COMUNI DELLA RIVIERA DEI CEDRI
Acquappesa
è situata ai piedi
della "Catena Paolana". Le sue origini risalgono agli inizi del XVIII sec., ma è
certa la presenza dei Greci sul pianoro alle sue spalle nei secoli IV e III a.C.,
in quanto vi sono stati ritrovati molti vasi ed oggetti bronzei appartenenti a corredi funebri.
A circa, 1 km da essa si trova una
delle sue due frazioni: Intavolata ed a meno di 1 km da Guardia piemontese
l'altra: Terme Luigiane, che per cinque dodicesimi hanno in comune.
Le vicende storiche di quest'ultima
frazione sono legate a quelle del paese, fino al 1927 autonomo e unificato con
Guardia per tornarsi a separare nel 1943.
Nella chiesa parrocchiale del XIX
secolo è conservato un pregevole ostensorio Barocco.
Molto sviluppato l'artigianato del
legno, del ferro e dell'argilla.
Gastronomia:
Pietanze semplici dai sapori naturali eseguite con formaggi locali, verdura
ed ortaggi come la "pasta e patàne ", i "maccarùni di ziti", la "pasta d'a
fricchisca alla frissùra" ecc.
Aieta
vanta origini
secolare in quanto è uno dei più antichi feudi calabresi. Fu fontata da
cittadini provenienti dall'antica Blanda Iulia. Questi per non essere sottoposti
alle incursioni Saracene fuggirono sulle colline interne, infatti il primo
centro abitato si fa risalire all'896 sul "monte Calamaro", luogo quasi
inaccessibile.
Più tardi fu
trasferito nell'attuale sito, sviluppatosi intorno alla chiesetta di rito greco
di S. Nicola.
Aieta ebbe numerosi
feudatari: i primi furono i Normanni, poi passò ai Loira, ai De Mantibus, ai
Carafa e ad altri.
Nel 1535 divenne
dominio dei Martirano (da visitare l'omonimo Palazzo, esempio di Rinascimento
del sud), poi dal 1571 al 1767 ai Cosentino che la vendettero ai Principi
Spinelli di Scalea
Negli scorsi
decenni erano molto sviluppati l'artigianato del rame, della ceramica, del ferro
battuto e, fino agli anni ottanta, anche l'arte del ricamo e dell'uncinetto.
Gastronomia:
Specialità casearie come ricotta e
pecorino; salumi ed insaccati; carne di capra ed importante produzione del
fagiolo bianco, quotato nell'800 alla Borsa di Napoli.
Belvedere
di antichissime
origini, ma discordanti fra loro gli storici. Alcuni di essi lo collegano con
Sidro, subcolonia sibaritide, mentre l'attuale nome lo fanno risalire al XII
secolo. Sempre di quell'epoca è il castello fatto costruire da Ruggero il
Normanno (ancora in ottime condizioni) con rifacimenti aragonesi del XV secolo.
Il suo feudo, a
seguito delle lotte tra Angioini ed Aragonesi, fu venduto nel 1622 ai principi Carafa di Napoli, insieme alla "Terra del Diamante" che lo tennero fino alla
soppressione della feudalità.
Belvedere è la
patria di due uomini storici importanti: San Daniele Fasanella, (? - 1227) Ministro
Gen. dell'Ord. francescano delle Calabrie, martire a Ceuta in Marocco, quindi
suo santo Patrono (pregevole statua lignea nel convento dei Cappuccini) e Cecco
Pisano, uno degli artefici della vittoria di Lepanto contro i Turchi.
il paese ha
un'antica cultura dell'arte della ceramica e dell'argilla che ha dato vita ad
una "scuola-laboratorio", e l'industria della salamoia del cedro.
Gastronomia:
tipica cucina calabrese, molte specialità
ittiche ed i squisiti "mastazzuli": biscotti secchi multiformi di farina e miele
di fico (gilèppo).
Bonifati
probabilmente la sua origine
risale al 1507, quando alcuni profughi della città di Hiele, distrutta da
Roberto il Guiscardo, si sarebbero rifugiati sulla collina dove oggi sorge il
paese, nella zona detta del "Vaccaro". Il suo nome deriverebbe dal latino
Bonum-factum (bene-fatto). Altre fonti lo riportano al nome del Castello Bonifati,
una fortezza costruita sul Monticello a guardia della via Porto dei Focesi.
Attiguo al suo centro storico si
è recentemente sviluppata la frazione di Cittadella del Capo, ottimo centro
balneare.
Nella località Campo di Monaco e
Basile sono state ritrovate due sepolture italiote del IV e III secolo a.C.
Gastronomia:
cucina tradizionale locale a base di salumi e le
famose "patàne e zafaràni fritti alla frissùra".
Buonvicino
sorse nella seconda metà del XIV
secolo dall'unione di tre villaggi Tripidone, Triggiano e Salviate, un tempo
rivale e poi "buoni vicini".
Nel 1487 il paese apparteneva a
don Girolamo Sanseverino e d'allora progressivamente ai Sersale, ai De Paola, ai
Cavalcanti (noto il gastronomo Ippolito, suo duca nel 1860) ed infine ai Valente
fino al 1881.
Nel monastero basiliano di S.
Maria del Padre (fondato nella metà del IX Secolo) visse e operò l'abate S.
Ciriaco (c. 950-1050), suo Patrono. Famosa è rimasta la grotta della "Ricella",
nella valle del Corvino, dove il Santo vi passava intere giornate assorto nella
preghiera e nella contemplazione.
Dalla cima del Sasso dei Greci
(m. 967) si può ammirare la via Istimca che collegava Laos con Sibari.
Interessante anche lo sperone roccioso detto "u Zàccanu".
Gastronomia:
nella sua cucina di gusto robusto e genuino
spiccano le cotiche di maiale con le fave, la frittata con la cipolla, le polpette
di miglio e la pasta fatta in casa.
Cetraro
forse la prima città marittima
bruzia. Secondo l'ipotesi di molti storici riconducibile con l'antica Temesa
oppure in relazione con la famosissima Lampezia.
La città fu donata dalla
duchessa Silkegaita all'abate Desiderio IV Epifanio di Montecassino per
ringraziarlo del buon risultato ottenuto a Melfi allorché i Normanni si
riconciliarono col Papa Leone IX.
Perciò per 726 anni (dal 1086 al
1810) essa fu retta in priora dai Benedettini.
Due ipotesi sulla derivazione
del nome: o dall'abbondante produzione cedricola o dal nome del fiume Aron che
attraversa il suo territorio (Citra Aron o Citra Rivun).
Ai giorni nostri il comune è
diviso in Cetraro Superiore e nel Borgo S. Marco, fondato dai veneti dopo il
terremoto del 1905.
Nelle sue molteplici attività il
paese spicca per l'industria tessile (vecchio maglificio degli anni '50)nonché
per la pesca, la ceramica ed il legno.
Gastronomia:
le alici sono le "dive" incontrastate della cucina
locale: cotte, crude al limone o salate; non mancano le verdure e gli ortaggi,
soprattutto le melanzane.
Grisolia
a 440 m. slm, fu
fondata nel medioevo ed il nome derivò dal greco "Chrousolea" o dal latino "Chriseua",
entrambi significanti l'oro. Difatti nella zona
esistevano molte miniere.
Il paese fu
possesso del principe di Bisignano e poi di altri feudatari.
Importanti le
chiese, molte testimonianze architettoniche medievali ed in particolare portali
con stemmi gentilizi.
Caratteristiche le
viuzze e gli archi ("spùrti") che dominano le stradine e le case, costruite sui
dirupi a strapiombo, e non ultime le escursioni nella montagna di "Pantanèlli",
dove nei suoi boschi crescono rigogliosi ciliegi, mirtilli e fragole, o le
visite al "Museo etnografico"del Palazzo Ducale.
Gastronomia:
cucina tipicamente contadina fusilli al sugo di
carne di capra, ottimi salumi, baccalà fritto, e buon vino rosso locale.
Guardia Piemontese
fu fondata intorno
al 1200 da gruppi di esuli piemontesi di religione Valdese, provenienti dalle
valli di Pellice e Angrogna.
Inizialmente
chiamata Guardia Lombarda, prese il nome attuale solo nel 1863. La maggiore
attrazione turistica sono le Terme Luigiane, note già ai Greci ed ai Romani.
Altre attrattive sono la chiesa di S. Donenico e gli ingressi delle antiche case
gentilizie, ornati dall'opera degli scalpellini della scuola fuscaldese.
Importante anche il
Museo della civiltà contadina; e per quanto sia situata sul mare, a Guardia non
c'è la cultura del pesce.
Gastronomia:
cucina a base di legumi, ortaggi e latte; forte
presenza anche di uova, strutto e formaggio.
Maierà
a 360 m. slm è il
centro più ricco di storia e di tradizione dell'entroterra tirrenica superiore e
sorge su uno sperone del monte Carpinoso. Nel paese, le cui origini
risalirebbero al 1038, si trovano tanti riferimenti al mondo greco e si pensa
che il suo nome, secondo i religiosi, deriverebbe dal vocabolo ellenico "Jeratices"
che significa "luogo sacro". Gli storici, invece, sostengono la tesi che
deriverebbe dall'ebraico Marà (spelonca, grotta).
Avvicinandosi a
Maierà, lungo la strada, è suggestivo guardare lo spettacolo che offre la
montagna che ad un certo punto si spacca in due parti dividendolo da Grisolia,
mentre nella vallata sottostante, sulla sua sinistra, scorre sornione il
torrente Vaccuta.
Nell'antichità il paese fu possesso dei Lauria, poi dei Carafa, conti di Policastro, che lo tennero fra
alterne vicende fino al 1718, quando passò a Geltrude Figueroa e nel 1742 fino
al 1806 ai Catalano-Gonzaga.
Dal 2002 nel
Palazzo Ducale è ospitato il "Museo del Peperoncino".
Gastronomia:
cucina tradizionale
ricca di salumi, pasta fatta in casa con le alici, vino rosso, liquore di cedro,
marmellate e durante l'inverno fichi secchi anche ricoperti di cioccolata.
Orsomarso
anticamente detto
Albistro, lo troviamo con un nome simile (Ursumarzo) a quello odierno solo dal
XIII secolo.
Ma l'origine del
suo toponimo è molto incerta: secondo alcuni si collegherebbe alla presenza
nella zona di un orso che si rintanava in un bosco posseduto dalla famiglia
Marzo o Marzio, da cui Ursomarcius.
Appartenne ai
Brissac fino al 1580; poi passò ai Greco, ai Brancati ed infine al duca di
Girasole don Vespasiano Giovene. Ai primi del Settecento la popolazione si
ribellò contro i loro feudatari non volendo più pagare gli onerosi balzelli che
le imponevano.
Orsomarso possiede
uno splendido paesaggio ricco di boschi, montagne rocciose e valli solcate dalle
acque cristalline dei suoi due torrenti: l'Argentino ed il Canale, nei quali si
pescano numerose le trote e le anguille. Perciò il paese è considerato la porta
d'ingresso per il "Parco del Pollino".
Un tempo vi erano
fiorenti le botteghe di artigianato vi si trovavano donne laboriose intende a
tessere ed a ricamare.
Importanti sono le
sue chiese ricche di opere d'arte come affreschi del '600, altari in marmo
policromo ed un pavimento maiolicato del '700.
Gastronomia:
i suoi piatti tipici sono la carne di
capra e di maiale, quasi sempre affiancate con patate cotte al forno a legna,
oppure insalate condite con olio di casa. Non mancano gli ortaggi, le fave ed i
fagioli con peperoncino cotti nei tegami di terracotta per concludere col pesce
nostrano.
Papasidero
alle pendici del
monte Ciagola, a circa 200 m. slm, vanta una storia lunga diecimila anni,
quando l'uomo del Paleolitico superiore ha lasciato in una grotta il famoso graffito raffigurante due buoi.
L'antica tradizione
del borgo fa pensare che il suo nome derivi da un monaco basiliano, capo di una
comunità della zona, Papas Isidros e che il paese sia sorto sul sito dell'antica
Sidro. Ma potrebbe essere verosimile anche l'ipotesi che il nome derivi da un
vicino fiume o dall'omonima famiglia che ne possedette il feudo fino alla metà
del XIV secolo.
Nel 1726 i principi
Spinelli di Scalea acquistarono il feudo e lo tennero fino al 1806.
Non rimane più
traccia della sua secolare tradizione artistica ed artigiana. Rimangono, invece,
a raccontare un pezzo di storia bizantina le tre chiese ed il piccolo monastero
costruito nel fiume Lao sotto una grande roccia.
Gastronomia:
la cucina è prevalentemente di tipo
pastorizio (ricotte affumicate e tanti tipi di formaggi fino al pecorino).
Ottimo olio e vino, squisiti i salumi caserecci ed un posto d'onore alle "làghini
e cìciri" (pasta di casa a forma di tagliatelle condita con ceci e peperoncini).
Praia a Mare
di origini
recenti è famosa per due sue bellezze naturali: L'Isola di Dino e la Grotta del
Santuario, alta 19 m. con una superficie di circa 2.000 mq, un'opera maestosa da
attribuire solo all'erosione millenaria del mare. All'interno di essa furono
trovati dei reperti archeologici che testimoniano come il territorio di Praia fu
già abitato fin dal Paleolitico superiore, legando in questo modo la storia del
paese con quella della sua grotta, sede del monastero basiliano di S. Elia nel X
secolo e Santuario cattolico della "Madonna della Grotta" dal XIV secolo:
La realtà dei
giorni nostri offre laboratori di orafi raffinati, artigiani della lavorazione
del marmo, industria mobiliera, lavorazione
della terracotta e dagli anni '50 un grande stabilimento tessile.
Gastronomia:
un misto di specialità marinare e contadine.
Pasta di tutti i tipi fatta in casa, famosi i "cavatelli" simili agli gnocchi di
patata; ottimi formaggi dolci e salati come pure i salumi caserecci come
soppressate, capicolli e salsicce.
Sangineto
città, secondo la
tradizione, fondata dal mitico re dell'Arcadia Licaone col nome di Tileto o
Tigella. Storicamente se ne hanno notizie solo verso il 1270, quando un
discendente di Giovanni di Moufort Ruggero di Sangineto ne ottenne il feudo.
Questo poi passò ai baroni giunti (sec. XIV-XVI) dai quali prese il nome il
castello, oggi trasformato in una moderna discoteca, poi fu la volta dei
Sanseverino i Maiorana ed infine i Firrao che lo tennero fino al 1806.
Nel paese un tempo
vi si producevano oggetti da usare in campagna e delle altre attività
artigianati in vita fino agli anni ottanta ne rimangono solo alcune tracce di
livello solo amatoriale, perché soppiantate dalle nuove e più remunerative
attività commerciali, difatti da borgo agricolo si è trasformato in una
rinomata località turistica balneare specialmente nella sua Marina o Lido, dove
sono sorte eleganti e confortevoli villette.
Ai turisti sono
note anche le Grotte, dove nell'VIII secolo si pensa che vi si sono insediati
alcuni monaci basiliani profughi dalla Sicilia.
Gastronomia:
grande specialità locale è lo stufato di maiale con
cavoli, fagioli e patate. Altri piatti contadini sono la "pitta fritta"
(frittelle ricoperte con pomodoro) e la polenta (adesso un pò rara, che una
volta si consumava con cavoli e fagioli d'inverno o con peperoni e fagiolini
teneri d'estate).
San Nicola Arcella
è uno spettacolo
della natura a 110 m. slm., posizionata com'è sul ciglio di uno strapiombo
roccioso sul mare, dove si apre a mò di voragine creando una meravigliosa
spiaggia ed un porto naturale di unica rarità in quanto riparato dai venti e
dalle correnti che fa trovare un sicuro rifugio alle imbarcazioni che incappano
in una tempesta.
Nei suoi pressi si
ergono maestosi i ruderi di una torre cilindrica detta "del porto"costruita nel XVI secolo durante le incursioni Saracene.
San Nicola offre
anche un'altra attrazione naturale orografica: una roccia che forma un grande
arco e tramite una fenditura si entra in una grotta marina chiamata "dell'Arco
Magno".
Il paese, forse
nato da una colonia Normanna, posta a guardia del litorale, fu casale di Scalea
dalla quale fu staccato e reso autonomo nel 1912.
Ebbe molti
feudatari, dai Sanseverino agli Spinelli.
Il centro storico,
che ruota intorno al Palazzo del Principe (XVIII sec.), col tempo assunse uno
stile marinaro ed ancora nelle sue vie si trovano laboratori e botteghe dove
ancora pulsa la vita dell'artigianato della pietra e del marmo.
Gastronomia:
si può sintetizzare con la frase: profumo di mare e
sapori di collina. Piatti tipici marinari affiancati a pietanze a base di
legumi, verdure e carne. Molto in voga la pasta di casa e nelle feste "crespelle
di baccalà".
Santa Domenica Talao
è arroccata su uno sperone
roccioso che dà sulla vallata del fiume Lao, fino a vedere il mare, data la sua
alta posizione rispetto ad esso, circa 3 km. sul suo livello. Quindi aria
fresca, paesaggio incantevole e tradizione contadina. Infatti fu fondata proprio
dai lavoratori dei campi venuti dai paesi vicini a lavorarvi e poi stanziativi per sempre.
Nel paese trovarono rifugio
anche numerose persone provenienti dai centri del cosentino dopo la rivoluzione
del 1647.
Fu feudo dei Sanseverino e poi
dei Caracciolo.
Due forme d'arte hanno
caratterizzato la storia di questo paese: l'allevamento del baco da seta e
quindi la lavorazione del lino con preziosi ricami, specialmente nella
confezione dei loro costumi folcloristici, e la scalpellatura di portali,
loggiati e facciate ornate da mascheroni come testimonia lo splendido Palazzo
Campagna.
Ai giorni nostri, invece, è
facile trovare artigiani intendi ad intrecciare cesti e panieri oppure fucine di
bravi fabbri ferrai.
Gastronomia:
cucina genuina ma elaboratissima con l'impigo di
molti ingredienti. Molto ricercati sono gli "gnoccuoli alla santadomenicana",
conditi tra l'altro con sugo di carne suina e vino rosso, e la "zùppa alla santadomenicana"
con la gallina, caciocavallo, uova, soppressata, pane ecc.
Santa Maria del Cedro
di antichissime
origini, sorge al centro della vallata del Laos, la famosissima subcolonia
sibaritide, come attestano i numerosi materiali archeologici portati alla luce
durante i vari scavi effettuati nella sua frazione di Marcellina.
In seguito alla
distruzione della vecchia città di Abatemarco, dovuta allo straripamento
dell'omonimo fiume, gli abitanti superstiti fondarono nella metà del VI secolo
un nuovo centro abitato con lo stesso nome.
Questo territorio
fu lungamente feudo dei baroni Brancati di Napoli, insieme alle vicine
Marcellina, Grisolia e Urso Marzo, fino al 1806, quando l'ultimo erede si ritirò
in quel di Diamante.
D'allora divenne
frazione di Grisolia col nome Cipollina e poi comune autonomo il 26 febbraio 1948.
L'11 aprile 1955 con D.P.R. il comune si chiamò "Santa Maria" ed il 28 febbraio 1968
venne aggiunta, sempre con D.P.R., la denominazione "del Cedro", dovuta alla grossa produzione di
questo agrume nel suo territorio che è sede dell'Accademia omonima.
Girovagando
per il borgo, dove il moderno non ha ancora attecchito, si possono trovare
ancora le botteghe di artigianato locale, i vecchi frantoi ed anche un
laboratorio per la lavorazione artistica del vetro per poi dirigersi nei pressi
del fiume Abatemarco ad ammirare i resti medievali della chiesa di S. Michele e
quelli di un vecchio castello, (ristrutturato poi dal principe don Tiberio Carafa, per impiantarvici un Impresa), il quale fu di nuovo riutilizzato come
carcere ed è rimasto noto come "u càrciru d'Imprìsi"
Gastronomia:
primeggiano su tutte le pietanze i fusilli con la
carne di capra, seguono la pasta piena o con le alici; come stuzzichini
ottime le olive schiacciate e le melanzane sott'olio e per brevi spuntini affettati
di prosciutto, capicollo, soppressate e
salsicce.
Scalea
un intreccio di
diverse civiltà. Già nel Paleolitico fu abitata la zona nei pressi dove fu
eretta la Torre Talao (XVI sec.); poi colonia italica o greca: Laos, nella
pianura del fiume Lao. Dopo la sua scomparsa i Romani fondarono Lavinium. Dai
discendenti di queste ultime due città sorse Scalea: prima bizantina, poi
normanna (in cima all'abitato il Castello, ricostruito dagli Angioini ed
Aragonesi).
Quindi un tipico
borgo medievale con una successione di case ed un labirinto di scale e
gradini, che forse diedero il nome al paese.
Il suo feudo lo
ebbero i Sanseverino, i Caracciolo ed infine gli Spinelli.
Oltre al castello,
importane è il Palazzo dei Principi, dichiarato monumento nazionale, ed il
mausoleo dell'ammiraglio Ademaro Romano (1343).
Scalea, inoltre,
offre una vasta gamma di negozi e botteghe artigiane come per esempio i
restauratori di mobili antichi, calzolai che producono zoccoli e sandali e bravi
fabbri che sono quasi dei piccoli artisti.
Gastronomia:
specialità a base di pesce; cernie, spigole, alici,
bianchetto ecc. Carne ovina e caprina, allevata sul suo territorio; famose le "capucèlle",
testine di agnello o capretto cucinate con la mollica di pane. D'inverno
peperoni essiccati soffritti con la salsiccia.
Tortora
ebbe come fondatori
alcuni profughi di Blanda, che la eressero in cima a due speroni rocciosi:
Julitta e Carrola.
Il paese lo
possedettero prima i De Grisone nel XIII secolo, poi a seguire i Loria, i
Martirano, i Ravaschieri, i Vitale ed i De Vargas Machuca di Casapesenna.
Dopo il 1806 centro
autonomo, fu aggregato al nuovo comune di Praia dal 1928 al 1937, quando riacquistò la sua autonomia.
Però il suo Lido,
diventato negli ultimi anni una rinomata stazione balneare, è legato
turisticamente a Praia. Esso fa di Tortora il primo paese della "Riviera dei
Cedri".
Il centro storico è
un alternarsi di Palazzi signorili (interessante quello Lo Monaco col portale
del'700), botteghe artigiane (come quelle dei produttori di manufatti in legno,
ceramica e metallo) e chiese di diverse epoche (la più antica quella del
Purgatorio del XII secolo) che custodiscono pregiatissime opere d'arti.
Gastronomia:
cucina tipica
contadina mescolata alle specialità marinare col pesce fresco pescato nella
zona. Pasta fatta in casa: squisiti i "rascatieddi" (fusilli) col ragù o col
sugo di carne di capra. Primeggiano poi l'olio d'oliva genuino, le minestre di
legumi e gli ortaggi i tradizionali i "cucuzzieddri e mollica i pani" (zucchine
fritte, spruzzate con aceto e ricoperte di mollica di pane raffermo ed aglio).
Verbicaro
probabile la sua
conduzione all'antico Berbicaro oppure, stando a quello che scrivevano due
storici come Plinio e Barrio, sarebbe sorta come la romana Aprustum.
Centro medievale di
grande importanza, testimoniato dall'architettura dell'epoca e dal suo palazzo
feudale, fu nel 1329 signoria di Ruggero Smenbrasi, nel 1414 di Arenzio
Pappadoca e poi di Arturo Papasidero.
Agli inizi del 1800
era già un paese affermato, contando più di 5.000 abitanti.
Ricca di stupendi
panorami, boschi, monti e caratteristiche viuzze interne, Verbicaro deve la sua
notorietà principalmente alla produzione dei suoi vini (rosso, rosato e bianco),
apprezzato già dai Romani, che si possono degustare nelle sue cantine note come
i "catoi".
Raramente si
trovano i costruttori di zampogna o i riparatori di organetto, mentre è rimasta
saldamente legata alla tradizione la processione che ha luogo dalla notte di
Giovedì Santo fino al Venerdì animata dai "vattienti", che si percuotono a
sangue.
Gastronomia:
cucina sana e genuina con i tipici
fusilli col sugo di capra, stoccafisso, peperoni e zucchine secche con olio e
peperoncino, salumi di ogni specie, uva passa e splendide ricotte fresche o
sotto sale.
Dolci tipici di Natale e Pasqua
In quasi tutti i paesi fin qui
elencati sono uguali i dolci tipici calabresi per le feste, per cui a Natale si
friggono "grispelle", "chinùle","cannariculi", "cicerata" e per Pasqua
s'infornano "pizzatole"e "puccidate"o "vucciddhati".
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