La rivincita di Giulia

Dopo tanti anni, decisi di ritornare a trascorrere le vacanze estive in Calabria, a Diamante: un piccolo paese di circa 5000 abitanti d’inverno e quasi quadruplicati d’estate, dove negli anni settanta con il grande boom s’iniziarono a costruire molte villette in quelli che erano stati giardini e cedriere, come mi raccontava mio padre, il quale dopo la morte della mamma ne acquistò una con un ampio spazio verde come piaceva a me, anche se allora ero solo una bambina, colorato dai profumati fiori di stagione, dove vi passavo molte ore della mia giornata a dondolarmi su uno di quei dondoli da giardino, guardando l’azzurro del cielo che si perdeva nel verde dei monti quasi ad incorniciarlo.

Il motivo di ritornare a Diamante è stato quello di ritrovare lo stesso mare di quando ero piccola, che è diverso dagli altri luoghi, di un azzurro terso come il cristallo, ricordandomi del mio soggiorno a Praia a Mare, mio paese natio, ospite di mia sorella, quando avevo solo diciannove anni, ed anche perché a Diamante incontrai il mio primo amore, Marco con cui ero felice.

Trascorrevamo ore ed ore a girare tra le viuzze del meraviglioso centro storico visitando i murales realizzati nel 1981 e quelli aggiunti nell’ottantasei, ed il bello di quel labirinto di vicoli e scalette era che alla fin fine tutte ti riportavano sul mare, o dalla parte della spiaggia, o del lungomare vecchio, che trovai prolungato di molti metri, passeggiandovi di sera con lui e fermandoci nei vari bar a degustare i gelati e le granite di cedro, proseguendo poi ad osservare le vetrine illuminate dei negozi.

Fra noi due si era instaurata una stretta amicizia, dove l’uno poteva contare sull’altro.

Ricordo che un giorno, stremata dal caldo e dalle passeggiate turistiche, fattasi sera inoltrata, rimasi a casa sua e mi misi a dormire come un sasso su di un divano, svegliandomi solo il giorno dopo al suono del campanello della sua porta.

Vidi che era il postino che gli consegnò una lettera ed io curiosa gli chiesi chi gliela mandasse, lì mi accorsi che lui cercava di nascondermi qualcosa e, con un giro di parole, mi fece capire che era legato ad un’altra.

All’istante mi attristai un po', ma poi non detti peso all’accaduto considerando che l’estate è il tempo in cui si fanno brevi incontri vivendo altrettanti brevi amori; pensai che quello che mi era accaduto poteva essere paragonato ad un sogno e, senza porre tempo in mezzo, decisi di ritornare a Venezia, dove lavoravo, cercando di rompere col passato, dimenticando la Calabria.

Ma, col passare degli anni, il desiderio di rincontrare Marco si faceva sempre più forte di ogni altra cosa; così dopo tredici anni, facendomi coraggio, eccomi di nuovo qui.

Pochi anni fa anche mio padre è venuto a mancare ed io mi ritrovai sola davanti alla porta di casa: come mi sembrava enorme quella villa! Al momento di mettere la chiave nella toppa sentii tremare la mano dall’emozione e non riuscivo ad aprire.

Quando finalmente ci riuscii, spalancando la porta e guardandomi attorno mi ritornò su tutto il mio passato. I letti rifatti e tutti gli altri oggetti erano ognuno al suo posto, quasi fossero ad aspettarmi per dirmi: finalmente hai vinto la tua testardaggine e sei ritornata a farci prendere quella luce che da anni ci mancava.

Affacciandomi poi dal terrazzo vidi anche il dondolo ancora al suo posto, facendomi rivedere bambina con tutta la mia incoscienza, aspettando che mio padre mi chiamasse per fare merenda.

Mi si formò un groppo in gola e prima di mettermi a piangere, decisi di rientrare per disfare le valige. Dopo averle disfatte mi buttai sul letto, stanca, pensando ancora per un po’ al mio mondo infantile, come se fosse rimasto chiuso fra quei muri ed alla mia vista mi sia entrato dentro, nel profondo del mio essere ormai donna, per giunta con un matrimonio fallito alle spalle.

Il nuovo giorno si presentava col sole di agosto e, come finii di riassettare la casa, mi misi il costume e decisi di andare in spiaggia, ma il cuore mi portò altrove; iniziai a passeggiare lungo il muricciolo che dalla spiaggia piccola porta fino al lungomare vecchio, costeggiando il mare, trovandomi vicino al porticciolo, dove scorsi uno che pescava.

Mi avvicinai curiosa di vedere se qualche pesce abboccava e lui voltandosi per vedere chi gli faceva ombra, rimase per un lungo tempo a fissarmi e poi mi disse: <<Guarda chi si rivede dopo tanti anni, non sei Giulia?>>.

Io risposi: <<Si, sono proprio io. Ma allora tu sei Marco! Scusami se non ti ho riconosciuto subito>>.

In quell’attimo, presi dall’impeto della nostra felicità per averci ritrovati a distanza di tanti anni, non potevamo fare a meno di abbracciarci per salutarci e Marco, dopo aver posato la canna da pesca in una di quelle fessure formatasi dall’accostamento dei massi di cemento, mi strinse a se dicendomi: <<Come stai? Quanto tempo è passato>>. Ed io gli dissi: <<Sto bene, ma potrei stare meglio. Lasciati guardare, vediamo se sei il Marco che ho lasciato, o se il tempo ti ha cambiato>>.

Difatti il suo viso era un po’ cambiato, presentando già qualche ruga, ma nei suoi occhi si leggeva ancora che quello che provava per me non si era del tutto cancellato. La prova la ebbi subito quando mi chiese se nel frattempo mi ero legata ad un altro o se mi ero sposata. Gli dissi di si, ma anche che ero già divorziata da più di dieci anni.

Anche lui mi raccontò che la sua storia con quella ragazza, che le aveva scritto la lettera (causando la mia fulminea partenza) era finita. Proprio così. In quella lettera non c’era scritto altro; e lui si sentì in colpa perché non gli diedi il tempo necessario per spiegarmelo.

Anch’io, nonostante altre esperienze, non mi ero mai dimenticata di lui, però non glielo dissi né glielo feci capire esplicitamente. Lo assicurai solo di averlo perdonato, avendo messo una pietra sul passato, dimenticandomi di quel lontano 1987, quando ci lasciammo allora giovani, ora che ci eravamo ritrovati ormai maturi ed inoltre che, se voleva, potevamo essere ancora amici e rivederci qualche volta per passare delle giornate insieme.

Lui non si tirò indietro e, raccolti gli arnesi da pesca, insieme andammo sulla spiaggia, dove mi presentò ai suoi amici dei quali era ospite.

Dopo le presentazioni, mi rivelò che dovevo reputarmi fortunata per averlo ritrovato a Diamante, poiché dall’ultima volta che c’eravamo visti, lui non venne più in vacanza qui, dove si ruppe bruscamente la nostra amicizia.

Presi dalla confusione che ci circondava, non sapendo più resistere a quel sole cocente, lasciammo da parte i sentimentalismi e ci tuffammo in quel mare azzurro, tanto desiderato, facendoci una lunga nuotata, non volendo, simile a quella che facemmo quando c’ incontrammo la prima volta.

Usciti dall’acqua, mi domandò: <<Non sei emozionata, dopo questa bella nuotata?>>.

<<Io>> dissi <<più che essere emozionata sono felice di avermi così tanto divertita. Erano anni che non provavo questa meravigliosa sensazione!>>.

Con la spensieratezza di quella splendida giornata d’estate, le ore passarono così in fretta che non ci accorgemmo che il sole stava per tramontare, così approfittammo di quegli ultimi tenui raggi per asciugarci e poter poi ritornarcene ognuno alle nostre case, dandoci appuntamento alla sera per ritrovarci in Piazza XI Febbraio con l’intenzione di ripercorrere le vie del borgo antico come un tempo.

Puntualmente ci ritrovammo vicino alla fontanina ed incamminandoci sotto il portico ad essa sovrastante iniziammo a notare come tutto era cambiato. I vicoli e le scalette di cemento erano state rifatte con sampietrini e marmi, abbelliti da vasi di fiori dalle diverse forme e dimensioni: da quelli piccoli a quelli grandi che ospitavano persino piccoli alberi da frutto, come il nespolo che si trovava in Via Concezione.

Salendo poi più su per Via Alfieri rivedemmo con piacere il mosaico, trovandovi installato un nuovo pezzo che raffigura la Patrona del paese, e poi ridiscendendo dal portico sotto il campanile proseguimmo dall’altro lato, arrivando a Largo Savonarola, dove sostammo un po’ ad ascoltare musica di un complesso che intratteneva i clienti di un locale per poi scendere verso il lungomare nuovo concludendo quella meravigliosa serata d’estate con una cena consumata in un caratteristico locale del luogo.

Nei giorni seguenti, ritrovandoci insieme sempre più spesso, mi resi conto di volergli ancora bene, forse più che in passato, però cercavo in tutti i modi di nascondergli questo sentimento per paura di riperderlo, costringendolo ad un legame troppo stretto; per questo dovevo trovare dei pretesti per restargli vicino.

Così mi venne l’idea di organizzare con i suoi amici delle piccole escursioni che ci portarono a riscoprire molti luoghi del nostro passato, una delle quali fu quella in cui percorremmo il greto del torrente Corvino fino a giungere ai piedi del monte Serrapodolo, ai confini con Buonvicino, muniti di telecamera e macchine fotografiche per immortalare quel paesaggio ancora incontaminato e per avere dei ricordi da rivedere quando tornavo a casa.

Giunti sul Monte trovammo un venticello gradevole che, accarezzandoci, ci faceva sentire padroni del mondo, io mi accontentai di rimanere seduta, immobile, ad occhi chiusi per ricaricarmi dopo le mie disavventure, mentre loro si divertivano a rincorrersi fra i cespugli, quasi fossero diventati bambini; il frastuono sempre più crescente che emettevano finì per ridestarmi da quella condizione di assoluta concentrazione e mi coinvolsero nei loro ritrovati giochi infantili.

Prima di imbrunire, dopo aver fatto uno spuntino, discendemmo percorrendo lo stesso tragitto che ci sembrava del tutto diverso.

Marco dopo qualche giorno, soddisfatto di quella bella esperienza montana, propose una visita ai tanto famosi ruderi di Cirella e di questo m’informò telefonandomi la sera precedente. Per un po’ lo tenni in ansia se accettare o meno, poi visto che insisteva per andarci a tutti i costi gli dissi di sì, dandoci appuntamento per le cinque del pomeriggio seguente davanti alla mia villa.

Puntuali, all’ora prestabilita giunsero in auto dando un colpo di clacson per avvertirmi del loro arrivo. Mi affacciai dal terrazzo del piano superiore ed agitando il braccio gli dissi che scendevo subito.

Mentre salivo sull’auto mi sentivo al culmine della felicità perché avevo ancora una volta l’opportunità di trascorrere con lui nuove ore emozionanti in quell’escursione nei luoghi della mia infanzia, a me tanto cari.

Infatti ripercorrendo quella strada, tanti ricordi tornarono alla mente, quando c’imbattemmo in un gregge che ritornava dai pascoli, guidato da un pastorello: mi rivedevo ancora bambina insieme a mio padre e mia sorella recarci in queste campagne per comprare il latte di capra appena munto o quelle squisite forme di formaggio fresco e ricotte, oltre che le lunghe passeggiate che facevamo per questi sentieri, respirando l’aria salubre delle nostre colline.

Tutta presa da quel sogno ad occhi aperti non mi accorsi che nel frattempo giungemmo alle rovine del convento, per cui dandomi uno scossone, Marco m’ invitò a scendere dall’auto e, ritornata alla realtà, iniziammo a scattare delle foto ed a riprendere con la telecamera sia l’esterno che l’interno della vecchia chiesa ed il chiostro, facendo attenzione a dove mettevamo i piedi, per evitare di finire in qualche buca o in qualche cespuglio spinoso.

Camminando sulla destra vedemmo l’anfiteatro e più in alto i resti della Città vecchia col suo castello Normanno che dovevamo andare a visitare al loro interno. Presto ci portammo su quella collinetta, rivivendo un po’ di storia quasi millenaria. Soli io e Marco ci avventurammo in quei sentieri strettissimi ed accidentati per andare a vedere più da vicino i resti della vecchia chiesa Madre che si trovava proprio in cima, mentre gli altri decisero di aspettarci più giù.

Giunti nei pressi della chiesa, si aprì ai nostri occhi uno spettacolo più unico che raro: l’isola sembrava una piccola nave ancorata al largo della spiaggia, mentre i tetti delle case, infuocati dal rosso del sole, sembravano un grande tappeto su cui noi immaginavamo di volare come in quei racconti orientali; senza esagerare ci sembrava di toccare il cielo con le mani.

Anche qui scattammo altre foto e facemmo altre riprese per fissare quegli attimi irripetibili per sempre.

Nel ridiscendere poi, avvenne quello che da tempo speravo, anzi volevo fortemente: da vero gentiluomo, Marco scese per prima affinché potesse aiutarmi e, ad un tratto, mettendo il piede vacante, inciampando sono finita fra le sue braccia. Lui mi prese, sorrise e guardandomi negli occhi mi strinse a se, poi con la complicità del luogo e col fascino del tramonto, finimmo per darci un bacio.

Al rientro, concludemmo quella indimenticabile serata, cenando in un ristorante del posto, dove ci demmo appuntamento per un’altra escursione, da fare nei giorni seguenti nelle contrade di Diamante.

Anche lì ci divertimmo un sacco; acquistammo e mangiammo frutta fresca dai piccoli venditori ambulanti che trovavamo lunghe le stradine e andando a salutare qualche contadino che conoscevamo.

La seconda sera, prima di rientrare, percorrendo la strada che porta su alla "Contrada Felicetto", scoprimmo per caso fra i cespugli una sorgente naturale, dove ci rinfrescammo, essendo stanchi ed accaldati, e stando lì seduti per recuperare le forze guardandoci nel viso finimmo per baciarci di nuovo, riprovando le stesse emozioni dei giorni passati.

Intanto, fra una escursione e l’altra, i giorni trascorsero velocemente, ritrovandoci già a ferragosto. A Diamante e Cirella in questo periodo coincidono a distanza di tre giorni le loro feste patronali: il 12 l’anniversario dell’Incoronazione dell’Immacolata ed il 15 la Madonna dei Fiori con la relativa "Fiera di Cirella"; così optammo di fare qualcosa di nuovo e, dopo aver rivisto la prima festa, due giorni dopo decidemmo di fare una gita in barca fino all’isola di Cirella.

Riuscimmo, con l’aiuto di un vecchio pescatore del luogo, a noleggiare una barca a remi e, dopo una remata di circa un’ora, arrivammo all’isola, dove legammo la barca agli scogli e, prendendoci le borse contenenti piccoli pasti e bevande, ci recammo nei pressi delle rovine della Torre di Guardia che, come mi raccontavano mio nonno e mio padre, fu costruita verso il 1500 per avvistamenti durante gli attacchi Saraceni e che fu bombardata dagli Inglesi nel 1808, dopo aver subìto un altro bombardamento due anni prima da parte dei francesi.

Quella Torre fu provvidenziale nel ripararci, quando tutto ad un tratto, durante il primo pomeriggio, ci sorprese un temporale estivo che durò per fortuna solo pochi minuti dando a quella giornata un tocco d’originalità.

La sera invece riprendemmo il mare dirigendoci verso la spiaggia di Cirella, dove approdammo per risalire a piedi nel centro abitato curiosando fra le bancarelle della fiera, vedendo la processione per poi riportarci di notte di nuovo sulla spiaggia, dove si svolgeva "la sagra del melone"; là ci divertimmo a vedere i vari falò e lo spettacolo dei fuochi d’artificio.

Terminata la baraonda ferragostana, i giorni che seguirono ripresero la loro solita routin e, per uscire da quella monotonia, portata anche dal progressivo sfollamento dei turisti, con Marco ed i suoi amici ci organizzammo per fare sempre nuove cose.

Una sera, per esempio, mentre discorrevamo del più e del meno Marco propose di fare un giro per le vie di Diamante sul trenino, al ché noi come bambini rispondemmo in coro: <<Perché no!>>. E detto fatto, facemmo questa nuova esperienza scorrazzando per le vie del paese, vedendolo di notte, come se stessimo sognando, mentre eravamo consapevoli che quella era una suggestiva realtà.

Nelle altre poche sere che c’erano rimaste da trascorrere insieme, Marco quasi sempre mi invitò a cena in diversi locali facendomi rivivere quelle vecchie sensazioni che allora non potevo comprendere a pieno data la mia giovane età e la conseguenziale mia totale incoscienza.

Una di quelle sere per rimanere un po’ da soli prenotammo una cena in un ristorante di un paese vicino, dove si ballava il liscio e dopo averci scatenati nei vari balli, lui di sorpresa mi chiese: <<Cosa pensi di me, a distanza di tanti anni?>>. Presa alla sprovvista ma rispondendo con molta calma, prendendo ancora un pò di tempo per sentirmi sollevata dall’imbarazzo di quella domanda un po’ impetuosa della mia vecchia fiamma, gli dissi: <<Non lo so ancora. Per il momento sono solo frastornata e confusa>>.

Il giorno dopo a mente serena, ripensandoci con opportuna cautela e valutando che gli anni passavano, ed anche in fretta, decisi di porre fine al gioco del gatto col topo e, per niente intimorita, mi proposi di dargli una risposta concreta alla sua prossima domanda.

Non dovetti aspettare molto perché l’occasione si presentò dopo alcuni giorni, quando mi portò prima al cinema e poi in discoteca. Per niente rassegnato, lui mi disse: <<Ti chiedo ancora una volta: che pensi di me?>>.

In quel momento, consapevole di quello che stavo per dirgli, gli misi la mano sulla sua dicendogli: <<La vecchia fiamma dell’amore che sembrava essersi sopita, in questi ultimi giorni l’ hai alimentata di nuovo come tredici anni fa. Marco non ho smesso mai d’amarti. Penso che ormai sei un uomo maturo e che possiamo riprovare a metterci insieme>>.

Raggiunta una certa sicurezza sul mio conto, senza essere minimamente turbato, Marco mi bisbigliò all’orecchio: <<Anche io ti voglio bene; sei una donna incantevole la più bella che avessi conosciuto>>.

In quel momento di indescrivibile euforia sentimmo il desiderio di comunicare questa bella notizia ai nostri amici, ma alla fine, discutendoci sopra mentre rientravamo, decidemmo di tenerci ancora per un po’ questo segreto tutto per noi.

Giorno dopo giorno, si avvicinava purtroppo la fine delle mie vacanze. L’atmosfera triste dei saluti ormai incombenti era resa più triste dall’inizio dei primi temporali estivi che ci costringevano a rimanere in casa e per non annoiarci ci vedevamo dagli amici di Marco oppure da me, giocando a poker o vedendo la tv. Così una sera di quelle decidemmo di dare la bella notizia del nostro nuovo fidanzamento, organizzando per l’occasione una spaghettata notturna facendo tardi, dimenticandomi che il giorno dopo dovevo prepararmi le valige per ripartire.

L’indomani, verso sera, mi accompagnarono alla stazione e questa volta al momento dei saluti io e Marco non riuscimmo a ricacciare indietro le lacrime. Non riuscivo a credere che un mese passò così in fretta e che mi dovevo separare da lui, che doveva ritornare al suo paese, e che io ugualmente dovevo ritornare a Venezia. Nello stesso tempo, però, provavo una gioia perché non ci lasciavamo come la prima volta, ma da veri innamorati e come ci definirono i nostri amici ormai eravamo prigionieri l’uno dell’altro.

Giunto il momento di salutarci lo strinsi forte a me, quasi a fondere in uno solo i nostri cuori, e distaccandomi mi accorsi che i suoi occhi erano bagnati di lacrime.

Presi le valige e salii sul treno correndo nel corridoio per raggiungere il primo finestrino aperto, dopo aver salutato anche i nostri amici, gli mandai l’ultimo bacio con la mano. Il fischio sordo e freddo del treno che partiva ruppe quell’atmosfera idilliaca ed io gli gridai: <<Ci rivedremo per le prossime feste natalizie. Ciao!>>.

Marco, correndo parallelamente al treno, come per accompagnarmi, rispose: <<Ti aspetto. Non dimenticarmi. Ciao amore>>.

Intanto il treno accellerò sempre più velocemente la sua corsa allontanandomi dal mio Marco, che si era fermato a riprendere fiato dopo quella corsa, fino a farlo scomparire dalla mia vista. Da allora dovevo accontentarmi di rivederlo nei miei sogni e nei forti ricordi di quelle meravigliose giornate, vissute così intensamente con lui, che non erano facili a dimenticarsele.

Durante quel lungo viaggio non potei fare a meno di pensare a noi due come eravamo cambiati. Probabilmente lo stare lontani tredici anni ci aveva fatto maturare un bel po’. Almeno io vedevo il mondo sotto un altro aspetto, voi direte: certo sei innamorata! Si, ma questo non basta. In poco più di un mese ho rivissuto tutta la mia vita rivedendo i luoghi della mia infanzia, ho rincontrato per caso il mio primo amore ed ho fatto nuove amicizie. Non so se capita a tutti nel mezzo della propria esistenza avere questo improvviso ritorno alla certezza di vivere un futuro migliore. Infatti tutte quelle cose hanno risollevato il mio morale che era diventato piatto come un foglio di carta, stimolandomi a guardare sempre più avanti tirando un bel sospiro di sollievo perché avevo la piena speranza che da quel momento niente poteva più rendermi triste: mi stavo finalmente rifacendo una vita.

Nel fare queste considerazioni, che in fondo erano un bilancio positivo delle mie vacanze, piano piano mi assopii cadendo in un lungo sonno, svegliandomi solo al mio arrivo a Venezia.

In pochi giorni l’atmosfera della città lagunare mi riportò alla monotonia della mia vita di sempre: al mondo del mio lavoro, al disbrigo delle faccende domestiche ed a qualche rado incontro con le mie amiche.

Guardando il calendario notai che i giorni trascorrevano tutti uguali, e nel susseguirsi l’uno dietro l’altro, mi ritrovai già alla fine di novembre, ricordandomi della promessa fatta a Marco. Già, povero Marco! Chissà da quanto tempo non ci sentivamo.

Nel ripensare a lui si risvegliò in me la nostalgia dell’estate, così una sera di dicembre, fredda e piovosa, volli sentirmi ancora una volta, almeno con la fantasia, vicino a lui rivedendo sia le foto che i filmati dei luoghi visitati, rivivendo quegli attimi di felicità.

Nell’aria si sentiva il Natale. Nei negozi si vedevano i primi addobbi e nelle calli della città goldoniana campeggiavano i variopinti festoni e le luminarie dagli svariati disegni.

Mantenendo fede alla parola data, ritornai a Diamante anticipando i giorni delle mie vacanze per avere il tempo necessario per acquistare i regali da portare a lui ed agli amici, che ormai stavano ad aspettarmi.

Il giorno tanto atteso finalmente arrivò; lui era già a Diamante, in quanto mi informò telefonicamente, ed io gli promisi di raggiungerlo al più presto per riabbracciarlo.

Un altro periodo di felicità, se pur breve, si presentava per la fine di quel 2000 che aveva portato una svolta importante alla mia vita.

Quindi arrivai a Diamante dopo il previsto a causa di uno sciopero scorgendo alla stazione Marco, teso a causa del mio ritardo, che fissava con sguardo magnetico l’orologio quasi a voler fermare il tempo.

Approfittando che era di spalle, lo sorpresi bendandogli gli occhi con le mani; lui accarezzandole mi riconobbe ed abbracciandomi mi sussurrò: <<Giulia, finalmente qui>>.

Ormai era sera inoltrata ed iniziammo a sentire un po’ di fame, io a causa del lungo viaggio e lui per lo stress dell’attesa, così ci portammo in un locale già di nostra conoscenza, dove cenammo e poi stanchi rincasammo.

Il giorno dopo, senza perdere tempo, ci organizzammo subito per il cenone della Vigilia che ho voluto si facesse nella mia villa per dare agli amici la notizia del nostro fidanzamento.

E’ stata bellissima quella notte; da anni non trascorrevo un Natale così. Ottimo il cenone a base di pesce e frutti di mare, poi la tombolata, dove io persi, ed a mezzanotte lo scambio dei regali e degli auguri. Fu allora che Marco tirò fuori dalla tasca una scatoletta, che aprì quasi di nascosto, e senza farsi accorgere mi prese delicatamente la mano sinistra mettendomi al dito l’anello di fidanzamento, fra gli applausi ed i complimenti degli amici.

Per il Veglione di fine anno invece siamo andati in un ristorante noi due soli per salutare l’arrivo dell’Anno nuovo,

festeggiando fino all’alba del giorno dopo. Poi, storditi dal frastuono ed un po’ allegri per l’effetto dello champagne in quanto astemi, ci avviammo verso casa, dove per la prima volta finimmo per fare l’amore.

Quei quindici giorni durarono così poco da paragonarli ad un sogno. Di nuovo dovevo ripartire e questa volta Marco non c’era, perché andò via il giorno prima lasciandomi con la promessa di rivederci più spesso durante l’anno e la prossima estate dovevamo ritornare a Diamante, nel paese in cui ci lasciammo, finalmente sposati.

Ero fuori di me dalla gioia. Non so come, ma ero riuscita a giocare il destino, che mi aveva quasi sopraffatta, riprendendomi il mio Marco per sempre.

FINE

                                                                           Giuseppe Papa