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Educazione alla legalità: alcune considerazioni generali
di Renzo Remotti |
5. La giustificazione giuridica
E
stato affermato stato affermato che il bambino si trova permanentemente in conflitto con
la realtà, perché il mondo non è fatto per i bambini. Anzi sulla scia delle maggiori
teorie pedagogiche contemporanee, è assodato che tutte le decisioni che riguardano i
bambini vengono prese altrove. Al bambino viene negato il
diritto di poter raccontare la propria storia, di descrivere le proprie emozioni, gioie,
angosce. In verità è come se venisse negata la soggettività del bambino. Fino
alletà adulta il bambino è un non-adulto, un soggetto incompleto. Dato che ha
bisogno di istruzione e, in termini più generali, di una guida, si conclude che il
bambino non ha bisogni propri, se non immediati (sonno, istruzione etc.).
La
pedagogia legale dovrebbe ribaltare questa concezione adulto-centrica. Il diritto, specie
il diritto internazionale, ha iniziato da diverso tempo a riconoscere il bambino come
soggetto giuridico con i propri diritti e doveri, non in funzione degli adulti, ma
semplicemente diritti e doveri relativi alletà che si trova a vivere. Non si tratta
di un cambiamento di poco conto. Naturalmente dopo il mutamento della concezione
internazionale, molti diritti nazionali hanno iniziato a riconoscere alcuni diritti propri
dei minori si pensi al diritto processuale minorile ma, dato che in questo
saggio, si va alla ricerca di un fondamento universale della pedagogia legale, si ritiene
di analizzare brevemente il diritto internazionale, lunico che ha una valenza
generale. Per secoli il diritto internazionale ha riconosciuto solo gli Stati. Nel diritto
internazionale classico lo spazio destinato agli individui era piuttosto limitato. Le
relazioni internazionali erano tutte concentrate sugli Stati e per questo motivo
lindividuo era considerato solo una proprietà dello Stato, che poteva decidere in
piena libertà sul suo destino. Del resto anche nelle relazioni diplomatiche la
popolazione era trattata alla stessa stregua di una cosa, rimanendo agli occhi dei
diplomatici del tutto indifferente la volontà degli individui sui futuri assetti politici
degli Stati. Il 10 - dicembre - 1948 a San Francisco venne firmata la Dichiarazione
Universale dellUomo, mentre a Roma nel 1950 fu adottata dalla CEE unanaloga
Dichiarazione. Non si trattò di un fatto di scarso rilievo, ma di una vera e propria
rivoluzione Copernicana. Lindividuo viene per la prima volta riconosciuto come uomo,
dotato di diritti e doveri riconosciuti a livello internazionale. E vero che altre
Dichiarazioni per i diritti delluomo furono approvate precedentemente, ma si
trattava di pure enunciazioni di principio, firmate con la consapevolezza che non si
trattava che di indirizzi non vincolanti. Dal 1948 in avanti, invece, gli Stati, anche a
causa dei drammatici eventi appena superati dalle grandi potenze mondiali, firmano queste
Dichiarazioni con la consapevolezza della loro vincolatività, anche se poi talvolta non
le rispettano e la Comunità Internazionale non ha molti strumenti giuridici per imporne
losservanza. Nonostante tutti i difetti è chiaro che il cambiamento è grande. La
Dichiarazione assume caratteri molto differenti rispetto alle altre fonti del diritto.
Nellordinamento internazionale gli obblighi e i diritti nascono soprattutto
attraverso accordi, trattati o comunque atti sotto il controllo della volontà degli
Stati. Si può, di conseguenza, affermare che fino al 1948 i diritti derivanti dalla
comunità internazionale fossero piuttosto delle concessioni. Gli Stati per ragioni di
varia natura concedevano agli stranieri, a minoranze etniche o a individui privilegi,
diritti o immunità. I diritti espressi nella Dichiarazione, invece, sfuggono da questo
schema. Essi appartengono allindividuo,
in quanto individuo, il quale li può rivendicare, non perché un potere superiore glieli
ha donati, ma perché lui è un essere esistente.
Per
esempio la libertà di pensiero è completa solo se nasce dalla libera iniziativa di
ciascuno secondo la propria condizione culturale. Se unautorità potesse a proprio
completo arbitrio dare o revocare questa libertà, si determinerebbe inevitabilmente un
controllo sulle opinioni individuali e in ultima analisi una contrazione stessa di questa
libertà. Perciò i diritti delluomo possono essere solo riconosciuti, ma mai concessi dalla Comunità
Internazionale. In altre parole nel 1948 tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, hanno
riconosciuto che esistono libertà e diritti, che non possono essere violati per nessuna
ragione, nemmeno per superiori interessi nazionali. Questa concezione ha conseguenze
importanti. Prima di tutto i diritti delluomo rientrano nel concetto di ius cogens.
Di conseguenza un trattato internazionale che contenesse una disposizione contraria a un
diritto umano sarebbe nullo ai sensi dellart. 53 della Convenzione sui trattati
internazionali di Vienna del 1967.
La
sovranità dello Stato trova un evidente limite nella Dichiarazione Universale. Altra
conseguenza è che il rispetto dei diritti delluomo non è subordinato al principio di reciprocità,
tipico del diritto internazionale generale. Il fatto che un determinato Stato violi un
diritto umano nei confronti di uno straniero (per esempio sottopone a tortura un
carcerato), non esime lo Stato, di cui ha cittadinanza la vittima, di rispettare i diritti
nei confronti di eventuali cittadini dello Stato responsabile della violazione presenti
sul suo territorio. E evidente la ragione. I diritti delluomo appartengono
allindividuo e non allo Stato. Gli Stati possono intervenire attraverso le vie
diplomatiche o, nei casi più gravi, anche con sanzioni economiche e militari,
principalmente per proteggere lindividuo, ma non proprie istanze. Un problema che ha
fatto discutere la dottrina è se tra i diritti delluomo esiste una sorta di
gerarchia. In questo modo vi sarebbero diritti che devono essere tutelati sempre, senza
possibilità di deroghe o eccezioni. DUPUY, per esempio, cita come prova
dellesistenza di tale gerarchia lart. 27 della Convenzione Americana dei
diritti delluomo, il quale stabilisce lesistenza di diritti che devono
essere rispettati in ogni modo e circostanza e che di conseguenza non sono suscettibili di
alcuna deroga.
Larticolo
individua tra questi diritti, il diritto alla vita, il diritto a non essere sottoposto a
tortura o a trattamenti degradanti, il diritto a non essere ridotto a schiavitù. In
realtà il fatto di aver introdotto lintera Dichiarazione nella nozione di ius
cogens, rende evidente che tutti i diritti enunciati godono del medesimo rango.
Unevoluzione
molto simile ha subito il diritto internazionale a riguardo dei bambini. Già Il 20 Novembre 1959 le Nazioni
Unite avevano adottato una Dichiarazione
Universale dei diritti del bambino, ma solo la successiva convenzione ONU del 20 Novembre
1989 fu ratificata anche dallItalia il 2 settembre 1990 diventando
perciò ordinamento giuridicamente vincolante. Dopo la convenzione il bambino acquista lo
status di soggetto di diritto internazionale. Con ciò si intende affermare che il bambino
da non-adulto, si trasforma in unindividualità ben distinta. Le
conseguenze sono importanti.
Il
bambino, avendo una propria soggettività, può agire
in senso giuridico, vale a dire pretendere in forma pacifica e ragionevole di poter vivere
lo spazio riconosciutogli. Per esempio il diritto ad avere una famiglia non è una
libertà dei genitori, ma esattamente del bambino. Non sono solo i genitori che possono
pretendere di avere dei figli, ma soprattutto sono i bambini che hanno il diritto di
vivere in una famiglia. Questo diritto ribalta il punto di vista generale. Questa esigenza
non va rapportata solo ed esclusivamente attraverso la sensibilità degli adulti-genitori,
ma del bambino. E un tema molto spinoso. Oggi le donne-sigle rivendicano il loro
inviolabile e naturale diritto ad essere madri, coppie omosessuali vorrebbero
adottare bambini orfani.
Tutte
queste richieste dimenticano lart. 12 della Dichiarazione dei diritti del bambino.
Spesso non viene riconosciuto il giusto spazio al punto di vista del bambino.
Che
cosa pensa il bambino di tutte queste rivendicazioni? Qual è il punto di vista del
bambino? Qual è il modello naturale di famiglia per un bambino? Non si tratta
di una svista di poco conto. Mentre gli adulti discutono di questi argomenti, il bambino
viene espropriato di un suo preciso diritto. Non solo ma gli esiti di queste discussioni
determineranno la vita successiva di una persona in modo incisivo e irreparabile, senza
offrire proprio allinteressato la possibilità di esprimere la sua opinione.
Tuttavia lerrore più profondo di questo modo di agire è soprattutto derivato dal
mancato riconoscimento sociale della soggettività internazionale del bambino. Il diritto
alla famiglia, infatti, non è un diritto degli adulti, ma prevalentemente dei bambini. Di
conseguenza tutte le idee degli adulti a questo proposito non possono che essere messe a
confronto con quelle del bambino. In conclusione il fondamento giuridico della pedagogia
legale deve essere cercato nel riconoscimento della soggettività internazionale del
bambino. Il bambino è soggetto, il bambino ha dei diritti, il bambino ha una propria
individualità, dunque, il bambino ha il diritto a ricevere uneducazione alla
legalità. Quale potrà allora essere lobiettivo della pedagogia legale? Rendere il
bambino consapevole di essere una persona e offrigli degli strumenti culturali per
permettergli di costruirsi la vita da adulto secondo le sue aspirazioni e
abilità. Il paradigma della pedagogia legale non dovrà essere un bambino
contestatore, costantemente in conflitto con la società da cui è circondato, ma
piuttosto un bambino consapevole delle proprie ragioni e di quelle degli
altri. Del resto un buon educatore alla legalità ha il difficile compito di
insegnare il senso della ragionevolezza, la capacità di essere individuo in mezzo ad
altri individui. Il diritto è ragionevole solo quando riesce ad abbandonare una cieca
individualità ed approdare al sociale. E un compito tuttaltro che facile e
comunque molto diverso da ciò che solitamente si intende per educazione alla legalità.
Se vogliamo rifarci a un articolo della Costituzione italiana il pedagogista delle leggi
dovrebbe avere in mente larticolo 2 (La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili delluomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede
ladempimento dei doveri inderogabili della solidarietà politica, economica e
sociale.), piuttosto del 3, primo comma (Tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.).
Vediamo
in dettaglio quali diritti introduce la Convenzione riguardo i diritti del bambino.
Secondo la Convenzione è bambino [
] ogni essere umano avente
unetà inferiore a diciottanni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in
virtù della legislazione applicabile. (art. 1) Vi sono diverse categorie di diritti.
Prima di tutto vi sono i diritti individuali:
1.
diritti del bambino singolo: uguaglianza (art. 2), vita (art. 6), identità
(art.8), adozione o altre analoghi provvedimenti (art. 20 e 21), giusto processo (art.
40);
2.
diritti sociali del bambino: diritto alla cittadinanza (art. 7), ricongiungimento
famigliare (art. 10), salute (art. 24);
3.
libertà pubbliche e private: opinione (art. 12), espressione (art. 13), pensiero
(art. 14), associazione (art. 15), privacy (art. 16), gioco (art. 31);
4.
diritti economici e culturali: lavoro a condizioni eque (art. 32), diritto
alleducazione (art. 18, 28 e 29), livello di vita adeguato (art. 27)
In
secondo luogo vi sono i diritti collettivi. Art 30 e 38 Si
tratta di un tipo di diritti molto differente dal precedente. In particolare sono stati
riconosciuti grazie alle pressioni dei paesi socialisti e dei paesi in via di
sviluppo. I diritti delluomo sono nati per valorizzare lindividuo, ma si
tratta di un individuo solo, quasi del tutto separato dalla società. I diritti collettivi
tentano, invece, di mettere in relazione il singolo con i gruppi, in seno a cui è
inserito. Non si tratta di diritti di facile individuazione, perché il loro
riconoscimento dipende dalle condizioni della società in cui vengono riconosciuti e
rispettati. A titolo di esempio si pensi allart. 30 (Riconoscimento delle minoranze
e libera espressione di forme culturali minoritarie anche da parte dei bambini) e ancora
allart. 38 (il diritto di non partecipare ai conflitti armati).
Una
categoria molto controversa è costituita dai diritti
di solidarietà. Si pensi al diritto di protezione per i disabili (art. 23). Non tutti
i giuristi ritengono che esista un obbligo alla solidarietà internazionale. Se gli Stati
pongono in essere azioni di aiuto a beneficio di altri Stati, si adeguano a una norma
etica, ma non giuridica.
Una
parte della dottrina più attenta ritiene di ravvedere non tanto una norma giuridica alla
solidarietà, quanto una serie molto eterogenea di norme, che obbligano gli Stati al
reciproco aiuto. Basti pensare al diritto allautodeterminazione dei popoli previsto
negli artt. 1 e 3 della Carta delle Nazioni Unite, al diritto alla pace, al diritto alla
proprietà sul patrimonio comune dellumanità e soprattutto al diritto
allintegrazione sociale. Del resto lart. 10 della Carta delle Nazioni Unite
prevede lobbligo alla cooperazione internazionale, un obbligo che potrebbe essere
inserito chiaramente nel concetto di solidarietà. Larticolo citato sancisce
lobbligo di cooperazione internazionale per i fini delle Nazioni Unite. Di
conseguenza anche per lo sviluppo e i diritti del bambino.
Perché
la convenzione sui diritti del fanciullo dovrebbe essere presa come paradigma della
pedagogia legale? La risposta si trova analizzando più approfonditamente lart. 12
della Convenzione, secondo cui ciascun bambino ha il diritto di esprimere il proprio punto
di vista. Larticolo fornisce una risposta a coloro che accusano il testo di essere
troppo generico e di aver introdotto diritti tanto ampi da diluirne la portata semantica..
Questi dubbi sono giusti, se la convenzione non fosse seguita da una costante formazione
legale indirizzata a chi dovrà renderli effettivi. Sarebbe, infatti, una profonda
distorsione se a fissare il contenuto degli articoli fossero solo gli adulti. Sono i
bambini che dovrebbero stabilire, insieme agli adulti, cosa si intende per livello
di vita adeguato, cosa è crudeltà e così via. Perciò le agenzie
educative devono diventare luoghi di scambio di idee tra adulto e bambino sui diritti che
non possono non essere per i bambini e interpretati dai bambini. E evidente che è
necessario fornire a questo approccio ottima esperienza pedagogica. Il bambino La Convenzione, perciò, ha
il merito di riconoscere il bambino come persona giuridica, capace di avere
dei bisogni, dei pensieri, in una parola di un soggetto che esiste e agisce nella
comunità.
Tuttavia
nessun diritto, nemmeno il più generico, può sopravvivere e svilupparsi senza che siano
continuamente richiamati da chi direttamente ne usufruisce. La Raccomandazione n.1286 del
Consiglio d'Europa mira a fare dei diritti del bambino una priorità nazionale:
-
adottare a livello nazionale e locale una politica attiva per l'infanzia in modo da
ottenere la piena applicazione della Convenzione e che consideri il miglior interesse del
bambino un principio guida di tutte le azioni;
-
rendere il bambino più visibile attraverso la raccolta sistematica di informazioni,
dettagliate per genere ed età, di statistiche comparabili, con le quali rendere possibile
l'identificazione dei loro bisogni e le questioni che richiedono priorità nell'azione
politica;
-
adottare un approccio globale, incisivo e coordinato che incoraggi la realizzazione di
strutture multidisciplinari e la creazione di coalizioni nazionali;
-
nominare un difensore dell'infanzia o altra struttura, cui sia data garanzia di
indipendenza e le responsabilità per migliorare e promuovere la vita e le condizioni dei
bambini, che sia accessibile al pubblico anche attraverso la creazione di uffici locali;
-
assicurare, specialmente a livello di decisione politica, che l'interesse ed i bisogni dei
bambini siano adeguatamente considerati, introducendo metodi quali la valutazione del
child impact statement, che offre il mezzo per determinare il probabile impatto sui
bambini di ogni proposta legislativa, regolamento e di ogni altra misura adottata;
-
investire sui bambini e dar loro priorità di bilancio, destinando risorse adeguate anche
in relazione a quelle destinate ad altre fasce di popolazione e ciò sia a livello
nazionale che regionale e locale;
-
garantire il coinvolgimento delle diverse organizzazioni nazionali ed internazionali che
operano nella cura dell'infanzia.
Tutti
gli stati dEuropa si stanno adeguando a questa raccomandazione. Ancora molta strada
deve essere percorsa, non solo perché i diritti dei bambini vengano riconosciuti, ma
anche per dare a questo corpo di diritti una vera completezza e unitarietà.
Un
altro tema spinoso, che non è stato affrontato dal diritto internazionale è lo
sfruttamento del lavoro minorile. Leducazione alla legalità dovrà anche infondere
il dovere di andare a scuola piuttosto che accettare il lavoro in età troppo precoce. La
Costituzione originaria dellOrganizzazione Internazionale del Lavoro (abbr. OIL)
scaturiva dalla Parte XIII del Trattato di Versailles, concluso nel 1919. La sezione II
sui Principi generali (articolo 427) conteneva larticolo 41 della Costituzione
originaria (emendata nel 1946) fondato sul principio che il lavoro non è una merce. Esso
prescriveva che venisse data particolare ed urgente importanza ad un certo
numero di metodi e principi, tra cui in evidenza:
Labolizione
del lavoro minorile e limposizione di limitazioni al lavoro degli adolescenti tali
da permettere la loro frequenza scolastica e garantire il loro normale sviluppo fisico.
Fino
ad oggi lOIL ha adottato ben 11 Convenzioni sulletà minima. La più completa
è la Convenzione sulletà minima del 1973 (No. 138). Essa definisce i criteri
internazionali generalmente applicabili ed è considerata la Convenzione
fondamentale per quel che riguarda il lavoro minorile. Solo negli anni novanta si è
sentita lurgenza di dotare il diritto internazionale di strumenti più efficaci.
Lespansione del turismo sessuale è
servito soltanto ad accrescere lindignazione del pubblico per lo sfruttamento
sessuale dei ragazzi a fini commerciali. Infine, anche listituzione e
lespansione del Programma internazionale dellOIL per leliminazione del
lavoro minorile ha avuto un effetto decisivo nella mobilitazione. Nel giugno 1996, un
riunione ministeriale informale tenutasi durante la Conferenza internazionale del lavoro
scelse il lavoro minorile come tema da mettere allordine del giorno. Il crescente
consenso su questo problema portò alladozione unanime di una risoluzione della
Conferenza sul lavoro minorile.
Lo
scopo della risoluzione è enunciato nel preambolo che sottolinea:
[
]
la comune responsabilità dei governi, dei datori di lavori, dei lavoratori e delle loro
organizzazioni e della società tutta a lavorare per la graduale eliminazione del lavoro
minorile. Sottolineando, in questo contesto, il bisogno di procedere immediatamente
allabolizione dei suoi aspetti più intollerabili, in particolare limpiego di
bambini in condizioni di schiavitù o simili, e in occupazioni pericolose e nocive, lo
sfruttamento di bambini giovanissimi e lo sfruttamento sessuale dei ragazzi a fini
commerciali [
]
Lobiettivo
è chiaro. LOIL vuole portare a una graduale
eliminazione di ogni tipo di lavoro minorile e allabolizione immediata dei suoi
aspetti più intollerabili.
Il
diritto internazionale deve svilupparsi molto di più di quanto ha proceduto fino ad oggi,
ma è certo che ora, almeno a livello ideale, il mondo è molto più vicino al bambino.
Zavattini nota che di tutti i diritti, ne manca uno, il più importante, ovvero il diritto
a conoscere la verità. In questi termini si esprime il regista: Nellelenco
ufficiale dei diritti dei fanciulli, che sarebbero dieci, manca proprio quello più
importante, così importante che la sua mancanza rende gli altri retorici: cioè il
diritto di conoscere la verità. Non la verità metafisica, ma quella storica, che
scaturisce dai fatti in mezzo ai quali il fanciullo oggi compie la sua esperienza,
talvolta interrotta dalla fame, dalle malattie, da una bomba. [
] la generazione che
detiene il comando non ha il genio, il coraggio, la generosità di fornire ai propri figli
gli strumenti elementare per operare un processo critico realistico, temendo di essere
scalzata dal potere, di perdere il prestigio. Priva di un vero senso di responsabilità
offre ai figli dei libri di testo che non lasciano mai trapelare che la vita corrente è
essa stessa storia, e una storia tremenda [...] Basterebbe un piccolo libro di testo,
scritto tra una decina di uomini come U. Thant, Sartre, Russell, per demistificare la
cultura scolastica e portarla nel mezzo delle cose preparando dei giovani che lavorino
deliberatamente contro di noi là dove sia necessario. Chi se non lO.N.U. potrebbe
confezionare questo piccolo libro di testo, questo sillabario delluomo tradotto in
tutte le lingue, in cui tra laltro si elenchi che cosa dice di volere luomo
moderno e che cosa invece fa? Zavattini vorrebbe in altre
parole una scuola che prepari alla responsabilità o meglio allimpegno sociale.
Allora cosa dovrebbe raccontare un libro dedicato alleducazione alla
legalità? Questo tema verrà approfondito in un prossimo saggio, ma si possono anticipare
alcune riflessioni. Anche la nuova convenzione dei diritti del fanciullo enuncia una serie
di diritti. Ora la categoria del diritto può essere letta o in senso
individualista o più propriamente collettivo. Se la pedagogia legale deve essere
uneducazione alla coesione sociale, è evidente che solo il secondo significato
soddisfa pienamente questo obiettivo. Prendiamo come esempio il diritto al gioco, quello
più intrisecamente legato al mondo dellinfanzia. Un educatore che spiega questo
diritto ad una classe può limitarsi a dire che tutti i bambini hanno il diritto al gioco.
Naturalmente si possono usare molti metodi, la lezione o lattività pratica (disegni
etc.), ma il contenuto non cambia. Il bambino o ancor di più un adolescente percepisce il
mondo del giuridico, come lo spazio delle rivendicazioni, della prepotenza (se ho un
diritto, lo devo ottenere a qualsiasi costo!) e, in ultima analisi, della violenza. Si
crea così un paradosso.
Quelleducazione
che avrebbe dovuto unire le componenti sociali, si fa strumento di divisioni e liti
interne, che a lungo termine porteranno alla disgregazione del gruppo, in seno a cui sono
nate. Lo sforzo delleducatore dovrà allora dirigersi verso unaltra direzione.
Leducatore dovrà iniziare a parlare del diritto al gioco negato. In ogni classe per varie ragioni sono
presenti bambini più emarginati di altri (timidi, disabili etc.). Questo può essere un
buon punto di partenza. Si dimostra che non tutti beneficiano allo stesso modo di questa
gioia, sebbene il testo dellarticolo introduca la parola Tutti i
bambini. In questo modo si introduce il fanciullo allaspetto problematico del
diritto, quando cioè non viene rispettato. E importante che leducazione
faccia interiorizzare nel bambino lidea che non significa nulla la circostanza che
lui individuo possa ogni giorno giocare liberamente, se ad altri questa libertà viene
negata magari a causa della propria indifferenza. Il diritto al gioco è rispettato,
quando tutti insieme cerchiamo di fare il possibile, affinché, almeno in seno alla
comunità scolastica, dove si vive, il diritto è rispettato. Si potrà così insegnare al
bambino ad invitare altri bambini a partecipare ai propri giochi. Il discorso si potrà
così ampliare. Dalle micro si passerà alle macro problematiche del diritto al gioco.
E evidente che i bambini avranno anche il diritto di avere spazi dove poter giocare.
Nella propria città vi sono parchi , cortili ampi, dove esprimere la creatività dei
bambini? Solitamente le nostre città, dove lurbanizzazione selvaggia impedisce
sempre più ai bambini di giocare. Torniamo così ancora alla capacità di proporre una
petizione.
Lo
schema sarà: esiste un diritto, il diritto è negato o gravemente impedito, si chiede a
chi esercita il potere (il Sindaco, per esempio) che si impegni a rimuovere gli ostacoli
che impediscono lesercizio di un diritto. La petizione deve essere vissuta
grazie soprattutto alla sensibilità delleducatore non come una rivendicazione, ma addirittura come
un obbligo sociale. I bambini cioè devono vedere in quella richiesta lo strumento per
creare una società migliore, fondata sempre più sui diritti. Dopo questa fase si può
passare a considerare i grandi problemi del mondo. Nei paesi dove cè la guerra, i
bambini possono giocare? Si tratta di un modo
per evitare che i grandi problemi siano vissuti come ineluttabili. Infatti: Di qui
il senso della responsabilizzazione dei bambini in tutti i sensi, voluta da Zavattini; di
qui la concretezza delle sue proposte: i bambini in televisione, a teatro,
alla radio; un film fatto tutto di bambini; i bambini corrispondenti privilegiati delle
sue lettere; tutto un paese nelle mani dei bambini; la vita stessa rinnovata
con il contributo essenziale dei bambini, o, meglio, garantita dal fatto che possano
crescere adulti che, una volta informati del fatto che cè la guerra, non si
limitino fatalisticamente a rispondere: <<Ah, cè la guerra!>>
Ecco
perché leducazione alla legalità può diventare educazione alla verità storica,
secondo il concetto di Zavattini. Introducendo il discorso dei diritti negati si presenta
al bambino il mondo per ciò che è nella sua nudità e talvolta crudezza.
Leducazione deve, però, offrire una speranza, un veicolo per superare questo volto
oscuro della realtà storica. La via ragionevole lunica possibile per
superare questa realtà è proprio il diritto, partendo paradossalmente dalla negazione
del diritto. Tutti possono aprire i testi delle grandi Dichiarazioni dei diritti
delluomo, della Costituzione e sapere che esistono determinate libertà e obblighi
individuali. Più difficile scoprire nella storia le violazioni a queste libertà e
suscitare il desiderio di renderli effettivi. Questa
negazione visibile attraverso il compagno escluso dal gruppo, le città industrializzate e
via via la guerra negazione assoluta di ogni istanza sociale e conseguentemente di
ogni diritto deve suscitare limpegno sociale, il desiderio di fare qualcosa.
Non solo ma, se il processo educativo alla legalità avrà avuto successo, deve aver
lasciato nel bambino la consapevolezza che si può fare qualcosa, affinché il
mio diritto diventi il nostro diritto. Questo qualcosa inoltre non
è in mano solo ai potenti, ma a tutti coloro che sanno indignarsi davanti al
diritto negato. Il passaggio logico del concetto di diritto sul piano
educativo dovrebbe essere chiaro. Infatti con questo approccio il diritto non è più un
bene individuale, ma sociale. Il diritto al gioco non è proprio del singolo bambino
anche se ne è il diretto beneficiario ma piuttosto un mezzo di benessere
sociale. Leducazione alla legalità allora non è insegnamento di diritti personali,
ma di solidarietà. Sarebbe assurdo far
credere al bambino che i propri diritti sono soddisfatti quando lui ne può usufruire. La
verità storica del diritto si verifica solo quando il diritto è davvero effettivo.
Seguendo questa procedura la pretesa delleffettività del diritto non è singolare,
ma passa attraverso la società. Nello stesso tempo leducazione alla legalità
diventa educazione alla solidarietà. Grazie a questi temi si può proprio dai diritti dei
bambini negati iniziare a garantire uno spazio maggiore ai bambini. La presenza dei
bambini a teatro, nella radio, in televisione può diventare occasione per spiegare agli
adulti il mondo dei bambini attraverso gli occhi dei bambini. In questo modo si
armonizzano educazione legale, alla solidarietà e allimpegno sociale.
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