phi-phenomenon

bagliore tra i fotogrammi

Il nemico alle porte

Che la Pixar facesse "cartoni per adulti", nel senso di mettere in scena nevrosi del ventesimo secolo attorno a formichine in 3D, era già un (rischioso) avventurarsi oltre i confini dell'animazione tradizionale, se pur ormai alle corde. Che arrivasse ad adombrare nella più variegata folla di mostri nerboruti, bitorzoluti, vischiosi, gelatinosi, monocoli, artropodi la grande paura del ventunesimo secolo - la violazione delle porte dell'Occidente, a cinquant' anni dalle invasioni fluide e insettivore dei comunisti - rende onore (od onta?) alla casa di Emeryville più dei peli in movimento di Sulley. Fosse nato dopo l'Undicisettembre il progetto Mosters & Co sarebbe stato tacciato di antagonismo (parola invisa al ministro Scajola), per apparire così smaccatamente una metafora del presunto assedio fisico e culturale (antropologico direi) disposto intorno alla nostra Civiltà. E non solo.

Edificante bildung politica dello stipendiato medio con tanto di gratifiche aziendali e contorno borghese - un elettore piccolo piccolo, insomma - il film va a parare in un lieto fine riconciliatorio; e va bene! altrimenti questo cartone digitale ci avrebbe lacerato. Ma Monsters scava comunque il suo piccolo cunicolo di disagio esistenziale, e ti vedi nel grigiore della competizione professionale di tutti i giorni a confidare in persone superficiali o malfidate... Sì, perché i mostri siamo noi, e questa non è la tesi del film (o non lo è ancora): solo un pasticcio di termini. Siamo i protagonisti perché è in loro che, da spettatori, possiamo riconoscerci.

A questo punto il quadro è agghiacciante: l'Occidente maturo vive del/nel terrore di un mondo sommerso, cui si accede attraverso innumerevoli porte per succhiarne energia. La porta è il diaframma attraverso il quale si esercita il lavoro, arena del nostro tempo, merce di scambio e metro sociale, condizione esistenziale schizofrenica, eticamente offuscata; il lavoro che uccide e fa uccidere. Ma la porta è anche la soglia dell'immaginario, il limen tra noi e loro che nutre le menti di entrambi, alimentando la diffidenza e la paura reciproche, la paura (nostra) del contatto. Status quo di cui si fa carico la Sicurezza, creando allarmi ingiustificati, drammatizzando fino al parossismo pericoli inesistenti: condannandoci a una vita asettica, ad un contatto mediato, strumentale, utilitaristico. La porta è anche l'accesso al mistero dell'altro nella sua varietà immensa, è Internet: ma finché resta irregimentata in una catena di montaggio produce solo una nota monocorde e dolente, come Internet produce perlopiù rumore di fondo. Ma è anche il foglio di via per una terra d'esuli, di oppositori del sistema come lo Jeti, condannati al non ritorno e alla non integrazione. (Questo accenno è grave: il reietto non interessa neanche a loro, perché contesta il sistema quando il modello cultural-economico globale è l'integrazione in esso?).

E se dietro un' arcigna segretaria c'è la Cia, dietro la fabbrica modello di solida tradizione c'è il lavoro nero, l'orario prolungato, la mancanza di sicurezza, ci sono (lo stagionale extra-comunitario e) milioni di bambini: prospettiva necessaria al sollevamento/mantenimento delle sorti economiche. Monsters & Co non può che accennarvi, bisogna affrettare la parabola positiva del film che, del resto, ha già le sue premesse buoniste - a 360 gradi - nell'innocenza assoluta e giocherellona della piccola Boo, la quale si aggira nella fabbrica - limitandosi a un "Buh!" di tanto in tanto - in un raffazzonato costume da "mostro" troppo grande per lei. Un costume che imbottito di esplosivo da meno nell'occhio.

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