EL MELONARO

Il ristoro del contadino contro il caldo e l’arsura della stagione estiva, erano l’acqua fresca e l’anguria. Non di rado, a mezzogiorno, nelle case braccianti, si pranzava con pan e anguria, tenuta

in fresca nell’acqua che core e la sera, la molonara sostituiva le quatro ciocole sentà su l’oro, seduti sull’aia. Le compagnie dei giovani passavano le loro serate in allegria on chiasso da molonara, sotto il fogliame delle zucche che copriva la struttura di pali e fascine del capanno, nella luce della cetilene, acetilene o della lucerna da caretiere. Di giorno, per le strade polverose delle contrade, passava el melonaro con il suo carico di angurie, gridando:

Al taio!

Al taio rosso, al taiooo!

Varda che taio

L’è rosso come el sangue.

Al taglio - al taglio rosso – osservate che taglio- e rosso come il sangue. Le donne si avvicinavano frettolose, con i soldi inroia intel fazolo drento la scarsela del grumbiole, dentro la tasca del grembiule, avvolti nel fazzoletto, el me ne daga una de bona, mia tanto grossa, un’anguria matura, non troppo grossa, chiedevano generalmente. Seguiva un baratto di contrattazioni e, ad affare concluso, con mossa sicura e veloce, el melonaro premeva la punta del coltello sulla scorta che si apriva con un taglio preciso. La scorza aprendosi la ciocava, schiacciava, se era matura; se no, la fasea saon, il coltello scorreva lento come tagliasse sapone, Qualche volta, sicuro del getto suo e per darghe sodisfazion, convincere meglio la cliente, el melonaro el fasea on tassello, apriva l’anguria, ritagliandovi uno spicco piccolissimo che si poteva anche assaggiare. L’anguria matura possedeva un giusto grado zuccherino, l’era dolza e piena di mosto, di succo; quella indro, ancora da maturare, l’era come el saon, la sbrissiava, la polpa viscida, nianca bona da darghe al mas-cio, immangiabile perfino per il maiale, da buttare via. Par sentirghe el gusto per gustare l’anguria non doveva essere ne calda "l’era come el pisso", ne troppo fredda, lo se ferma in tel stomego, è indigesta.

Perciò bisognava temerla per ore nel fosso che corre, nell’acqua corrente di un fosso oppure dentro il pozzo, El molon, il melone, era più pregiato dell’anguria e raramente raggiungeva la tavola dei poveri perché el costava massa e nol fasea parte, non riempiva la pancia, nol saziava.

El molonaro era un mestiere di stagione e durava con el caldo, la sua durata dipendeva dall’andamento della stagione. In queste occasioni el molonaro aggiungeva al suo grido consueto:

Le vendo e le pianto

se le me resta me despero

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