Un'amica d'infanzia

Durante una delle tante giornate d’inverno, fredde come sono qui a Torino, dove la nebbia e la pioggia colorano tutto di grigio confondendo il cielo con i muri delle case e le strade, mentre osservavo il via vai della gente, che nonostante il maltempo camminava imperterrita sotto la pioggia, tornai indietro con la mente a quando in una giornata simile a questa fui distolto dal trillo del telefono.

Di prima intenzione non volevo rispondere tanto ero preso a guardare lo scendere scrosciante della pioggia, poi assillato da quei trilli assordanti risposi.

Nel sollevare il ricevitore dissi: <<Pronto!>>. Mi rispose una voce di donna, in quel momento a me estranea: <<Ciao, sono io>>. Stavo per dirle: <<ma non è che hai sbagliato numero?>>. Poi sentendo crescere in me la curiosità di scoprire di chi poteva essere quella voce, non rinunciai a quella conversazione che poteva farsi alquanto intrigante, continuai a darle spago dicendole: <<Io chi?>>. Lei rispose: <<Vediamo se mi riconosci?>>. Dissi: <<Beh! ci provo, ma non credo di riuscirci>>.

Così iniziammo una lunga conversazione, e dopo un ping pong di domande e risposte riconobbi effettivamente in quella voce strana Lucy, un’amica d’infanzia. Fu un’inaspettata e piacevole chiacchierata, alla fine della quale ci salutammo con la promessa che lei mi avrebbe richiamato.

Alcuni giorni dopo la incontrai spesso. Volevo fermarla, ma era sempre in compagnia. Nel frattempo i giorni trascorrevano ed io sempre lì ad aspettare che lei mi richiamasse, ma non si faceva sentire.

Un giorno sfogliando per caso l’elenco telefonico, trovai il suo numero e, sperando che fosse ancora valido, provai a chiamarla io, così tanto per salutarla. Era domenica; per questo ero certo di trovarla in casa, in quando non andava a scuola.

Il numero si rivelò esatto e come immaginavo mi rispose. Mi accorsi subito che era impacciata, data la sorpresa che le avevo fatto, chiedendomi per prima cosa: <<Dove hai preso il mio numero?>>. Ed io un po’ per imbrogliarla le dissi: <<Ma non ti ricordi che me l’hai dato tu!>>.

Siccome aveva ospiti in casa fu una brevissima chiacchierata.

Ogni giorno la vedevo che andava a scuola sempre più bella ed elegante, da non riconoscerla in quelli che erano i miei ricordi di pochi anni prima.

Dopo svariati giorni, una mattina, ero seduto tranquillo su di una panchina ad attendere l’autobus, quando me la vidi avvicinarsi. Ci salutammo e lei per scherzo mi chiese la carta d’identità per vedere se ero proprio io o se quel giorno si era sbagliata a telefonarmi.

All’inizio mi sentivo impacciato, dopo tanti anni che non ci vedevamo, ma poi ruppi il ghiaccio ed iniziai a parlare del più e del meno volendola conoscerla meglio.

Aveva un’espressione intensa ed era deliziosa con quel suo modo di fare, al ché pensai: Non è poi così strana come era sembrata al telefono.

Continuammo a vederci nei giorni seguenti, attratto dalla sua personalità, che io consideravo quasi affascinante ed un po’ sofisticata. Di lei mi piaceva persino il modo di parlare, per questo i nostri discorsi si facevano sempre più lunghi fino a confidarmi che stava attraversando un brutto periodo perché si era lasciata con il suo ragazzo, partito poi per il servizio di leva, il quale la maltrattava.

Via via che i giorni passavano, sentivo dentro di me che mi stavo affezionando a lei. Trovavo quei momenti stupendi, anche se lei, pur dicendomi che stava bene con me, non voleva saperne di andare oltre l’amicizia.

Ma io provavo davvero un sentimento profondo ogni volta che rivedevo quel visino così dolce che pareva scolpito nell’avorio tanto era liscio e di colorito pallido.

Ricordo come se fosse oggi che un giorno, prima che chiudessero le scuole per le vacanze estive, esattamente un sabato pomeriggio, andammo a fare una scampagnata nei prati alla periferia di Torino, ed al ritorno, poi, sostammo al Parco del Valentino, prospicente il Po, dove prima di salutarci facemmo una lunga e romantica passeggiata.

Camminavamo lentamente, osservando tutte le specie di fiori che erano spuntati in quella primavera ormai inoltrata, attorniati dallo svolazzare di tante piccole farfalle che giocavano a rincorrersi fra loro senza acchiapparsi; un po’ come facevamo noi del resto. Ad un certo punto si sedette, invitandomi a fare altrettanto, sull’erba volendosi godere il tramonto ormai imminente.

Fra le foglie ed i tronchi degli alberi, il sole perdeva i suoi raggi ed il loro luccicare sembrava una pioggia di coriandoli infuocati che ci cadevano addosso come tanti lustrini d’oro. Rimanemmo seduti su quell’erba, da soli, fino a notte e non potevo fare a meno di pensare a lei. Di come sarebbe stato bello se potevamo essere più che amici, al grande significato che la sua presenza aveva per me quella notte, a quanto era sola in quel momento in cui era stata tradita nei suoi sentimenti più intimi, a quanto avesse sofferto con il suo ex ragazzo, a cosa potevo darle io, oltre al mio affetto ed ai miei consigli, e perché no a quanto potevo amarla se lei si avrebbe spinto oltre la sola amicizia, senza aver paura di cominciare una nuova storia d’amore.

Lucy, invece, rimase ferma con gli occhi fissi al cielo a guardare le stelle, che in quella notte sembravano più numerose e belle del solito.

Poi chinò il capo sulla mia spalla, e facendomi capire che cominciava a sentire un po’ di freddo, l’abbracciai posandole la mia giacca sulle sue spalle, e dandole la mano l’aiutai a rialzarsi avviandoci in città per ritirarci.

Ricordo anche quando le dicevo: Sai, ho un biglietto per Parigi per due persone. Vuoi venire con me? Lei mi rispondeva di si, ma sapeva che non poteva venirci perché doveva studiare e per le vacanze doveva andare con i suoi nella Riviera Adriatica, dove avevano un casa al mare.

Oppure di quando le dicevo che ero alla ricerca di un vecchio vocabolario del Settecento, per trovare le parole più belle da dirle. Sì facevo pure il romantico; senza riflettere a cosa servivano i nostri incontri, le nostre chiacchierate. Piano piano poi lo scoprii; servivano solo a distrarla da quel momentaccio che stava attraversando. Per lei ero solo l’amico, forse il "fratello", sulla cui spalla si può piangere e trovare conforto; nient’altro. Allora una gran confusione si faceva strada nella mia mente: dovevo reggere al gioco oppure allontanarmi da lei con discrezione? Tanto per lei non aveva più nessuna importanza quello che le dicevo o quello che facevo per rendere stabile la nostra amicizia. D’altronde me lo aveva detto chiaramente: In questo momento voglio solo qualcuno con cui parlare e dare sfogo della mia delusione. Solo un amico protettivo e basta.

Intanto l’estate finì. Finirono anche le sue vacanze; ricominciò la scuola e tutto ritornò come prima. Passò un anno, poi due e lei si faceva sentire sempre più di rado.

Questi lunghi periodi di silenzio mi indussero a pensare che alla fine non gli importasse più di tanto della mia amicizia e che forse non avesse mai mostrato il benché minimo interesse per me. A quel punto dovetti dedurre, cambiando le mie prime convinzioni, che era solo una ragazza lunatica.

Proprio quando avevo abbandonato ogni speranza di rintracciarla, la intravidi in una città poco distante alle prese con le lezioni di scuola guida, essendo diventata ormai maggiorenne. Alla fine del corso superò gli esami per la patente e subito si comprò l’auto.

Ogni pomeriggio la vedevo sempre in giro con le sue amiche a scorrazzare per le vie di Torino, ed io dal balcone con lo sguardo la seguivo mentre percorreva il tratto di strada sottostante.

Non sapevo se lei se ne accorgesse o meno, ma io provavo ancora un po’ di interesse nei suoi confronti. Poi mi accorsi che anche lei mi dava dei segnali di riavvicinamento. Infatti il più delle volte che giungeva sotto il terrazzo rallentava, si fermava per un po’ e poi riavviava il motore, proseguendo la sua abituale passeggiata.

Dopo alcuni mesi per caso ci ritrovammo vicino ad un bar e non potei fare a meno di invitarla a prenderci qualcosa. Lei accettò e passammo tutto il pomeriggio insieme. Avevo tante cose da dirle che non sapevo da dove iniziare.

Il nostro incontro si protrasse fino all’ora di cena; m’invitò a casa sua e mi racconto per filo e per segno tutto quello che aveva fatto in quel periodo che fu lontana da me.

In un certo senso, mi accorsi che quell’attrazione così evidente che provavo per lei si faceva di nuovo forte, ed alla fine gli confessai che avevo continuato a pensare a lei in ogni momento, anche se scoraggiato dal suo essersi dimenticato di me, per non dirle allontanata.

Sapevo bene quello che mi stava succedendo e che io tentavo di mascherare sia a me stesso che a lei, e cioè che mi stavo innamorando di lei.

Poco prima di salutarci lei mi fissò per un lungo momento e poi mi disse:<<Sai, alle volte, ad una certa età, si fanno cosa senza riflettere; poi si cresce e prima di fare qualcosa si riflette, anche se è più bello fare le cose senza riflettere>>.

Per strada, durante il lungo tragitto che c’era da casa sua a casa mia, ripetei più volte quella frase nella mente, cercando di capire che cosa volesse dire.

Ragionandoci sopra cercai di trovare la soluzione a quel giro di parole, che sembrava uscito da una pagina di uno di quei giornaletti enigmistici. L’unica soluzione a quella frase un po’ ingarbugliata non poteva essere che anche lei stava innamorandosi di me, e per dirmelo doveva ancora pensarci e ripensarci su, non avendole bastato quel lungo periodo di pausa in cui la sentii così assente.

Il giorno successivo, appena tornata da scuola, Lucy mi telefonò per invitarmi a casa sua con la scusa di aiutarla a studiare per prepararsi agli esami di maturità, facendomi portare alcuni dei miei libri per approfondire maggiormente alcuni argomenti.

Come d’accordo, nel pomeriggio andai portandomi un bel po’ di libri e lei, invece di iniziare a studiare, prese la sua borsa, se la mise sulle spalle, poi prese anche le chiavi di casa e mi disse che dovevamo andare al cinema, perché davano una prima visione di un film che a lei piaceva molto, e stava aspettando l’occasione giusta per vederlo.

<<Come, mi hai fatto portare tutti questi libri?!>> le dissi con un tono a metà strada fra la meraviglia e la domanda per la sorpresa che mi aveva fatto, e lei mi replicò con tono quasi menefreghista:- Non è meglio andare prima a divertirci e poi studiare? Al che arrendendomi a quella risposta secca le dissi: <<Contenta tu!>>. E poggiai quella pila di libri sullo scrittoio.

Usciti di casa ci avviammo verso il cinema per lo spettacolo pomeridiano, che tra l’altro non fu mica male, ed alla fine rientrammo per metterci a studiare davvero. Anche il giorno seguente andai da lei e così per tutta la settimana e quelle successive. Mancavano circa due mesi agli esami ed il nostro incontrarci sempre più di frequente ci fece vincere le nostre timidezze ed in quel periodo ci dichiarammo il nostro amore fidanzandoci.

Ci vedevamo con regolarità tutti i giorni, approfondendo di più le nostre reciproche conoscenze. Mi ricordo che la chiamavo "monella", non perché era cattiva, ma perché era un po’ dispettosa e mi prendeva in giro con le sue risate a volte anche indisponenti.

Però fu un periodo bello, vissuto intensamente parlando di molte cose; facevamo progetti per il nostro futuro o se la nostra storia poteva cancellare quei momenti brutti che aveva passato con il suo ex ragazzo. Mi chiedeva persino di indirizzarla nella scelta della facoltà a cui doveva iscriversi per intraprendere gli studi Universitari nell’autunno che seguiva.

Con me stesso feci una scommessa che con il carattere ribelle che si ritrovava, avrebbe lasciato presto l’Università. E di questo ne ero sicuro.

Difatti da quando frequentava l’Università non parlava più di quello che le succedeva, era scontrosa e come infastidita anche della mia presenza. I bei tempi erano finiti. Nonostante fossimo fidanzati, non voleva che ci vedessimo tanto spesso, perché diceva di essere stressata dal troppo studio.

Cercavo di affrontare nel modo migliore quella situazione difficile, mostrandomi più comprensibile, ma Lucy non voleva rischiare di crearmi nuovi problemi conoscendo bene se stessa: era ripiombata nella crisi che ci aveva fatto riavvicinare.

Invece di continuare con gli studi lasciò l’Università, come avevo previsto, ed anche il nostro rapporto sentimentale andò man mano regredendo fino a quando decidemmo di sfidanzarci, anche se continuammo ad essere amici fino a quando l’uno non chiamò più l’altra.

Le nostre strade si divisero. La persi di vista ed a chiunque domandassi che fine avesse fatto Lucy, nessuno sapeva darmi una risposta chiara ed esauriente.

Alla fine seppi che si era trasferita per lavoro in un'altra città, e che si era trovato un nuovo ragazzo.

Io continuai per la mia strada la vita di sempre e di lei non seppi più niente. A volte ripensandoci è come se in quella mattina d’inverno il telefono non sia squillato. Forse non è mai accaduto niente di quello che ricordo: che sia stato frutto della mia immaginazione? Invece no, veramente accadde d’inverno.

FINE

                                                                          Giuseppe Papa