pentagonale, pentalobata, con seno periolare a lira. Il grappolo maturo è medio-grande normalmente spargolo (da cui deriva il nome) e presenta forma tendente al conico, di norma è alato. La buccia è liscia e difficilmente assume pigmentazioni intense.
La produzione, di solito media, è condizionata dall'aborto fiorale a cui il vitigno è particolarmente soggetto.
Abbastanza resistente alle comuni malattie della vite, tale vitigno è di norma poco considerato dai produttori locali a causa dell'incertezza produttiva e anche per le difficoltà, in certe annate, a portare a completa maturazione il prodotto. Motivo per cui chi vuole ottenere uve di qualità deve puntare sulla giusta fittezza d'impianto (circa 4500 ceppi per ettaro), su terreni ben esposti e su colline medio basse.

 


PINOT NERO


Probabilmente deve il suo nome alla caratteristica forma a pigna del grappolo maturo. In Italia i primi riferimenti a vitigni simili al Pinot risalgono al 1500 (Pineolo, Pignolo gentile, Pignolo grappolato), in relazione a vitigni coltivati sulle colline piacentine e pavesi. Il Pinot Nero che conosciamo oggi in Italia deriva da selezioni francesi e apparve nel panorama cispadano intorno alla metà del 1800. Fu ai primi del 1900 che, su iniziativa di alcune aziende spumantistiche, il Pinot Nero si estese in forma massiccia nell'Oltrepò Pavese, che si scoprì zona estremamente vocata alla coltivazione di questo vitigno.
Con terreni così vocati molte aziende hanno iniziato circa trent'anni fa a impiantare cloni di Pinot Nero destinati alla vinificaziòne in rosso, ottenendo grandi risultati: oggi l'Oltrepò può vantare numerose etichette che lo pongono ai primi posti tra le zone di produzione di questo vino.
Vitigno di medio vigore, si esprime con produzioni che vengono influenzate dalla grandezza del grappolo. Possiamo infatti trovare all'interno di questa famiglia sia tipi a bassa produzione, i cosidetti "fini", più indicati per la vinificazione in rosso sia cloni ad alta produzione, i tipi "produttivi" più indicati per la vinificazione in bianco e come base per gli spumanti.
Nei Pinot più fini il germoglio è ad apice espanso, cotonoso, biancastro. La foglia adulta è media, tondeggiante, trilobata, con seno peziolare a "U-V" e lembo leggermente a coppa, spesso. La pagina superiore è verde scuro, bollosa; quella inferiore verde chiaro, aracnoidea. Il grappolo è piccolo, compatto, cilindrico, spesso alato. L'acino è medio-piccolo, con buccia nero-violacea, pruinosa, leggera. La polpa è succosa e dolce.
Nei tipi produttivi, al contrario, la foglia adulta è compatta e il grappolo grande, a volte alato.