LA SIEPE DI LEOPARDI MEMORIA
DI ROBERTO PAZZI
Possiedo da anni un'opera donatami da Mario Magnanelli,
una bella testina di ragazzo dalle labbra tumide, dai lineamenti negroidi,
i capelli di stoppa appena reso dall'assenza del colore e dal suo pallore
ancora più africano. Sono di Montale i versi che riassumono forse
quest’ avventura dell' ultima poetica di Mario Magnanelli: "tendono
alla chiarità le cose oscure... svenire è dunque la ventura
delle venture". Magnanelli lavora in "levare" alla vita
per restituire più ricca da un versante diverso, come è il
titolo di questo catalogo. E in atto nella sua più recente pittura
la sfida silenziosa di tradurre in suono il segno, come se il bianco e
la chiarità della sua ultima pittura fossero l'esatto e unico versante
del silenzio, la somma dei colori. qualcuno potrà evocare il bianco
di Utrillo; certo "Mare d'inverno" è un tema molto suggestivo
e non nuovo. Già altre volte ha tentato l'anima dei pittori e dei
poeti. Penso a Sandro Penna, ma soprattutto a "Lavoro" una poesia
dell'ultimo Saba:
"Un tempo la mia vita era felice. La terra mi dava fiori e frutta
in abbondanza. Or dissodo un terreno secco e duro. La vanga urta in pietre,
in sterpaglia. Scavar devo profondo come chi cerca un tesoro"
Ma Magnanelli ha l'innocenza di chi affronta il tema dell'inverno della
vita come fosse disteso nelle sue tele non il primo mattino del mondo,
ma l'ultimo che è già il primo di un nuovo ciclo. Si resta
inerti e sospesi a chiedersi che ore siano, una domanda che mi sono posto
spesso davanti alle opere di pittura più care, davanti alle tele
dei musei di mazzo mondo. Perché l'azzeramento delle passioni cui
parrebbe alludere l'atmosfera di questi fiori sul mare, di questo silenti
marine, dove il fruitore può immaginare, al di là di una
collina o di un sentiero, il suono o il rumore del mare, ha la tensione
di una molla compressa, pronta a scattare di nuovo, da un luogo dell'essere
dove lo sguardo sulle cose è capovolto, come se le illuminasse,
non ne fosse illuminato. La siepe di leopardiana memoria del colle dell'Infinito
ci ha già reso avvertiti:è il limite la porta del sogno è
ciò che non si vede che consente di accendere la funzione fantastica
e visionaria. è la varietà di quello stilita che mi pare
oggi diventato Mario, che viaggia con la sua mente, arreso al limite della
immobilità ma anche toccato dalla grazia della leggerezza con cui
sfiora i volumi, le linee, le sinopie di un mondo che fu di carne e sangue.
La musica di queste atmosfere trasforma infatti le cose - frutta, case,
fiori, rami d'albero, vasi, colline - tratteggiate dal pennello di Magnanelli
nei frammenti di un cosmo che si ricorda di essere stato unitario e palpitante.
Forse chi guarda le tele si trova per certi aspetti nella stessa posizione
di chi immerso nelle sue quotidiane occupazioni, a un tratto viene rapito
da una musica che gli giunge da una finestra lasciata aperta, un improvviso
o un notturno di Chopin che dalla radio irrompe e lo distrae, gli impedisce
di continuare le sue faccende. Una forza cioè indiretta, non attesa,
non voluta, che da umile presenza non addetta si fa accentratrice e assoluta
e lo costringe a ricollegare il disperso suo essere, collegando memorie,
volti, paesaggi, emozioni, attese, numeri di telefono che non si possono
più fare; sconvolgere la santa banalità a cui era arreso.
Mi pare questo il segno più alto della poesia dell'ultimo Magnanelli,
la sua sottile e discreta forza di invasione, evocazione ed evasione, la
sua scommessa di vita con la vita rivisitata dall' apparenza di una rinuncia
che si trasforma in un possesso più alto dello stesso mondo.
Roberto Pazzi
Ferrara - 23 giugno 2002
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