Storia della Scienza - Dott. Luciano Benassi - 3
Questi appunti sono la rielaborazione riassuntiva della terza
delle quattro lezioni tenute
dal dott. Luciano Benassi alla Scuola di Educazione Civile
sul tema Storia della Scienza
il 7 marzo, l'11 aprile, il 16 maggio e il 6 giugno 1996.
dott. Luciano Benassi
Fede e scienza: alle origini di un rapporto
Terza lezione
3. Le origini della scienza e la scienza delle origini
Dopo avere identificato gli indizi che avvalorano la tesi di un legame causale fra
concezione animistico-panteistica del cosmo e impossibilità per la scienza di vedere la
luce, rimane da stabilire la prova "in positivo", ovvero: quale era la concezione del cosmo
e della sua origine dove e quando la scienza ha fatto la sua comparsa?
Se sul luogo in cui la scienza è nata non vi sono dubbi - trattandosi dell'Europa -,
sull'epoca in cui questa straordinaria avventura intellettuale è cominciata, i pareri non
sono concordi. Non si tratta, però, di una disputa intorno a una data o a un periodo, ma
di uno scontro fra due modi di concepire l'impresa scientifica, nel quale i termini
ideologici sono dominanti rispetto a quelli fattuali. L'eco della "leggenda nera" del
Medioevo, epoca di oscurantismo e di ignoranza, grava a tal punto sulle ricerche e sui
giudizi, che sembra impresa sovrumana ascoltare la voce della verità storica a proposito
della "datazione" della scienza. È ormai un dogma, per esempio, che il Padre Fondatore della
scienza moderna sia Galileo Galilei (1564-1642); qualcuno, più colto, si spinge fino a
Copernico (1473-1543), forse attratto da quello slogan - rivoluzione copernicana - evocatore
di ribellione, di trasgressione e di anticonformismo. Quando poi si pensa alla scienza come
alla versione consolidata delle leggi della meccanica, allora il pensiero corre a Isaac
Newton (1642-1727) e al "secolo del genio" (il XVII) - come lo battezzò A.N. Whithead -.
Quel che è certo, è che l'avvento della scienza viene reputato un fatto della "modernità",
un avvenimento irriducibile al mondo oscuro della cristianità medievale.
In realtà, ciò che il grande pubblico fatica a trovare nelle pagine di una pur abbondantissima
divulgazione scientifica e storico-scientifica, agli studiosi è perfettamente noto. Le grandi
figure della scienza come Copernico, Galileo e Newton non erano solitarie nei loro studi, ma,
al contrario, erano inserite in veri e propri filoni di ricerca cui partecipavano molti loro
contemporanei, né più né meno come accade oggi. Non solo: molte delle idee da loro
straordinariamente sviluppate, avevano visto la luce ed erano state dibattute in tempi
precedenti, come testimonia un'abbondante aneddotica sulla priorità delle scoperte e delle
invenzioni. Qualche esempio per tutti:
- Newton e Leibniz sono in polemica per la priorità della scoperta del calcolo infinitesimale
- Newton e Hook si contendono il primato per la scoperta della legge dell'inverso del
quadrato del raggio per l'intensità della gravitazione
- Newton, nel suo trattato di ottica elimina ogni riferimento a Descartes, che a sua volta
aveva studiato presso i Gesuiti di La Fleche
- Galileo rivendica a sé l'invenzione del cannocchiale e omette di citare le fonti dei
suoi studi di meccanica non aristotelica, cioè i Gesuiti del Collegio Romano e i Domenicani
di Salamanca.
Situazioni analoghe si riscontrano andando a ritroso nel tempo. Lo stesso Copernico rilancia
idee già note da quasi due secoli, formulate dai meccanici medievali, in particolare
l'affermazione di Nicola Oresme (m. 1382) che la terra in rotazione imprime lo stesso
movimento anche ai corpi solidali con essa. Questa dottrina del moto terrestre era, a sua
volta, un'applicazione dell'insegnamento del predecessore di Oresme alla Sorbona,
Giovanni Buridano (1290 - 1358). Questi due autori e la scuola filosofica parigina alla
quale appartenevano, ci introducono al punto cruciale. Sentiamo ancora Stanley L. Jaki:
"La ragione per discutere esplicitamente di Buridano è molto di più che una meticolosità
accademica [...] Una tale discussione chiarirà la ragione per cui fu così facile a Copernico,
Descartes, Keplero, Galileo e molte altre figure minori accettare che tutti i corpi sulla
terra ne condividano il movimento, sia rotazionale che orbitale. Spiegherà anche perché
Buridano stesso non manifestò alcuna difficoltà intellettuale nell'esprimere quello che
può essere considerato a buon diritto come l'atto di nascita della scienza newtoniana
e moderna. La spiegazione è che tutti i personaggi in questione credevano in una Nascita
salvifica avvenuta un tempo in una mangiatoia".
3.1. La fisica aristotelica
La dinamica dei doctores parisienses, o dinamica dell'impetus, è lo sviluppo di una
concezione della dinamica che si fa strada nella prima metà del '300, principalmente
alla Sorbona. Si tratta di una dottrina del moto locale, cioè di una teoria del movimento
dei corpi nello spazio e delle cause di tale movimento. Non deve stupire che fossero dei
filosofi a trattare questo argomento: il moto nello spazio è, in effetti, un caso
particolare di mutamento, e lo studio in generale del mutamento degli enti è di pertinenza
della filosofia. La dinamica dell'impetus si pone in antagonismo con la dottrina del
movimento allora dominante, quella aristotelica.
L'essenziale della dinamica aristotelica è che un corpo, per continuare a muoversi dopo che
il "motore" gli ha impresso il primo movimento, ha bisogno di restare in contatto con
ulteriori motori per continuare a muoversi. Aristotele, nel IV e nell'VIII libro della Fisica,
enuncia due teorie per spiegare il moto locale:
- un proietto continua a muoversi, dopo che è cessato il contatto con ciò che lo ha mosso,
a causa di motori intermedi (costituiti di materia atta a produrre movimento, come aria o
acqua) che si sostituiscono, al progredire del moto del proietto, e rimangono contigui ad
esso fino alla conclusione naturale del movimento.
- teoria dell'antiperistasis: l'aria assicura la continuità del moto sostituendosi dietro
al proietto, operando come un motore.
Nel '300 la critica alle teorie aristoteliche viene a maturazione. Buridano osserva che
esistono fenomeni nei quali il movimento persiste anche in assenza delle condizioni richieste
dallo Stagirita:
- la rotazione di una trottola o di una mola fabri si verifica senza che il corpo che ruota
abbandoni il luogo che occupa e, quindi, senza il "risucchio" di aria necessario per
continuare il moto;
- aguzzando l'estremità posteriore di una lancia, così da annullare il "risucchio" di aria
o la superficie su cui l'aria può premere, la lancia continua a muoversi;
- quando gli uomini che trainano un'imbarcazione stando sulla riva del fiume interrompono
il loro sforzo, un marinaio che si trovi in coperta non sente l'aria che spinge da dietro
la nave, ma solo quella che resiste al suo moto. Similmente, fuscelli di paglia che si
trovassero a poppa non verrebbero incurvati dall'aria spirante da dietro.
Queste difficoltà si accentuano quando la stessa teoria aristotelica è applicata al movimento
dei corpi celesti. Qui, in virtù della distinzione di natura fra corpi terrestri e corpi
celesti, Aristotele si appella all'eternità dell'universo, che per lui è una verità evidente.
Da tale eternità consegue la divinità dell'universo e la contraddittorietà di tutte le
dottrine che cercano di assegnare un'origine al cosmo. In quest'ottica, il movimento
ininterrotto della volta celeste è un corollario immediato, che non necessita di nessuna
spiegazione. Ritroviamo ancora, in ragione di un'erronea concezione del cosmo, un impedimento
alla possibile indagine razionale della natura. La scienza greca, in effetti, fu dettata
soltanto dalla preoccupazione di salvare i fenomeni, ma restò incapace di curiosità verso
le cause del moto. Fu una geometria della natura, una cinematica che non divenne mai una
dinamica.