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Il diritto alla privacy e ricerca scientifica
di  Renzo Remotti

2. Qual' è il bene giuridico tutelato dalla privacy?

Spesso si scrive che il diritto alla privacy è nato in seguito allo sviluppo della tecnologia, ma tale affermazione è vera solo in parte. In realtà, specie in quest’ultimo decennio, specialmente nella pubblica amministrazione, si sta assistendo a un graduale avvicinamento dei sistemi di civil law (ovvero dei sistemi giuridici fondati sul diritto romano) a quelli di common law di derivazione consuetudinaria, come l’ordinamento anglosassone e, almeno parzialmente, americano [10]. L’emergere del concetto di privacy è riconducibile a questo fenomeno, mentre il diffondersi di banche dati elettroniche, e facilmente accessibili da chiunque, contenenti dati personali ha solo accelerato questo processo. Non a caso la prima idea di privacy nasce molto prima che si diffondessero le reti di computer e INTERNET e fin dagli anni ’50 la dottrina e giurisprudenza civilistica e penalistica europea si è occupata del diritto alla riservatezza. La prima elaborazione di un diritto alla privacy nasce in Germania ad opera del Kholer in una famosa opera intitolata Das Autorecht (1880), ma soltanto dieci anni dopo sull’autorevole rivista americana Harvard Law Review appare l’articolo, scritto da Warren & Brandeis The Right to privacy, dove viene sostenuto che ogni persona ha il diritto di essere lasciato solo o, riportando una famosa espressione, “the right to be let alone”. Il saggio nacque per una vicenda personale in cui cadde vittima Warren stesso. L’autore discendente di una famiglia molto ricca fu oggetto di una serie di articoli apparsi su giornali locali, in cui veniva messa in discussione la sua vita privata. Quest’origine ha influenzato la prima concezione individualistica di privacy. Da questo punto di vista il bene tutelato dalla privacy è semplicemente la vita intima.

Privacy, nell’accessione della l. 675\96, al contrario, è un concetto relativamente nuovo per il nostro ordinamento, in quanto non è equiparabile al più ristretto di riservatezza.

Luciano Carta in occasione del “IV salone sulla comunicazione pubblica e dei servizi al cittadino”, tenutosi a Bologna il 18 – settembre – 1997, si espresse in questi termini: “Del resto, prova evidente del mutamento di concezione della privacy è l'estensione ad ambiti che prescindono dalla mera sfera della salute e da quella sessuale, ma che ineriscono le opinioni politiche, il credo religioso, l'appartenenza a gruppi o associazioni, tutte situazioni che possono costituire fonte di discriminazione sui posti di lavoro e in tutti i rapporti sociali. E su questo il legislatore è sembrato attento, delineando questo sviluppo nell'art. 22 della predetta legge.”[11]

L’articolo 10 del nostro codice civile vigente tutela l’immagine della persona e l’identità personale, nel caso venga esposta o pubblicata in violazione della legge o ledendo il decoro e la reputazione della persona stessa [12]. L’articolo in parola non tutela tanto la sfera privata, quanto la rappresentazione pubblica di aspetti privati avvenuti o senza il consenso degli interessati o tale da recare pregiudizio al decoro degli stessi. Così si espresse, per esempio, nel 1975 la Suprema Corte di Cassazione: “L’esposizione o pubblicazione dell’immagine altrui è abusiva […] non soltanto quando avvenga senza il consenso della persona o senza il concorso delle circostanze espressamente previste come idonee a escludere la tutela del diritto alla riservatezza, ma anche quando, pur ricorrendo quel consenso, o quelle circostanze, sia tale da arrecare pregiudizio all’onore, alla reputazione, al decoro della persona medesima […]” [13]. L’art. 97 della legge 22 – aprile – 1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore) permette sì la diffusione dell’immagine altrui senza il consenso degli interessati, ma esclusivamente nell’ipotesi che ricorra un prevalente interesse pubblico all'informazione. Tale deroga alla disciplina generale prevista dal citato articolo del codice civile richiede una stretta interpretazione, con la conseguenza che solo in circostanze limitate tale diffusione è legittima [14].

In un caso emblematico venne ritenuta legittima la riproduzione televisiva di un tifoso durante la diretta di una partita di calcio, ma non l’inserimento di quelle medesime immagini in una sigla di una trasmissione televisiva [15]. Nel primo caso, infatti, l’interesse pubblico alla diffusione della notizia concernente la gara agonistica prevale sull’interesse particolare della tutela dell’immagine del tifoso. Diverso il caso in cui quell’immagine viene sfruttata per fini meramente commerciali come nell’ipotesi, in cui venga inserita nella sigla di una trasmissione televisiva. Nella presente fattispecie non si ravvede alcun interesse pubblico alla diffusione di quella particolare immagine, ben potendo il cast televisivo creare una sigla altrettanto efficace senza quell’immagine. Di qui l’obbligo di chiedere il consenso agli interessati.

Queste conclusioni derivano dal concetto che nel tempo la giurisprudenza di legittimità ha elaborato. “Il diritto alla riservatezza – conclude la Cassazione – consiste nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali, le quali, anche se verificatesi fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l’onore, la reputazione o il decoro, non siano tuttavia giustificate da interessi pubblici prevalenti.” [16] D’altra parte l’interesse diventa pubblico solo se riguarda aspetti importanti della vita sociale e non fatti che, pur essendo per il senso comune interessanti, sono di fatto di scarso rilievo [17]. Un esempio tipico è il pettegolezzo. I fatti che ricadono in tale frequente costume sociale possono anche essere di interesse per molte persone, ma è indubbio che sul piano giuridico non rientrano nella nozione di prevalente interesse pubblico.

Da questi cenni è chiaro che tutte queste norme non prevedono una tutela diretta alla vita privata né a ben considerare un vero e proprio diritto alla riservatezza. Oggetto specifico dell’art. 10 del codice civile è, invece, l’immagine personale o sociale e la sua diffusione. Perciò la dottrina e la giurisprudenza hanno dovuto desumere un diritto alla riservatezza per via analogica, ma senza riuscire a elaborare un diritto ben chiaro e definito. Anzi tra gli anni ’60 e ’70 nacque un’interessante diatriba tra due illustri giuristi, diatriba nata proprio dall’impossibilità di trovare norme a tutela della riservatezza [18]. Secondo il Pugliese l’ordinamento italiano non prevede tale diritto e quindi esortò il legislatore a colmare la lacuna con un provvedimento legislativo. Al contrario Giorgianni riteneva che i diritti della personalità siano inerenti all’essere persona e che dunque un’eventuale legge può semmai solo stabilire i casi, in cui l’autorità pubblica può legittimamente limitare il libero esercizio di tali diritti. Secondo il secondo autore che esista un diritto alla vita intima è presupposto necessario all’essere persona e mai una legge può attribuire un simile diritto. Se, approfondendo il ragionamento del Giorgianni, si concedesse allo Stato di concedere il diritto alla riservatezza con una semplice legge, gli si attribuirebbe anche il diritto di eliminarlo con un atto (la legge) che richiede in fondo solo il consenso tra le parti politiche. Si esporrebbe in tal modo l’individuo agli arbitrii che via via potrebbero emergere nella vita di ogni ordinamento giuridico. Senza contare, poi, la forte tendenza che l’Esecutivo avrebbe di limitare il più possibile un diritto tanto importante per il rispetto effettivo di tanti diritti costituzionali, a partire dal principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione repubblicana. Secondo l’autorevole dottrina, che tra l’altro è in perfetta armonia con quella concernente i diritti umani, lo Stato deve riconoscere il diritto alla riservatezza e, qualora sia indispensabile porvi dei limiti, potrà farlo esclusivamente attraverso un ampio previo dibattito politico e democratico. Anche l’identità personale, intesa come identità sociale costituita da un insieme di valori (intellettuali, politici etc.) attraverso cui un determinato individuo viene riconosciuto in un certo ambito sociale come diverso da altri individui della medesima cerchia sociale.

Non solo ma per la Suprema Corte ritiene che la tutela dell’identità personale rientra nell’ambito dell’art. 2 della Costituzione. “L’interesse della persona, fisica o giuridica, a preservare la propria identità personale, nel senso di immagine sociale, cioè di coacervo di valori (intellettuali, politici, religiosi, professionali ecc.) rilevanti nella rappresentazione che di essa viene data nella vita di relazione, nonché, correlativamente, ad insorgere contro comportamenti altrui che menomino tale immagine, pur senza offendere l’onore o la reputazione, ovvero ledere il nome o l’immagine fisica, deve ritenersi qualificabile come posizione di diritto soggettivo, alla stregua dei principi fissati dall’art. 2 della Costituzione […]” [19] L’identità sociale è, pertanto, strettamente connessa al diritto alle relazioni sociali e ad associarsi liberamente. Ledere l’immagine significa mettere in pericolo il delicato equilibrio psico-sociale di un individuo, quella struttura psichica che permette di riconoscer-ci e di essere riconosciuti dagli altri membri di una determinata comunità sociale.

Non a caso Rolla in un suo recente articolo sostiene che la nozione di privacy da una posizione patrimoniale (il diritto di essere lasciato solo) è transitata verso un concetto “spontaneistico”. L’autore citato scrive: “Il diritto muta, quindi, il suo oggetto e la sua struttura. Non intende proteggere una condizione di isolamento, di solitudine, non codifica la possibilità di recidere il legame con la società, ma rappresenta la precondizione perché la identità sociale della persona sia costruita liberamente e “spontaneamente”. Ne è, indirettamente, conferma il divieto, introdotto dal legislatore italiano, alla creazione di banche date in materie che attengono a profili associativi , relative alla conoscenza di opinioni politiche, all’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale. Ovvero la prescrizione dell’art. 16 della Costituzione spagnola che vieta che si possa imporre ad una persona di dichiarare le proprie convinzioni ideologiche e religiose .” [20] In altre parole il bene giuridico tutelato dalla privacy è anche il diritto ad avere una vita intima, la libertà di aderire ad associazioni o seguire un certo credo religioso, il diritto, salvo eccezioni previste espressamente dalla legge, di impedire interferenze nella propria sfera privata da parte di poteri pubblici, ma soprattutto garantisce uno spazio di libertà individuale, in seno a cui ciascuna persona, pur continuando a far parte di una determinata società od organizzazione lavorativa, potrà liberamente auto - determinarsi e costruirsi di conseguenza una sfera d’azione propria ed inviolabile.

Continua, perciò, Rolla “Conseguentemente, si deve ritenere che diversi profili della vita individuale – quelli più direttamente incidenti sulla formazione della identità personale – debbano essere lasciati alla spontaneità sociale e non possano, pertanto essere oggetto di regolamentazione e di prescrizioni neppure da parte dei pubblici poteri. In altri termini, il diritto ad una vita privata risponde all’esigenza che ogni persona possa costruire autonomamente la propria personalità, senza che provenga dall’esterno l’individuazione di ruoli o funzioni che il singolo dovrebbe esplicare. Ciò perché la tutela della vita privata è strumentale alla costruzione di liberi legami sociali, al libero stabilirsi di relazioni sociali.

Conseguentemente, si deve ritenere che diversi profili della vita individuale – quelli più direttamente incidenti sulla formazione della identità personale – debbano essere lasciati alla spontaneità sociale e non possano, pertanto, essere oggetto di regolamentazione e di prescrizioni neppure da parte dei pubblici poteri. In altri termini, il diritto ad una vita privata risponde all’esigenza che ogni persona possa costruire autonomamente la propria personalità, senza che provenga dall’esterno l’individuazione di ruoli o funzioni che il singolo dovrebbe esplicare.” [21]



[10] per approfondimenti: David R., I grandi sistemi giuridici contemporanei, CEDAM, 1980, p. 349 ss.

[11] L’intervento completo è reperibile al solito indirizzo http://www.privacy.it.

[12] L’articolo sancisce: “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta, o pubblicata, fuori dei casi in cui l’esposizione è consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa, o dei detti congiuti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento del danno.”

[13]  Cass. 5 – 8 – 78, n. 1557.

[14]  Cass. 28 – 3 – 90, n. 2527. 

[15]  Cass. 15 – 3 – 86, n. 1763.

[16]  Cass. 27 – 5 – 75, n. 2129.

[17]  Cass. 15 – 3 – 86, n. 1763.

[18] Pugliese, Il diritto alla riservatezza nel quadro dei diritti della personalità, in Rivista diritto civile, 1963, pp. 617 ss.; Giorgianni, La tutela della riservatezza, in Rivista trimestrale diritto procedura civile, 1970, pp. 19 ss.

[19]  Cass. 22 – 6 – 85, n. 3769.

[20] Rolla G., il difficile equilibrio tra diritto di informazione e tutela della dignita’ e della vita privata: brevi considerazioni alla luce dell’esperienza italiana, articolo reperibile on line all’indirizzo http://www.unisi.it/ricerca/dip/dir_eco/COMPARATO/ago9.html

[21] Ibidem.

 

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